L'incidente al San Filippo Neri NERI - In ogni embrione d'uomo c'è già
tutto di Assuntina Morresi, 12 aprile 2012, http://www.avvenire.it/
Dopo l’allarme, un evidente
imbarazzo ha accompagnato tanti commenti all’incidente al San Filippo Neri, in
cui il 27 marzo sono andati distrutti embrioni e gameti umani. Troppe le
domande scomode evocate dai fatti e dalle reazioni delle famiglie coinvolte;
tante le contraddizioni emerse, e soprattutto imprevedibili gli esiti di una
battaglia giudiziaria senza precedenti, in cui si dovrà decidere se e come
rispondere a interrogativi troppo spesso confinati nel recinto del dibattito
accademico. Comunque vada, l’esito sarà un precedente per la giurisprudenza in
questo ambito e non solo a livello nazionale: a tutt’oggi, infatti, non c’è
notizia di un incidente analogo nel mondo, il che, però, non tranquillizza. È
molto difficile pensare che non sia mai accaduto niente del genere, in
trent’anni di procreazione assistita in tanti Paesi; assai più probabilmente
incidenti di questo tipo sono stati sottovalutati, se non nascosti o taciuti
all’opinione pubblica, il che pone molti dubbi sull’effettiva trasparenza in ciò
che accade intorno alla fecondazione in vitro.
«Hanno ucciso i nostri figli», è
stata la denuncia esplicita di alcune coppie del San Filippo Neri che hanno già
avviato la richiesta di un congruo risarcimento danni: un grido di dolore che
dice bene la percezione della perdita subìta. E sarà inevitabile, nel percorso
giudiziario, stabilire quanto vale un embrione umano e quindi, piaccia o meno,
chiedersi (anche da parte di coloro che hanno cercato di farne a meno)
"cosa" o, piuttosto, "chi" è, tanto più che sono andati
persi pure gameti, e quindi il confronto nella valutazione fra cellule ed
embrioni è d’obbligo.
Eppure sarebbero proprio queste
le domande da eludere, secondo alcuni commentatori, che preferirebbero non
«sovraccaricare» l’incidente del San Filippo con questioni sullo statuto
dell’embrione, portando argomentazioni che però invitano a fare proprio il
contrario.
Chiamare in causa i motivi che
hanno "legittimato" l’aborto per sminuire il valore dell’embrione non
funziona proprio. Cominciamo col precisare che l’embrione umano è già un essere
umano: nessuno può dire che è un essere inizialmente – poniamo – vegetale, che
poi si trasforma in "umano". Ma soprattutto la tesi secondo cui «non
esiste feto senza la donna che lo accolga», portata a sostegno di chi vuole
legittimare l’interruzione di una gravidanza rifiutata, in questo caso va
proprio in senso opposto, e cioè aumenta ancor più il valore di un essere umano
concepito ma non ancora nato. Chi ritiene che solo la volontà della donna valga
per stabilire se una gravidanza possa proseguire o venire interrotta mai come
in questo caso ha di fronte donne, e coppie, che fortemente volevano figli, e
proprio quei figli andati persi nell’incidente, che avevano già desiderato e
accolto e che sicuramente consideravano già esseri umani: che fossero immersi in
azoto liquido non sminuisce l’attesa, il desiderio e la volontà di quelle
donne, ma pone piuttosto una rinnovata e pressante domanda sull’opportunità che
esseri umani siano tenuti in quelle condizioni. Proprio chi dà priorità alla
percezione soggettiva delle donne, indipendentemente dal chiamare o no
"persone" delle vite umane appena concepite, dovrebbe a maggior
ragione riconoscere l’immenso valore di quegli embrioni, anche al di fuori del
grembo materno. E, con onestà intellettuale, andare fino in fondo nel
chiedersene il perché.
Perché tanta sofferenza per
quella perdita, anche se quel «grumo di cellule» non ha fattezze umane, non ha
ancora un cuore che batte, non ha mani, piedi, non è immediatamente
riconoscibile come uno di noi? Forse perché nel proprio cuore ogni coppia, ogni
donna sa che in quel «grumo di cellule» c’è già tutto: mani e piedi, cuore e
volto, ed è già maschio o femmina, proprio come uno di noi. È già vita umana,
anche se invisibile a occhio nudo: deve solo crescere, ma già c’è, tutta quanta,
tutta intera. E in quei novantaquattro
embrioni c’era, e non c’è più.
Nessun commento:
Posta un commento