Aborto: perché non si parla mai dell’aspetto clinico, 24 aprile 2012, http://www.corrispondenzaromana.it
(di Davide Greco) Sul web è
presente una sorta di tema-tabù sull’aborto. Si parla un po’ di tutto, esistono
punti di vista differenti, analisi logiche dettagliatissime. Ma c’è un aspetto
di cui si parla poco: in cosa clinicamente consista. Con sorpresa, la maggior
parte dei testi, anche quelli più specialistici, evitano l’argomento. Perché? È
interessante notare, ad esempio, come nel Glossario fornito dall’Istat del 2011
per gli anni 2008-2009, non esista una voce che descriva la procedura clinica
adottata.
Invece sono tenute ben distinte
le voci “Aborto” e “IVG”. Non è un dettaglio da poco. Sono la stessa cosa,
ovviamente, ma nel primo caso (quello semanticamente più forte), l’aborto viene
definito «interruzione della gravidanza prima che il feto sia vitale, cioè
capace di vita extra uterina indipendente ». Cerchiamo di capire. Se uno si
fermasse alla prima parte della frase, penserebbe che il feto «non è vitale»,
dunque privo di vita, o almeno mancante di esistenza propria. Ma non è così. Il
feto è vivo, e tuttavia è incapace di esistere al di fuori del grembo materno.
Estrarlo coincide esattamente con
l’ucciderlo. Una società con un’etica ben salda darebbe rilievo a quest’ultimo
aspetto, mentre una società dai parametri scombinati insisterebbe su quel “prima
che… vitale” per giustificare la propria innocenza. Per specificare, sempre la
stessa voce dice: «Si distingue l’aborto spontaneo dall’aborto indotto o
interruzione volontaria della gravidanza».
Da un lato si ha «l’aborto
spontaneo», naturale, dall’altro si ha un qualcosa di diverso che, con
eufemismo ben studiato, viene prima siglato e poi neutralizzato con
«interruzione volontaria della gravidanza». La voce IVG, infatti, descrive
l’aborto solo in termini legali, tecnici, freddi. Ed è chiaro il motivo: mentre
aborto si capisce subito, IVG è poco comprensibile e rende il tutto più
stemperato.
È un po’ come la propaganda in
Inghilterra, sottolineata da Gianfranco Amato (I nuovi Unni, p. 132-134): lì si
preferisce chiamare l’aborto medical care (cura medica) e i movimenti che lo
sostengono pro choice (a favore della scelta) che tutelano l’abortion right (il
diritto all’aborto). Che poi si tratti di decisione che uccida o meno una
creatura viva fa parte delle specifiche, come fosse un dettaglio marginale. Il
dato importante sembra essere la cura, la libertà di scelta,
l’autodeterminazione della donna, ed è su questo che la propaganda abortista fa
leva.
Ma la percentuale della
cosiddetta “cura”, gli aborti procurati per la salute fisica e mentale della
donna, in Italia come in Inghilterra non sono che uno zero virgola un numero.
Numeri bassi, peraltro già compresi nella legislatura precedente al 1978 (vedi
art. 54 del Codice Penale sullo “Stato di necessità”). Si faccia attenzione poi
alla parola auto-determinazione perché, messa così, sembra che la donna possa
scegliere per qualcosa che riguarda solo lei.
Quasi che un bambino fosse una
massa di cellule amorfe, un pezzo smontabile, che si può togliere come la carta
da parati in casa. Invece si tratta anche di etero-determinazione, una
decisione che si prende al posto di un altro. È bene sempre sottolinearlo,
perché a forza di eufemismi e di acronimi si rischia di perdere il senso della
gravità di ciò che si sta facendo. Il senso vero dovrebbe essere questo: si
faccia attenzione a parlare semplicisticamente di aborto, perché il bambino
abortito avresti potuto essere tu. Ora tu puoi amare, decidere, sorridere,
lavorare o disperarti perché una mamma, la tua, ha deciso che valevi di più di
una “causa economica”.
O peggio ancora, che valevi meno
della sua libertà. Intendiamoci, non si sta dicendo che la donna non deve
scegliere. Si sta dicendo che le parole usate per descrivere questa scelta sono
ambigue, sbagliate o controverse. Possono ingannare. Personalmente apprezzo la
consapevolezza e sto sulle difensive quando qualcuno o qualcosa cerca di
nascondermi la verità o me la racconta con parole poco chiare. Poi,
giustamente, ognuno è in democrazia libero di fare quello che coscienza gli
detta, ma che almeno lo faccia consapevolmente e non superficialmente. Va da
sé, poi, che la consapevolezza e l’informazione creerebbero non pochi dubbi
nell’opinione pubblica, ma è proprio questo che i gruppi pro-choice vorrebbero
evitare.
La consapevolezza. I percorsi per
addormentare le coscienze della gente sono proprio questi: spostare il
baricentro del discorso, presentare come positiva una realtà negativa. Nessuna
dittatura, per quanto spietata, si è mai presentata come distruttiva verso il
popolo, ma ha sempre motivato le proprie scelte come belle, sane, produttive
per chi le segue. Per avere un’informazione corretta e autorevole
sull’isterosuzione, la pratica abortiva più utilizzata, bisogna prendere invece
testi come quelli di Rodríguez-Luño, Scelti in Cristo per essere santi, III,
manuale a cura della Facoltà di Teologia “Santa Croce”. A pagina 194 troviamo
questa descrizione: «Viene allargato l’orifizio esterno del collo uterino, e
viene introdotta una cannula allo scopo di estrarre il nascituro mediante
l’aspirazione, prodotta da un apparecchio simile all’aspirapolvere domestico,
ma molto più potente. La morte del nascituro viene provocata smembrandogli le
braccia e le gambe. I resti fetali diventano una marmellata sanguinolenta».
Non è necessario commentare
ulteriormente, ma qualsiasi medico con parole più o meno diverse (magari
tecniche) vi confermerà che è vero. Cercate su internet, fra le immagini, basta
digitare “isterosuzione” o “metodo Karman”. Ma la domanda è soprattutto questa:
è giusto che si possa leggere una descrizione dell’aborto come questa solo (o
quasi) in un libro di Teologia Cattolica? Perché non la si può trovare anche
nel Glossario dell’Istat, nelle specifiche della legge 194 o in qualche altro
testo di portata pubblica? È forse troppo brutale, di cattivo gusto?
Se non si ponesse l’accento sulla
brutalità del gesto, non si capirebbe perché a distanza di 34 anni molti
sentono ancora come un dovere aprire una discussione sulla legge sull’aborto.
Se non fosse brutale, chi contesta la legge 194 apparirebbe come un matto che
si scalda per niente. Se tutti stessero zitti, vorrebbe dire che la società ha
davvero fatto un passo avanti. Verso brutalità ancora peggiori. (Davide Greco)
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