Breivik e quella linea sottile tra sanità mentale e pazzia - Dichiarato
imputabile l'uomo della strage di Oslo di Andrea Lavazza, http://www.avvenire.it
C'è una questione culturale
importante e profonda dietro la decisione di dichiarare o meno sano di mente
Anders Behring Breivik, il giovane norvegese che il 22 luglio dello scorso anno
uccise 77 persone in un duplice attacco a Oslo. La commissione medica che lo ha
analizzato per la seconda volta lo ha riconosciuto capace di intendere e di
volere. Quindi, processabile per i delitti che ha commesso.
Una prima perizia condotta alcuni
mesi fa aveva invece prodotto una diagnosi di schizofrenia paranoide. Gli
psichiatri avevano ricostruito «l’universo delirante che governa i pensieri e
le azioni» dell’imputato, condizione per la sua non imputabilità. Ma lo stesso
Breivik, attraverso i suoi legali, contestò con forza le conclusioni. Il
paradosso può avere una duplice motivazione. Da una parte, l’assassino voleva
forse vedere affermata la propria ideologia come motivazione razionale, sebbene
illegale, e non come semplice “pazzia”, venendo riconosciuto quale interlocutore,
anche politico, dal sistema penale invece che soggetto estraneo alla società e
alle sue leggi.
Dall’altra, un trentaduenne
potrebbe avere interesse ad essere qualificato come criminale punibile perché
in Norvegia un verdetto di infermità può confinare a vita in un manicomio
criminale (grazie anche a una legge scritta in questi mesi quasi ad hoc),
mentre la condanna massima non supera i 21 anni di carcere. In ogni caso, la
prospettiva di non punibilità provocò forti proteste nell’opinione pubblica e
indusse la corte a disporre una seconda perizia. Che ieri ha dato l’esito
opposto.
Di fronte a un caso simile, le
nostre sensazioni immediate e le intuizioni non ponderate possono risultare a
volte una guida fuorviante. Infatti, chi ritiene che il terribile crimine di
Breivik meriti una punizione adeguata, non giudicherà sufficiente la pena
massima prevista dall’ordinamento norvegese. D’altro canto, una valutazione di
infermità mentale avrebbe prodotto una restrizione indefinita della sua libertà
per motivi di sicurezza (un malato pericoloso socialmente), ma lo avrebbe di
fatto esentato dalle sue responsabilità, senza la sanzione pubblica di una
condanna dopo un pubblico processo (un pazzo non sa quello che compie e, al
massimo, va compatito). Il punto è se chi commette delitti così efferati ed
esecrabili possa ritenersi davvero "sano di mente".
Oggi molti studiosi della psiche
e del cervello lo negano. Le naturali tendenze prosociali degli esseri umani –
si sostiene – possono risultare distorte al punto da torturare e massacrare
propri simili soltanto a causa di qualche patologia (cancellando in qualche
modo l’idea di "male" e di "cattiveria"). Ma dove va
tracciata la linea? Ha fatto molto discutere, ad esempio, il caso di Robert
Henry Moormann, giustiziato in Arizona il 29 febbraio scorso. Arrestato per
molestie, durante un permesso accoltellò e fece a pezzi l’anziana madre.
I suoi legali affermarono che era
ritardato mentalmente, ma secondo una sentenza della Corte Suprema americana
del 2002 una tale diagnosi vale in ambito penale se il soggetto non raggiunge
quoziente di intelligenza pari o superiore 70. E Moormann aveva totalizzato un
punteggio maggiore. Si era fermata a 72 Teresa Lewis, uccisa con un’iniezione
letale in Virginia il 24 settembre dell’anno scorso per aver organizzato
l’omicidio del marito e del figliastro. Una quota sufficiente per i giudici,
malgrado la mobilitazione nazionale di molte esponenti della società civile a
favore di un gesto di clemenza verso una persona palesemente disabile
psichicamente.
Nessuno si commuoverà per
Breivik. Ci sembrano troppo ben pianificati i suoi attentati, troppo elaborate
le sue motivazioni, pur aberranti. Ma, come avevano affermato i primi periti,
un delirio pare governare le sue azioni e dal punto di vista medico ciò equivale
a "mancanza" di comprensione dei propri atti paragonabile a quella di
una persona ritardata. Semplificando, se ci fidiamo delle nuove scienze
cognitive parecchi criminali non dovrebbero essere processati. Ma tanti
riterranno che così si venga meno all’idea di giustizia che chiede di punire i
colpevoli. Il senso di umanità, però, ci dice che non è equo infierire su chi
non si può considerare responsabile di ciò che fa. A farci propendere da una
parte o dall’altra sono spesso le situazioni e le apparenze. Non possiamo
tuttavia venire meno neppure al principio basilare di trattare casi simili in
modo simile. Per questo la vicenda Breivik è una cartina di tornasole di
questioni che diventeranno sempre più centrali e controverse.
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