PAROLE: EUTANASIA \4 di Giacomo Rocchi, SABATO 11 AGOSTO 2012, http://veritaevita.blogspot.it
Proseguiamo la riflessione
sull’intervista di Beppino Englaro a “Il Venerdì di Repubblica” del 27/7/2012.
Abbiamo visto che l’indicazione del “diritto a rifiutare le cure mediche” come
elemento distintivo per qualificare la morte procurata come eutanasia (illecita)
o non eutanasia (esercizio di diritto) provenga da chi: nega l’evidenza, cioè
di essere stato autorizzato ad uccidere la figlia e di averlo fatto; ha
impedito la somministrazione non di cure mediche, ma di sostegno vitale alla
figlia; ha provocato la morte della figlia non in base ad una volontà espressa
in maniera valida dalla figlia, ma in base ad una sua decisione; ha basato la
sua decisione sulla convinzione che la figlia fosse “sostanzialmente morta”.
Abbiamo anche visto che il
presupposto della volontà del paziente di rifiutare le terapie, così come è
avvenuto nel caso Englaro, è messo da parte senza troppi problemi in altre
situazioni, prima fra tutte l’eutanasia dei neonati, nella quale i genitori
vengono brutalmente invitati a scegliere (così come la madre nel corso della
gravidanza nell’aborto eugenetico), sulla base di loro criteri sulla “dignità
della vita”, se “vale la pena” che il bambino continui a vivere o se “è meglio”
che muoia.
Ma se questa è la chiara
tendenza, come possiamo essere tranquilli che davvero le nostre opzioni saranno
rispettate? Come possiamo non dubitare che quei nostri concittadini che si
sgolano a ripetere: “la vita è nostra! Vogliamo decidere noi!” e che, magari,
si precipitano a firmare i “testamenti biologici” (del tutto invalidi
giuridicamente) istituiti da alcuni Comuni, altro non siano che degli “utili
idioti”? “Utili” a coloro che vogliono avere le “mani libere e pulite” quando
decideranno (loro, non chi ha lasciato il testamento biologico …) che è il momento
di farla finita?
Due esempi dall’estero per
rendere più bruciante questo dubbio? Due studi pubblicati dal Canadian Medical
Association Journal (CMAJ) hanno rivelato che in Belgio la metà circa dei
procedimenti di eutanasia praticati nei confronti di malati terminali
avverrebbe senza il consenso dei pazienti, e che in molti casi sono le stesse
infermiere, al posto dei medici, a dare la morte, anche quando non è richiesta;
un primo studio statistico indica che su 208 decessi per eutanasia, 142 sono
risultati consenzienti, e 66 privi di una preventiva autorizzazione da parte
del paziente. Una preventiva discussione con il paziente (che non aveva però
dato il consenso) era stata avviata dai medici solo nel 22% dei casi; negli
altri casi le giustificazioni erano le più varie: i pazienti erano in stato
comatoso o in stato di demenza; ma altre ragioni sulla mancata discussione
preventiva sono state individuate dagli stessi medici nel fatto che la
decisione di effettuare l’eutanasia corrispondesse comunque, secondo il loro
giudizio professionale, al “best interest” del paziente (17,0%), e perché lo
stesso fatto di affrontare l’argomento sarebbe stato dannoso per lo stato
psicofisico del malato (8,2%) (!). Un secondo studio statistico dimostrava che
un quinto delle infermiere in Belgio aveva praticato l’eutanasia sui pazienti,
e metà di loro lo aveva fatto senza il consenso della vittima.
Negli Stati Uniti, invece, i “do
not risuscitate” (coloro che hanno scritto un testamento biologico) sono stati
individuati come “categoria” (a prescindere da quello che avevano scritto …)
insieme a quelle degli anziani, dei pazienti in dialisi e dei pazienti con
severe patologie neurologiche, cui negare il ricovero nelle strutture
ospedaliere, o negare l'uso dei respiratori artificiali in caso di epidemia
incontrollabile, con necessità di razionamento forzoso delle cure (“La
Repubblica”, 26/10/2009 con riferimento ai piani sanitari predisposti quando la
crisi dell’influenza A sembrava fuori controllo).
Davvero il “diritto a rifiutare
le cure mediche” (e, quindi, quello a non rifiutarle!) è la “formula magica”,
quella che permetterà a ciascuno di essere curato al meglio, secondo i suoi
desideri, quella che sarà in ogni caso rispettata?
Temiamo proprio di no: perché la
spinta all’eliminazione delle persone “inutili”, costose per la collettività,
che sono un “peso” (economico e psicologico) per la famiglia e per la società è
sempre più forte.
Il fatto è che l’esistenza di un
“consenso” o di un “rifiuto” attribuibile al paziente resta necessario: pensate
che qualche legislatore – o qualche amministratore di ospedale – abbia il
coraggio di mettere – nero su bianco – che “i disabili psichici gravi (o i
soggetti particolarmente anziani, o in stato di demenza senile, o i neonati
disabili, o ancora qualche altra categoria) non devono essere curati e devono
essere lasciati morire”? Non siamo mica all’eugenetica nazista!
Occorre, quindi, il paravento di
un consenso. Ma allora, il “rifiuto delle cure” invocato da Beppino Englaro è
un diritto o, piuttosto, un dovere?
Nessun commento:
Posta un commento