Balduzzi: “Entro il 2013 chiuderemo gli Opg” ,”Entro un anno gli
Ospedali Psichiatrici Giudiziari chiusi o riconvertiti”, http://www.lafragolanapoli.it/
Ancora un anno, poi gli Ospedali
Psichiatrici Giudiziari “dovranno essere chiusi o riconvertiti: credo che
esistano i tempi per il rispetto della norma che è stata fatta”.
E-ilmensile – A dirlo è stato il
ministro della Salute, Renato Balduzzi a Firenze, durante un convegno
realizzato da Legautonomie.“E’ stato stabilito un crono-programma – ha
proseguito il ministro -, e proprio in questi giorni andrà all’accordo in
conferenza Stato-Regioni il decreto ministeriale sui requisiti delle strutture.
Io credo che sia coraggiosa la scelta di porre un termine a questi momenti non
di grande dignità del nostro paese a queste strutture fortemente problematiche
– ha aggiunto il ministro – e credo che riusciremo a vincere questa scommessa.
Certamente ci vuole da parte di alcune regioni una grande collaborazione, ma
penso che ci siano le condizioni per rispettare i tempi della norma”.
L’OPG è, tecnicamente, una
Istituzione dipendente dal Ministero di Grazia e Giustizia, più realisticamente
una sorta di discarica sociale.
E’ formato da una serie di
reparti, in tutto 8, molto simili tra loro, in ognuno dei quali ci sono delle
celle, una sala mensa e un cortile interno per le passeggiate.
Alle finestre le sbarre.
Dietro quelle sbarre si trovano
gli esseri probabilmente più emarginati della nostra società, i “loro” più
diversi, non solo “matti ” ma anche criminali!
Quelle persone di cui tutti si
sono ricordati solo dopo che la canzone di Cristicchi è riuscita a vincere
l’ultimo festival di San Remo. Quelle persone che invece avrebbero molte cose
da dire e far sapere al resto della gente se solo qualcuno ascoltasse.
Ma in questi casi ascoltare è
difficile, non a causa della malattia mentale, ma a causa del fatto che queste
persone sono colpevoli di un reato, qualunque esso sia, il che li rende agli
occhi della gente meno malati e più criminali.
Tutto ciò è certamente
comprensibile, soprattutto considerando il punto di vista delle vittime di tali
reati, ma non giustifica la pena che queste persone devono scontare. Cercherò
di spiegarmi meglio senza entrare troppo nel dettaglio.
Per i cosiddetti “folli rei”,
ovvero coloro che commettono un reato in uno stato di incapacità di intendere e
volere e sono giudicati “pericolosi socialmente”, il giudice può stabilire un
internamento minimo di 2, 5 o 10 anni a seconda dei casi, ma la legge non
stabilisce un massimo.
Insomma si sa quando si entra, ma
non si sa quando si esce.
Passato il periodo di tempo
stabilito (2, 5 o 10 anni), l’internato viene sottoposto ad una ulteriore
visita psichiatrica che deve stabilire se la sua pericolosità sia scemata o
meno.
Laddove tale perizia stabilisca
la scemata pericolosità sociale, il condannato potrebbe essere libero, ma in
realtà ancora non lo è perché c’è un’altra condizione fondamentale per la sua
liberazione: avere una famiglia o un luogo di cura che si faccia carico di lui
e della sua salute.
Questa condizione per molti
internati diventa una condanna all’ergastolo: le famiglie molto spesso li
rifiutano perché considerano una vergogna la malattia e ancor di più il
crimine, o perché non hanno i mezzi per poterli assistere; le istituzioni
sanitarie e quelle locali non sembrano avere risorse sufficienti, spazi,
personale.
Così, sebbene una persona abbia
raggiunto un grado di autonomia e consapevolezza che gli renderebbe possibile
tornare alla sua vita “normale”, deve rimanere in OPG.
