Il paternalismo dello Stato etico che pretende di insegnarci a vivere -
Piero Ostellino, 31 agosto 2012, http://www.corriere.it
postellino@corriere.it
Parte dell'opinione pubblica ha
reagito positivamente all'ipotesi di una tassazione sulle bevande zuccherate
come correttivo per una giusta alimentazione. Molti dichiarano che
concorderebbero con l'idea che la salute riguardi il senso di responsabilità
personale di ciascuno «se - aggiungono, però, subito dopo - le conseguenze
subite da chi la trascura non gravassero sul Servizio sanitario nazionale, cioè
su tutti». «Un bambino obeso oggi - si dice a proposito della prevenzione nei
confronti dei più giovani - è un potenziale diabetico domani, un iperteso, con
un alto rischio di malattie cardiovascolari e non solo, insomma un uomo da
curare. E a spese di chi? Della sanità pubblica, dello Stato e generando un
costo che genererà tasse e ancora tasse».
Sono reazioni comprensibili -
dato anche il livello già molto elevato della pressione fiscale - ma non
condivisibili dalla prospettiva di una democrazia liberale. Si attribuiscono,
infatti, allo Stato prerogative e compiti di natura paternalistica - che, oltre
tutto, non hanno riscontro nella realtà - e si assegna alla società civile, per
non dire ai singoli individui, una sudditanza nei confronti dello Stato che ne
mortifica l'autonomia e le libertà. Cerco di spiegare le ragioni del mio
dissenso nei confronti delle convinzioni espresse in questi giorni
dall'opinione pubblica maggioritaria.
Lo Stato già provvede a
disciplinare, spesso persino troppo, i comportamenti individuali e a far fronte
alle conseguenze delle possibili deviazioni (ancorché non giuridicamente
perseguibili). Non è un Ente benefico, bensì un organismo che fornisce servizi in
cambio delle tasse che fa pagare; se non ci fossero le tasse, non ci sarebbero
i servizi e neppure lo Stato (che, anche soprattutto, dal punto di vista
liberale, è necessario alla convivenza civile). Ciò che si crede di ottenere
(pressoché) gratuitamente lo si è pagato, prima ancora di goderne, con le tasse
personali e la fiscalità generale. È in cambio delle tasse, non di
comportamenti moralmente o socialmente esemplari, che lo Stato fornisce i suoi
servizi. Lo Stato è (dovrebbe essere) neutrale, se no diventa Stato etico e
confonde il peccato col reato. Ingrassare, a causa di una alimentazione non
regolata, e, di conseguenza, (eventualmente) ammalarsi, così come dilapidare i
propri guadagni, e trovarsi nell'indigenza in vecchiaia, sono fatti personali, alle
cui conseguenze, peraltro, lo Stato già pone rimedio col welfare (Sistema
sanitario e pensionistico generalizzati). Sostenere che l'alimentazione è un
fatto pubblico significherebbe riconoscere allo Stato il diritto di imporre
comportamenti, anche in altri campi, che violerebbero gli stili di vita
personali: non può essere obbligatorio mettere la maglietta della salute per
non prendere la bronchite e evitare di gravare sul prossimo. Non spetta allo
Stato, ma ai genitori e/o, se vogliamo, alla scuola, a libere campagne promosse
alla bisogna, educare giovani e meno giovani ad una corretta alimentazione.
I media - ha scritto Tocqueville
nella Democrazia in America (1835-1840) - erano, con il libero associazionismo,
i due pilastri sui quali si reggeva la democrazia liberale statunitense. Essi
assolvono due funzioni, diciamo così, civili anche nelle democrazie liberali
contemporanee. Conferiscono un fondamento etico-politico all'Ordinamento
esistente, contribuendo alla sua legittimazione; forniscono al cittadino le
informazioni e gli strumenti culturali e politici per (eventualmente) cambiarlo
(ovviamente con mezzi democratici). Se assolvono solo la prima funzione, sono
di sostegno allo status quo e alimentano le tendenze della società civile al
conformismo. Se assolvono solo la seconda, producono estremismi protestatari,
che rasentano l'anarchia, e destabilizzano l'Ordinamento esistente.
L'Italia - divisa come è ancora,
malgrado i grandi cambiamenti avvenuti nel mondo, in due diverse, e opposte,
idee di società nella quale vivere; una, grandemente maggioritaria,
collettivista e statalista; l'altra, assolutamente minoritaria, individualista
e liberale - continua a oscillare fra le due idee di società e di Stato. Si è
perso, nel frattempo, il senso della misura, diciamo del «giusto mezzo» nella
visione cavourriana della politica. Il risultato è una cultura politica molto
approssimativa e spesso contraddittoria e, soprattutto, distorsiva dell'idea
stessa di democrazia nella quale si vorrebbe vivere. Occorrerà, forse, più di
una generazione per porvi rimedio.
Nessun commento:
Posta un commento