LEGGE 40/ Roccella: la sentenza di Strasburgo? Se confermata,
imporrebbe l’eugenetica - INT. Eugenia Roccella - martedì 28 agosto 2012 - http://www.ilsussidiario.net
La figlia di Rosetta Costa e
Walter Pavan, nel 2006, nacque affetta da fibrosi cistica. I due scoprirono di
esserne entrambi portatori sani. Quando, nel 2010, la Costa rimase nuovamente
incinta, scoprì che il figlio che portava in grembo sarebbe nato anch’egli
affetto dalla malattia. Abortì. I due decisero che volevano un altro bambino.
Ma sano. L’unico modo per averne la certezza era la fecondazione assistita, previa
selezione embrionale. Pratica, quest’ultima, vietata dalla legge italiana. Che,
al contempo, impedisce alla coppie fertili di accedere alla fecondazione in
vitro. I due decisero, quindi, di presentare ricorso presso la Corte europea
dei diritti dell’uomo. Che, adesso, si è pronunciata, stabilendo che la legge
italiana viola il diritto alla vita privata e familiare della coppia. Se entro
tre mesi lo Stato italiano non farà ricorso al secondo e ultimo grado di
giudizio della Corte, la sentenza diventerà definitiva. Abbiamo fatto il punto
sulla situazione con Eugenia Roccella.
Qual è, anzitutto, la ratio della
norma italiana che vieta l’accesso alla fiv per le coppie fertili?
La legge è stata emanata non di
certo per selezionare i bambini quanto per mettere le coppie che non hanno la
possibilità di fare figli nelle stesse condizioni di quelle fertili, grazie
alle nuove tecnologie. Ma l’accesso alla tecnica non può considerarsi
indiscriminato; non è un caso, del resto, che si parli di procreazione “assistita”.
Per questo, non vi possono accedere le coppie fertili. E quelle portatrici di
malattie genetiche possono avere figli.
Eppure, la sentenza ricorda che
la legge consente l’accesso alla coppie affette da malattie sessualmente
trasmissibili come l’Aids.
Anzitutto, non è la legge ad
affermarlo, bensì le linee guida stilate dall’allora ministro Turco. Secondo le
quali talune coppie, in ragione della loro malattia, si trovano in una
situazione assimilabile ad una sorta di infertilità indotta. Chi è affetto da queste
patologie, infatti, è obbligato, per la protezione del partner, a utilizzare il
preservativo rendendo, di fatto, impossibile il concepimento.
E’ stato detto, inoltre, che la
legge 40 sarebbe in contraddizione con la legge italiana che consente di accedere
all’aborto se il feto è malato di fibrosi cistica.
Neanche questo è vero. Se lo
fosse, la legge 194 conterebbe principi di eugenetica. Essa, infatti, quanto
meno in linea teorica e al netto degli abusi, prevede di ricorrere
all’interruzione di gravidanza tardiva esclusivamente nel caso in cui
l’eventuale patologia riscontrata nel feto possa nuocere alla salute della
madre.
Quali conseguenze produrrebbe la
sentenza, se confermata?
Si sancirebbe il principio
eugenetico in base al quale la vita di una persona disabile vale meno di quella
di una persona sana. Nel caso in questione si parla di fibrosi cistica. Ma,
ovunque viga la diagnosi preimpianto, la lista della patologie che la
legittimano è stata, nel tempo, ampliata a dismisura. Si è stabilito addirittura
che possa essere scartato quell’embrione in cui si riscontri una probabilità –
perché sempre e solo di probabilità si tratta – alta di essere affetto da un
tumore una volta raggiunti i cinquant’anni.
L’Italia farà ricorso?
E’ del tutto inverosimile che
decida di non farlo. A prescindere dal proprio orientamento, qualunque governo,
per prassi, ricorre in appello per difendere le proprie leggi nazionali votate
dal Parlamento. In ogni caso, la sentenza è decisamente sommaria, fondata su
informazioni approssimative. D’altro canto, le stesse procedure che
disciplinano la Corte di Strasburgo fanno sì che, spesso e volentieri, i
pronunciamenti di primo grado siano inficiati da un grado elevato di
incertezza. Per intenderci: è noto che non di rado i testi provenienti dai
singoli Paesi non vengano tradotti completamente.
Quale sarà la nostra linea
difensiva?
Anzitutto, procedurale. Non si è
mai visto che un ricorso venisse accettato senza che, nel Paese di provenienza,
si fosse giunti fino all’ultimo grado di giudizio. E la coppia in questione non
ha mai presentato ricorso in alcun tribunale italiano. Nel merito, la
disciplina relativa alle categorie cui si possa concedere la facoltà di
accedere alla Fiv rientra nel margine di discrezionalità che svariate sentenze
precedenti hanno attribuito alla legislatura dei singoli Paesi in ordine a
simili decisioni. Non è un caso che, per esempio, numerosi Paesi non permettano
la prassi dell’utero in affitto.
(Paolo Nessi)
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