Questo è uno dei motivi per cui,
all’inizio di questo articolo ho definito l’O.P.G. una sorta di discarica
sociale.
Non solo. Anche le attività
trattamentali, intese come l’insieme delle attività ricreative, socializzanti,
psicologiche e lavorative, che dovrebbero essere il momento fondamentale
dell’internamento, nonostante l’impegno dei volontari, rivestono un ruolo spesso
secondario. I finanziamenti stanziati dai governi sono purtroppo insufficienti
per organizzare attività, avere materiale etc.
I soldi previsti dalla legge sono
pochi anche per provvedere alla sussistenza degli internati: si pensi che per
il cibo di un internato la legge prevede un budget giornaliero minore di quello
di un carcerato, come se ad un internato, data la sua condizione, bastasse un
minor numero di calorie e principi nutritivi.
Se si considera inoltre che la
funzione principale dell’OPG dovrebbe essere, oltre che la cura, quella di
riabilitare e rieducare gli internati per poterli reinserire nella società
“normale”, non si spiega perché in un istituto come quello di Aversa si trovino
solo 3 educatori su 330 internati circa.
Ma il fatto a mio avviso più
sconvolgente e paradossale è che all’interno di un Ospedale Psichiatrico
giudiziario non esista la presenza continua e permanente nell’arco delle 24 ore
di uno psichiatra. Gli psichiatri che lavorano presso l’OPG lo fanno spesso
come secondo lavoro, nel senso che sottraggono delle ore ai propri studi
privati per fare le visite richieste dall’Istituto.
Succede allora in casi estremi
quello che è stato descritto durante un incontro con uno psicologo: nei casi in
cui si rende necessario, il medico di guardia può decidere che un internato
venga immobilizzato con la forza sul letto di contenimento, ma solo lo
psichiatra può decidere di farlo slegare. Così, ad esempio, se questo avviene
il venerdì, l’internato dovrà aspettare fino al lunedì per essere liberato,
allorché ci sarà uno psichiatra che potrà deciderlo.
Tutto ciò è a dir poco
vergognoso.
Il letto di contenimento è stato
peraltro molto utilizzato fino ad un recente passato, ma probabilmente in molte
realtà tutt’oggi si abusa di questo metodo, soprattutto a causa
dell’impreparazione del personale che andava ad operare in OPG: gli infermieri,
i poliziotti penitenziari, i medici, non seguono dei percorsi formativi
specifici per fare questo tipo di lavoro. Vengono in un certo senso “sbattuti”
li, senza essere preparati a questo tipo di realtà che non ha niente a che
vedere con un “normale” ospedale o un “normale” carcere.
Oggi, ad Aversa, grazie agli
sforzi di alcuni, primo fra tutti il direttore dell’OPG A. Ferraro, sono stati
messi in atto dei percorsi formativi rivolti al personale infermieristico e
alla polizia penitenziaria, grazie ai quali si cerca di limitare l’utilizzo di
mezzi coercitivi come quello sopra indicato insegnando tecniche alternative di
contenimento; ma ciò non basta.
La rivalutazione della funzione
del personale all’interno di questa istituzione, è una questione che non
andrebbe sottovalutata soprattutto in ambito politico, come invece succede, ma
piuttosto risolta perché è il primo passo per poter realmente costruire un percorso
significativo di recupero.
Il primo importante passo per
arrivare a questo consiste nel fare in modo che la società si accorga di queste
persone, affronti queste problematiche più apertamente (non solo con programmi
televisivi in seconda serata) e se ne faccia carico.
E che di conseguenza anche le Istituzioni se ne
interessino, che sappiano ascoltare, rispondere a questi bisogni urlati da
centinaia di persone e sappiano investire le giuste energie e le adeguate
risorse nell’ambito della cura e del recupero, poiché credo sinceramente che
laddove la cura non funziona e il recupero non avviene, tutta la società e il
suo sistema di giustizia falliscono.
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