PAROLE: EUTANASIA\3, VENERDÌ 3 AGOSTO 2012, Giacomo Rocchi, http://veritaevita.blogspot.it/
Davvero la formula “diritto di
rifiutare le cure mediche” fornisce il discrimine tra ciò che è eutanasia e ciò
che non lo è? Oppure – come sostenuto nel precedente post, con cui abbiamo
continuato a commentare l’intervista di Beppino Englaro a Il Venerdì di Repubblica
del 27/7/2012 – il rischio è che, così come per la morte procurata di Eluana
Englaro, questa formula nasconda il “via libera” ad uccisioni decise da
soggetti differenti da chi viene ucciso, soggetti autorizzati a provocare la
morte della vittima non in conseguenza di scelte terapeutiche, ma in forza di
personali opinioni sulla sua qualità della vita?
Il dato comune a tutte le ipotesi
che potenzialmente possono rientrare nell’eutanasia è, semplicemente, la
condotta di una persona che decide e provoca consapevolmente la morte di
un’altra persona. Altri elementi che sembrerebbero imprescindibili, ad un esame
più approfondito non lo sono: ciò vale per lo stato di malattia della vittima e
per la sua sofferenza e, soprattutto, per il dato della volontà di morire della
vittima e per quello della manifestazione di questa volontà.
L’eutanasia dei neonati – solitamente
quelli prematuri, per i quali la prognosi di sopravvivenza in conseguenze di
terapie intensive si accompagna alla previsione di disabilità più o meno gravi
– è una buona cartina di tornasole per saggiare la solidità della formula
evocata da Beppino Englaro.
In quei casi la decisione viene
affidata ai genitori e, quindi, si prescinde del tutto dalla volontà della
vittima, senza che ciò faccia scandalo, come se la potestà genitoriale
comprendesse anche la facoltà di decidere la morte del figlio: eppure la
“volontà presunta” del bambino è facilmente desumibile dall’attaccamento alla
vita (la “vitalità”) che i neonati manifestano (salvo che siano neonati
terminali, la cui morte è inevitabile).
Non basta: ai genitori viene
attribuita la facoltà di rifiutare tutte le cure mediche per il figlio e ciò fa
comprendere che la decisione non è “terapeutica”, ma riguarda la vita o la
morte. Il criterio proposto è quello che le madri di feti “imperfetti” vengono
autorizzate ad adottare nel cosiddetto “aborto terapeutico”, che altro non è
che aborto eugenetico (osserviamo l'antilingua usata anche per questa pratica):
qualità della vita futura del bambino e dei genitori, insopportabilità della
prospettiva di una condizione di handicap che possa durare per molti anni.
Esattamente lo stesso giudizio sulla “dignità” della vita che ha permesso ad
Englaro di provocare la morte della sua “assistita”.
Anche il richiamo alle
“sofferenze intollerabili” del paziente, quale criterio per giustificarne
l’uccisione “pietosa” è, in realtà, spesso equivoco e crea una cortina fumogena
per nascondere criteri ben diversi. Mettiamo da parte il tema dei pazienti
terminali, coloro che una malattia inguaribile e progressiva sta conducendo
verso una morte imminente e inevitabile: per essi, ovviamente, è buono e
necessario, oltre alla attenuazione del dolore fisico per quanto possibile,
l’astensione da terapie invasive e dolorose, inutili a salvare loro la vita.
Ma, salvo questo caso, come non dubitare che, spesso, le sofferenze siano “intollerabili”
non per chi le sopporta, ma per chi lo assiste? Ancora: come non accorgersi
che, spesso, di fronte a patologie gravissime e persistenti, ad essere sentita
come “intollerabile” da chi circonda il paziente sia, in realtà, la
prosecuzione della sua esistenza?
Del resto, anche il termine
“sofferenza” rischia, in quest’ottica, di essere sganciato dal substrato
oggettivo: Eluana Englaro, nella sua condizione di disabile psichica
amorevolmente accudita dalle Suore, “soffriva”? Si può davvero escludere che,
al contrario, ella fosse “felice”?
E' necessario continuare a
scavare questo tema. A leggere l'intervista di Beppino Englaro il quadro sembra
chiaro: l'uccisione della figlia Eluana è parte di un percorso di civiltà, di
riconoscimento di diritti, che vengono ostacolati solo da forze retrive,
oscurantiste. Chi ha qualche anno in più, o chi conosce la storia, sorride
rispetto al continuo ricomparire del mito del progresso, di un ennesimo sole
che si intravede all'orizzonte ...
La risposta, però, può e deve
essere ragionata e razionale: e non pare difficile, rispetto a mistificazioni
della realtà e delle parole che si intravedono appena sotto la patina dorata
...
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