Il cardinale O’Brien sfida il potere, Gianfranco Amato, 1 agosto 2012, http://www.corrispondenzaromana.it/
Keith Patrick O’Brien, cardinale
di Santa Romana Chiesa, Arcivescovo di St. Andrews ad Edimburgo, Presidente
della Conferenza Episcopale scozzese ha dimostrato ancora una volta di essere.
È un cristiano con la lingua glabra ed epaticamente ben fornito, quanto a
coraggio. L’ultima sua intemerata l’ha rivolta contro la proposta avanzata dal
governo scozzese di legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Oggi gli omosessuali in Scozia
hanno già la possibilità di godere degli stessi diritti derivanti dal
matrimonio, attraverso le civil partnership, unioni civili legalmente
riconosciute. L’unica differenza che comporterebbe la totale parificazione
giuridica tra matrimonio e civil partnerships sarebbe quella di poter celebrare
le rispettive unioni anche in chiesa. Nozze gay davanti all’altare. Questa
ipotesi, come era ovvio prevedere, sta infuocando il dibattito e contrappone la
maggioranza dell’opinione pubblica all’elite politicamente corretta del
governo.
Per questo il cardinale O’Brien
ha lanciato il guanto di sfida al potere, con una provocazione insidiosa e
difficile da contrastare: indire un referendum e dare la parola al popolo. Per
evidenziare quanto sia sentito il tema tra la gente, il porporato ha messo a
confronto i dati derivanti da due sondaggi pubblici governativi. Il primo è
quello relativo proprio ai matrimoni gay, cui hanno risposto 80.000 persone, ed
il secondo è quello riguardante la possibilità di indire un referendum
sull’indipendenza della Scozia, cui hanno risposto in 26.000.
Sulla base di questi numeri, il
ragionamento del Cardinale O’Brien non fa una grinza: se la consultazione sulla
legittimazione del matrimonio omosessuale ha ricevuto il triplo delle risposte
rispetto a quella del tema istituzionale – assai sentito – dell’indipendenza,
significa, allora, che a maggior ragione occorre indire un referendum anche
sulla proposta governativa delle nozze gay. Per questo, secondo lo stesso
Cardinale, un referendum sulla vicenda sarebbe «crucially important», perché
oggetto di «intense public interest».
Fin qui apparentemente nulla di
strano, se si considera la fisiologia dei processi decisionali democratici. In
quest’ottica la proposta di Sua Eminenza non dovrebbe considerarsi poi così
scandalosa. E’ singolare ed interessante, invece, il potente fuoco di fila che
si è concentrato contro il Cardinale O’Brien, bersaglio, ancora una volta, di
feroci critiche al limite dell’isteria. I soliti detrattori questa volta, però,
non si sono accorti che offendendo le parole dell’arcivescovo di St. Andrews ed
Edinburgo, hanno dimostrato di non possedere, poi, un concetto così alto del
significato di democrazia, e un’attitudine a rispettare il volere del popolo.
Eppure, se i sostenitori del
matrimonio omosessuale sono così convinti che esso rappresenti la necessità di
adeguare la società al cambiamento dei tempi (quel cambiamento che
l’oscurantismo clericale della Chiesa Cattolica non riesce a percepire), se
ritengono che esso nasca da un’esigenza profonda della comunità, se credono che
esso risponda all’idem sentire della maggioranza dell’opinione pubblica,
dovrebbero essere i primi a non opporsi al vaglio del referendum. Invece lo
temono. Ecco, allora, che, ad esempio, The Equality Network, organizzazione
LGBT che sostiene la proposta governativa, parla della possibilità di indire il
referendum come di una «americanata».
Tom French, portavoce dell’organizzazione, ha infatti spiegato che l’iniziativa
sarebbe «poco scozzese, ingiusta, ed un colossale spreco di denaro pubblico».
Del resto, per decidere «esiste già il governo».
E’ interessante questa idea delle élite per
cui quando il popolo condivide, occorre interpellarlo per assumere la sua
decisione sacra e sovrana, mentre quando non è d’accordo, sentirlo significa
vanificare il ruolo del governo ed il referendum diventa una costosa
pagliacciata. A questo punto merita di essere citato un passo del discorso
tenuto all’Università di Princeton nel 1964 da Bernard Baruch, il politico
statunitense noto, tra l’altro, per aver coniato il termine “guerra fredda” e
per un piano sul disarmo nucleare che porta il suo nome: «Il ruolo del governo
ed il suo rapporto con l’individuo è così radicalmente mutato che oggi la sua
azione penetra in quasi ogni aspetto delle nostre vite. Si sono sviluppate
forze politiche, economiche ed etniche che non abbiamo ancora imparato a
comprendere o a controllare. Se dobbiamo dominare queste forze, dobbiamo avere
la certezza che il governo appartenga al popolo, e non il popolo al governo, e
per assicurare un futuro migliore del passato, occorre in qualche modo imparare
dagli errori commessi nel passato». Baruch non si sbagliava davvero
Nessun commento:
Posta un commento