Differenza tra verità scientifica e verità sapienziale, di Mariano
Bizzarri, docente universitario di biochimica, 24 aprile, 2012, http://www.uccronline.it
Recentemente, l’Arcivescovo di
Milano, il Cardinale Angelo Scola, ha avuto modo di esprimere un’acuta
riflessione sul rapporto tra “Verità scientifica” e “verità metafisica”:
«Chiediamoci: si può ancora sostenere che una simile forma di esperienza, l’esperienza
cristiana, sia ragionevole? La sua rivendicazione della verità poggia su solide
basi? Pensiamo, ad esempio, alla obiezione di quanti, a partire dalle
strabilianti scoperte della scienza, sostengono che tutto è solo Natura
(“naturalismo biologico”). Ebbene noi possiamo, come credenti, accettare tutti
i risultati comprovati delle scienze naturali – sottolineo tutti i risultati,
non tutte le loro interpretazioni e non ogni loro uso – integrandoli con
l’esistenza di un Dio Creatore e Redentore dell’universo. Non sono pochi gli
scienziati credenti a testimoniarlo».
Il passaggio chiave dell’omelia è
il seguente: «noi possiamo, come credenti, accettare tutti i risultati
comprovati delle scienze naturali – sottolineo tutti i risultati, non tutte le
loro interpretazioni e non ogni loro uso». Questa osservazione ci permette di
mettere a fuoco due aspetti, spesso trascurati da una certa pubblicistica
volutamente interessata a mettere in ridicolo il messaggio della Bibbia.
Innanzitutto ci viene implicitamente ricordato che il senso profondo delle
Sacre Scritture vada inteso in senso metafisico e simbolico, non già
interpretato alla lettera, dacché “la lettera uccide lo spirito”. Quanti, alla
stregua di Odifreddi, si sforzano di rendere evidenti le incongruenze (palesi)
del dettato biblico con i dati scientifici, rimarranno delusi: solo uno sciocco
può, infatti, pensare di attenersi alla lettera di una sentenza sapienziale il
cui significato, non a caso, come ammonisce il Cristo, sfugge ai “sapienti di
questa terra”.
In secondo luogo le parole
dell’Arcivescovo di Milano riaffermano la fondamentale distinzione che
intercorre tra il dato scientifico e la sua interpretazione. Dati eguali
possono dare luogo a teorie interpretative affatto simili. Basti pensare alla
Rivoluzione Copernicana: le osservazioni astronomiche avevano per lungo tempo
sostenuto una teoria capace di reggere alla prova dell’esperienza e in grado di
produrre predizioni esatte e verificabili, ma rivelatasi successivamente
“falsa”. E questo a dispetto del fatto che, sin dai tempi più remoti, fosse già
stata formulata una più corretta interpretazione che poneva il Sole al centro
del sistema planetario (Aristarco di Samo ed Eraclide Pontico) e che postulava
la rotazione della Terra intorno al suo asse (Platone). La storia della Scienza
è piena di casi del genere ed è anche assai istruttiva a tal proposito. Ed è una storia che regolarmente porta alla
“falsificazione” di vecchie teorie, sostituite da nuove, dimostrando come il
rifiuto delle costruzioni interpretative da parte della realtà è la sola
informazione che possiamo ottenere dal mondo delle cose. Come ricorda Popper,
«anche le migliori teorie sono sempre
invenzioni. Esse sono piene di errori. L’ardita struttura delle teorie
scientifiche si eleva , per così dire, sopra una palude. E’ come un edificio
costruito su palafitte […] il fatto che desistiamo dal conficcare più a fondo
le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente
ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i
sostegni siano abbastanza solidi da sorreggere la struttura» (Logica della
scoperta scientifica). Non diversamente Platone
sottolineava nel Timeo come la conoscenza che possiamo avere del mondo
del divenire – ontologicamente imperfetto – fosse necessariamente anch’essa
“imperfetta”. Lo scientismo contemporaneo pretende invece di poter decodificare
“leggi” assolute ed assolutamente vere, quasi che le teorie scientifiche
fossero naturale conseguenza dei dati sperimentali realmente osservati.
Disgraziatamente dimenticano ciò che, con grande acume già Kant aveva
affermato: «Il nostro intelletto non trae le sue leggi dalla Natura, ma impone
le sue leggi alla Natura».
Detto con le parole di un fisico
contemporaneo (F. Selleri, “Fisica senza dogma”): «ogni creazione scientifica è
profondamente condizionata dai pregiudizi dei suoi creatori, consci o inconsci
che siano». Una constatazione dal sapore agrodolce, se si ricorda la
definizione che lo stesso Einstein dette della Scienza: «una creazione dell’Uomo fatta nel tentativo di comprendere
le proprietà del mondo reale». L’incompletezza delle teorie scientifiche assume
poi un carattere tutto particolare quando si ponga mente alla loro traduzione tecnologica.
Una teoria imperfetta, comporta spesso lacune gravissime sugli effetti inattesi
che una determinata tecnologia può comportare a medio o a lungo periodo.
Effetti “inattesi” che non di rado confliggono non solo con l’etica cristiana,
ma con l’idea stessa di decenza, tout court. Pensiamo all’uso militare del
nucleare, agli orrori delle sperimentazioni farmacologiche inadeguate, ai
rischi delle modificazioni genetiche. E chi più ne ha, più ne metta.
Alla scienza non compete
esprimersi quindi in termini di verità assoluta nell’ambito del cosmo
manifestato, soggetto a continuo divenire e caratterizzato da leggi che, di
tutta evidenza, esprimono la loro validità solo entro una determinata
scala (si pensi alla relazione tra
fisica quantistica e fisica newtoniana). Le affermazioni che riguardano invece
la metafisica – il mondo della perfezione in accordo con la lezione platonica –
sono atemporali e riguardano quella verità certa che invano l’Uomo si affanna a
cercare altrove. Senza trovarla.
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