Giovani oltre i limiti, Carlo Buttaroni, l'Unità, 23 Aprile 2012
Fra sogni e trasgressioni a
caccia d’identità Crescono tra le nuove generazioni i comportamenti a rischio.
A spingere verso l’uso di sostanze stupefacenti, la ricerca di sé nel passaggio
fra l’adolescenza e la maturità. E una paura del futuro da non sottovalutare
La ricerca, realizzata per
l’Unità, è stata condotta dal 2 al 18 aprile 2012 attraverso 1.000 interviste
telefoniche (C.A.T.I.) a giovani di età compresa fra i 18 e i 25anni,
sull’intero territorio nazionale. Tipo di campione: rappresentativo per quote dell’universo di riferimento. Estrazione casuale dei numeri
dagli elenchi telefonici.
Si affacciano alla vita
scoprendone i drammatici conflitti e gli inevitabili negoziati, insieme alla
distanza che separa le loro aspirazioni dalla realtà che si gli apre davanti.
All’inizio li orienta la volontà di vivere svincolati da qualsiasi
condizionamento, la pulsione a emanciparsi dalla condizione pre-adolescenziale;
poi il bisogno di scoprirsi entità autonome, pensanti; infine la scoperta che
la vita non può essere che un compromesso tra desideri e necessità.
L’altra faccia drammatica della
crisi è quella dei giovani che inciampano fra i detriti di sogni troppo
precocemente infranti. Avvolti da un’atmosfera rarefatta, senza più alcun punto
di riferimento, rassegnati a un deficit di speranza che li porta a vivere un
eterno presente dove per usare le parole di Sartre bisogna scegliere tra non
essere nulla o fingere quello che si è.
In questo habitat malinconico, in
cui l’interlocuzione con il prossimo sembra passare quasi esclusivamente
attraverso i social network, i giovani provano a muovere i primi passi, alcune
volte troppo timidi per essere efficaci, altre volte sotto forma di salti nel
buio alimentati dalla crescente insoddisfazione che li assale. Un’insoddisfazione
che diventa timore e ansia da prestazione, che anche quando non rende ragione
della loro vita reale, li spinge a cercare nuovi esasperati riferimenti che
permettano di esorcizzare la realtà che non comprendono, o che vivono come
estranea e distante.
I progetti di vita non appaiono
abbastanza forti a restituire significato al senso d’incertezza che avvolge i
loro destini. E il modello familiare appare in piena crisi nel momento in cui
al suo interno, al posto dell’ascolto e della parola, si alternano distratte
attenzioni e vuoti silenzi, occasionalmente compensati dall’ultimo modello di
cellulare o dall’automobile lanciata a folle velocità verso il nulla.
Continuamente sollecitati a
diventare predatori dell’ambiente che vivono, ma che gli è pericolosamen-
te ostile, i giovani in crisi di
futuro tendono a rompere gli argini, a spingersi verso un “oltre” che spesso
significa immergersi in dimensioni sconosciute, esplorare nuovi territori che
permettano loro di trovare un surrogato d’identità, in un mondo che sembra non
riuscire a offrire altre prospettive.
L’atto trasgressivo, forzando e
mettendo in discussione norme sociali e collettive, se non anche violandole
apertamente, mostra in filigrana un’esistenza precaria e confusa, che spinge i
giovani a conoscersi e a riconoscersi attraverso il contrasto, a sperimentare i
propri limiti per verificare fino a che punto coincidano con quelli
collettivamente accettati. Per poi infrangerli di nuovo, in un continuo
superamento dei limiti. Ecco allora che si manifestano la seduzione della droga
e comportamenti rituali emulativi come effetti, allo stesso tempo, del
conformismo e dell’anticonformismo.
I gesti senza movente riconducono
sempre a un’insensatezza di fondo e al fatto che la vita è intesa uguale alla
morte. E che le regole primordiali dell’amore e dell’odio non vengono sentite
come tali e non spiegano le ragioni del gesto, che dovrebbe invece avere una
ragione e un perché.
Un’esistenza così vissuta spinge
all’illusione dell’apparire e alla pubblicizzazione dell’intimità, che
nettamente differiscono dal «cielo stellato» e dalla «legge morale», connesse
alla consapevolezza di andare come diceva Paul Valéry «senza dei verso la
divinità». Le trasgressioni estreme che vivono i giovani non sono, come
dovrebbero essere, il riaggiustamento della propria socialità percepita come
imperfetta. Lo scontro e la conflittualità individuale rappresentano, invece,
l’estremo tentativo di riappropriarsi della propria vita, coscienti della
propria diversità, e rendere socialmente visibile la trasformazione.
Ogni trasgressione è percepita
come una sfida da affrontare, dove l’esito si deposita in un bagaglio di
esperienze intorno alle quali l’identità del giovane tende a disporsi.
Il quadro che sembra emergere
indica proprio il dischiudersi di due dimensioni: l’una legata al naturale
processo evolutivo dall’adolescenza alla maturità, l’altra correlata
strettamente al contesto nel quale i giovani sono immersi. Un ambiente sociale
surreale, in cui il pensiero e l’azione sembrano elementi sconnessi e
scoordinati, anziché la naturale conseguenza l’uno dell’altro. Una dicotomia in
cui trovano spazio anche quei comportamenti a rischio che sembrano
caratterizzare così fortemente le nuove generazioni. È come se alla base vi
fosse un processo che inizia con l’esplorazione della propria identità, ma che
si conclude nel momento stesso in cui una delle possibili forme è intravista
dall’esterno. E in quel riconoscimento vi è la selezione di un’identità
possibile ma provvisoria che esprime tutta questa socialità imperfetta.
Non è più l’individuo lacaniano
che si riconosce nello specchio ma è l’individuo che si riconosce solo nello
specchio riflesso degli occhi degli altri, dove la positività su ciò che sì,
viene vissuta solo in stretta dipendenza con il grado di accettazione da parte
degli altri.
Per dirla con Galimberti, i
giovani, anche se non sempre ne sono coscienti, stanno male. E non per le
solite crisi esistenziali che segnano la loro età, ma perché un ospite
inquietante penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella
prospettive e orizzonti. Un sentimento che sembra gettare i giovani in
un’impotenza assoluta di fronte al futuro e alla vita che avanza. Solo il
presente ha senso. Un presente da vivere con la massima intensità perché permette
di seppellire l’angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che si perde di
vista il senso della vita. Un’angoscia che si traduce nell’incapacità di
elaborare un pensiero che consenta di uscire dal suo effetto collaterale più
evidente: vivere la vita in uno stato di costante incertezza e precarietà.
Quello dei giovani è un grido forte e sottovalutarlo
sarebbe il più tragico degli errori perché il grande rischio della nostra epoca
è che le nuove generazioni si ritirino dal futuro, rifugiandosi in una curva del
tempo priva di valori assoluti, che può solo proporre da quale luogo partire,
ma nessun luogo dove andare.
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