La crisi "post parto" è bisex Ora ne soffrono anche i papà - Uno
studio: lui più colpito di lei dalla "depressione genitoriale". Ma
forse i padri soffrono solo la pressione delle madri..., di Giordano Bruno
Guerri - 27 aprile 2012, http://www.ilgiornale.it
La depressione è ormai un
concetto logoro e abusato come gli auguri a Natale. Tutto ciò che era, un
tempo, «stanchezza», sia pur mentale, è diventato prima «esaurimento», poi
«stress», e ora depressione.
Una bella depressione, insomma,
non la si nega a nessuno, al calciatore che non fa gol come allo scolaro che
non ha voglia di studiare.
Figurarsi se i ricercatori di
sempre nuove malattie (e di scoop per far circolare i propri studi) potevano
negare una depressione ai neopadri. Oltretutto, la rivoluzione a rovescio del
politicamente corretto pretende che tutto ciò che riguarda le femmine riguardi
anche i maschi, e viceversa. Scoperta e definita da non molti anni la
depressione post parto materna, che è sempre esistita, come negarla ai padri?
Apprendiamo dunque, dalla lontana
Australia, che della depressione post parto soffre lo 0,3 per cento in più dei
padri rispetto alle madri. (Notare l’accuratezza scientifica di quello 0,3.) Lo
studio della professoressa Jan Nicholson conduce a scoperte fulminanti: «La
nascita di un bebè porta profondi cambiamenti di stile di vita e ricreazione,
orari di sonno, rapporti di coppia e identità, ed è naturale che possano
sorgere difficoltà di aggiustamento per i padri», scrive Nicholson, che
tuttavia si dice sorpresa della portata del problema, anche se «Vi è un
crescente riconoscimento che i padri sono un sostegno chiave per le novelle
madri». Fino alla sorpresa finale: «Lo studio mostra che anche gli uomini sono
vulnerabili, perché anche loro perdono sonno e si destreggiano fra ruoli e
responsabilità».
La mia esperienza, per la verità
è diversa. Potevo essere ansioso, teso, stufo, preoccupato - insomma,
«depresso» - durante l’attesa: nonostante tutte le ecografie e gli esami non
sai mai davvero se il figlio sarà sano, sarà tutto, sarà bello, e questa mi
sembra la peggiore tensione che si possa sopportare. Poi, quando lo vedi sano,
intero, bello, tutto il resto diventa marginale, quasi insignificante.
Supponiamo pure che io sia un
caso strano. Però mi sembra che tutto ciò che segue il parto, per un padre,
riguardi le categorie «preoccupazioni» e «rotture» più che quella
«depressione». Preoccupazioni economiche, per esempio, perché scopri ogni
giorno che un figlio - per quanto piccolo - costa molto più del previsto, che
anche la più accorta delle madri d'improvviso non bada più a spese, e che il
tuo orario e le tue capacità di lavoro vengono per forza ridotti dagli
avvenimenti quotidiani. Le «rotture» non riguardano tanto - altro esempio - i
pianti notturni e la conseguente perdita di sonno, che rientrano nella
categoria «preoccupazioni», bensì la scoperta che nella tua vita entrano nuovi,
e apparentemente assurdi, assilli: come «la corrente!». L’avevi dimenticata
dall’infanzia, quando tua madre correva disperata da una porta a una finestra
gridando «la corrente!» Pensavi che non l’avresti mai più sentita nominare per
tutta la vita, sfidando spifferi e bufere. Invece eccola, «la corrente!»,
annunciata con la stessa disperazione di una piaga egiziana, temuta come una
pugnalata alle spalle, odiata come un tradimento: anche se tu non senti un
alito di vento, fra due finestre lontanissime in una giornata di aria immota.
Ecco cosa vorrei chiedere alla
professoressa australiana: un bello studio, con tanto di zero virgola, sulle
diversità - e la loro origine - dell’atteggiamento materno e paterno rispetto
al problema «la corrente!».
www.giordanobrunoguerri.it
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