Perché la grammatica può mettere d’accordo filosofia e neuroscienze - Le
affinità tra Ruggero Bacone e Noam Chomsky. - Teorie del linguaggio simili al
cielo stellato - Andrea Moro, 30 agosto 2012, http://www.corriere.it/
Ammettiamolo: tutti noi abbiamo
una nostra teoria del linguaggio. Non è come in fisica o in chimica dove un
certo timore reverenziale per la natura dei fenomeni osservati ci trattiene dal
formulare spiegazioni avventate. Con il linguaggio, le cose vanno diversamente.
Forse per il semplice fatto che tutti parliamo, forse per la grande facilità
nell’ottenere dei dati, fatto sta che ci sentiamo autorizzati ad avere una
«spiegazione» naturale di questo fenomeno. Questo stato di cose, inoltre, non
caratterizza solo noi come individui ma anche la cultura dominante di un
periodo storico, praticamente lungo tutto il percorso culturale della nostra
civiltà. Il risultato è una sovrabbondanza unica nella storia del pensiero:
praticamente ogni epoca, ogni cultura hanno espresso una teoria dominante sulla
natura del linguaggio umano, a tal punto che seguendo lo sviluppo di queste
riflessioni specifiche possiamo avere un campione dello «spirito del tempo»,
cioè della visione generale della realtà, come se la riflessione sul linguaggio
costituisse una specie di «questione omerica» della storia dell’uomo. Il
linguaggio è stato di volta in volta spiegato come fatto prevalentemente
culturale, sociale, divino o biologico. Siamo certamente di fronte a una
situazione speciale e non è facile capire cosa sappiamo oggi di più sul
linguaggio umano rispetto al passato. Sempre che se ne sappia di più.
La situazione è simile a quella
alla quale ci troviamo di fronte quando guardiamo un cielo stellato dove le
stelle sono le opinioni che nel corso degli anni si sono formate sul
linguaggio. Istintivamente, non possiamo fare a meno di congiungere tra loro le
stelle che più risaltano: se non siamo particolarmente esperti, o comunque
condizionati, ognuno di noi si costruisce le proprie costellazioni, alcune
ovvie altre più ardite, altre implausibili. Ma il cielo notturno ha anche
un’altra particolarità. Sappiamo infatti che non tutte le stelle che vediamo
sono necessariamente ancora attive: la luce che ci arriva è una luce antica,
che potrebbe essere ancora in viaggio quando la stella è già morta. Il cielo è
dunque contemporaneamente simile a un museo di storia naturale e a uno zoo:
accanto ad animali vivi vediamo l’impronta di quelli che non ci sono più.
Dunque le nostre costellazioni non solo sono fondamentalmente arbitrarie, ma
sono anche in qualche modo dei miraggi che possono anche essere fatti di
fantasmi di stelle. Lo stesso accade per le teorie sul linguaggio. Ci sono
tantissime opinioni: alcune attuali, altre decadute, altre ricorrenti; ma
spesso non ce ne accorgiamo e anche per il linguaggio, come per il cielo
stellato, ognuno si costruisce la costellazione preferita.
Xu Bing (1955), particolare dell’installazione
«A book from the sky» (1987-1991), Pechino, China Art Gallery
Un esempio lampante di come le
idee sul linguaggio possano essere difficili da interpretare e talvolta
sorprendentemente ingannevoli è dato da questa citazione: «La grammatica è la
stessa in tutte le lingue come conseguenza di ciò che la costituisce, anche se
possono esserci variazioni accidentali». A che epoca corrisponde? Senza una
data precisa, questo pensiero potrebbe benissimo essere attribuito a un
linguista contemporaneo, di quelli che appartengono al filone inaugurato nella
seconda metà del Novecento negli Stati Uniti da Noam Chomsky: da allora,
infatti, sappiamo che, se facciamo astrazione dell’arbitrarietà con la quale si
abbinano suoni e significati, la struttura delle lingue non può variare a
piacimento, ma è vincolata dall’architettura neurobiologica del nostro
cervello, del quale è espressione. Eppure il pensiero che sta alla base di
questa citazione non si basa affatto su dati sperimentali ma è il frutto di una
deduzione fondata su riflessioni filosofiche e, soprattutto, teologiche. Si
tratta infatti di una frase tratta da un’opera di Ruggero Bacone, francescano,
filosofo tanto famoso ed eccellente da meritarsi il titolo di «Doctor
Mirabilis», attivo a Parigi verso la metà del Duecento. Secondo Bacone esiste
una sola lingua perché la lingua rifletterebbe la struttura della realtà e,
ovviamente, esiste una sola realtà. Secondo Chomsky, invece, esiste una sola
lingua perché le lingue sarebbero espressioni di un progetto biologicamente
determinato. Le regole di due lingue apparentemente diversissime sarebbero solo
l’effetto macroscopico di alcuni (pochi) gradi di libertà microscopici delle
quali sono dotate le lingue. Un fatto che stupisce senza dubbio, ma non di più
di quanto stupisca il fatto che la differenza tra un maiale e una libellula sta
nel numero e nella disposizione di quattro basi azotate lungo la catena del
polimero di Dna. Due vie diversissime, dunque, quella neurobiologica e quella
teologica, praticamente incommensurabili, eppure convergenti. Ma a seconda del
percorso che si è fatto per arrivare alla stessa conclusione si aprono scenari
diversissimi. Ad esempio, l’ipotesi biologica di Chomsky costituisce oggi di
fatto la base teorica per la ricerca di tipo neurobiologico sul linguaggio, che
sta dando risultati sorprendenti e, per certi versi, destabilizzanti.
Questo stato di cose, niente
affatto isolato nel pensiero linguistico, ci costringe ad una riflessione
inaspettata: nella scienza come altrove il percorso che porta ad una
conclusione è decisivo quanto la conclusione stessa, perché è in base al
percorso che decidiamo i passi successivi. E siccome la scienza è un percorso
continuo, saranno i percorsi aperti da una teoria — le nuove domande, cioè — a
qualificarne il valore non i punti d’arrivo. Come dire: non tutte le
costellazioni che disegniamo sono utili per tracciare una rotta. La bontà della
scelta si può alla fine misurare solo con la risposta della realtà; anche per
il linguaggio umano.
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