DAL PARLAMENTO | Valore e dignità della vita umana, MOZIONE BIPARTISAN PER
L’OBIEZIONE DI COSCIENZA di Paola Binetti, Deputato, Parlamento Italiano, Neuropsichiatra
infantile, Professore Ordinario di Storia della Medicina, Campus Biomedico,
Roma; Past President Associazione Scienza & Vita, Newsletter di Scienza
& Vita n. 55, Marzo 2012
Il recente dibattito sul cosiddetto
“testamento biologico” (meglio:
dichiarazioni anticipate di trattamento
o DAT) ha lungamente monopolizzato l’opinione
pubblica italiana sollecitandola a riflettere in modo del tutto peculiare sull’obiezione di coscienza con cui i medici possono rispondere alle eventuali richieste dei malati. Durante l’iter
della legge la figura del medico è
andata acquistando uno spessore e
un’incisività sempre maggiore. Partiti dal principio di autodeterminazione, come
espressione della libertà e
dell’autonomia del paziente, l’attenzione
parlamentare si è progressivamente spostata
dalla volontà del paziente come parametro unico di riferimento verso la peculiarità della sua relazione con il medico, concentrandosi
sull’alleanza terapeutica, che si
stabilisce tra medico e paziente. Integrare qualità di cura e piena autonomia
del soggetto non è un obiettivo
semplice, perché è proprio del processo
di cura prendere atto della fragilità
del paziente, sia sotto il profilo biologico che sotto quello emotivo e cognitivo. La valutazione
del medico non è mai fine a se stessa e
prelude sempre ad una serie di
decisioni, in cui la responsabilità va condivisa
con il paziente, pur lasciando a quest’ultimo
la decisione finale. Per questo serve un’alleanza
in cui medico e malato fronteggiano insieme
la fatica e la sofferenza che la malattia comporta nel suo divenire fatto anche di precisi e concreti supporti terapeutici. E’ importante trasmettere al malato la certezza che non
resterà mai solo, né in famiglia né sul
piano clinico-assistenziale. Il “suo”
medico è lì per prendere insieme le decisioni necessarie, senza sostituirsi a lui, ma senza
fargli sperimentare l’angoscia
dell’abbandono o l’anonimato di una
relazione indifferente. La condivisione
della responsabilità richiede decisioni consensuali
da adattare alla malattia mentre progredisce,
cambia volto e pone nuovi quesiti. E’ il tempo terapeutico della elaborazione delle informazioni, che richiedono una loro metabolizzazione, per poter rappresentare un
fattore di protezione e non un fattore
di stress. La riflessione sulle DAT
entra nel vivo della relazione medicopaziente, per chiedersi quali siano i
rispettivi compiti davanti alle nuove
sfide che le conquiste tecnicoscientifiche pongono alla medicina. L’opinione pubblica si chiede se la vita umana ha sempre
e per tutti uno stesso altissimo valore,
oppure se ci sono vite che meritano di essere vissute e vite che
non lo meritano. Si chiede se accanto al
diritto alla vita esista anche un
diritto alla morte e perfino un diritto al
suicidio; se davvero siamo tutti uguali nei nostri diritti come recita l’art. 3 della
Costituzione italiana o se il diverso
stato di salute crea una classe di differenze
che la Costituzione non ha preso adeguatamente
in considerazione. Da sempre compito
della medicina è stato il prendersi cura di qualcuno, ma nelle pieghe del discorso sulle
DAT si annida un quesito totalmente
diverso. Un quesito che nasce
contestualmente nell’alveo della medicina dei desideri e nell’alveo della visione
aziendalistica della sanità. Abbiamo un
paziente che da un lato conferisce ai
suoi desideri valore di necessità e dall’altro,
considerandosi cliente all’interno del sistema
sanitario nazionale, pretende che le sue decisioni abbiano immediata e concreta
attuazione. Si saldano così l’approccio
emotivo: mi piacerebbe che… vorrei che… alla richiesta che ne consegue: devi darmi questo o quello, perché mi spetta
di diritto. Entrambi gli atteggiamenti
sono svalutativi nei confronti del
medico e lo riducono al ruolo di mero
esecutore di desideri e direttive di
altri. Per salvare l’autodeterminazione
del paziente si scivola verso
l’etero-direzione del medico, si accentua la libertà del primo a scapito della responsabilità del secondo: si mette in discussione il suo
diritto alla obiezione di coscienza. Per
questo un gruppo di parlamentari ha
recentemente presentato alla Camera una
mozione che in continuità con le decisioni prese dalla Assemblea Parlamentare
del Consiglio di Europa ha ribadito
(Raccomandazione 1763, approvata il 7
ottobre 2010) che nessuna persona,
ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta
responsabile o discriminata se rifiuta di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre
un paziente ad un aborto o eutanasia o
qualsiasi altro atto che potrebbe
causarne la morte. L’Assemblea parlamentare
ha sottolineato la necessità di affermare
il diritto all'obiezione di coscienza insieme con la responsabilità dello Stato per
assicurare che i pazienti siano in grado
di accedere a cure mediche lecite in
modo tempestivo. L’Assemblea ha invitato il Consiglio d’Europa e gli Stati membri ad
elaborare normative complete e chiare
che definiscano e regolino l'obiezione
di coscienza in materia di servizi sanitari
e medici, volte soprattutto a garantire il diritto all’obiezione di coscienza. 13 14 In
materia di obiezione di coscienza si
devono ricordare le indicazioni
contenute: nel IV Articolo dei
Principi di Nuremberg; nell’Art. 10.2
della Carta dei Diritti Fondamentali
della unione Europea; negli Artt. 9 e
14 della Convenzione Europea dei Diritti
Umani; nell’Art. 18 della Convenzione Internazionale dei Diritti Civili e Politici; perché il diritto alla obiezione di coscienza
non può essere in nessun modo
‘bilanciato’ con altri diritti, in quanto
rappresenta il simbolo, oltre che il diritto umano, della libertà nei confronti degli Stati
e delle decisioni ingiuste e
totalitarie. La mozione è iniziativa dei
deputati Luca Volontè (Udc), Giuseppe
Fioroni (Pd), Eugenia Roccella (Pdl), Massimo
Polledri (Lega Nord), Rocco Buttiglione (Udc), Paola Binetti (Udc), Luisa Capitanio Santolini
(Udc), Marco Calgaro (Udc), Domenico Di
Virgilio (Pdl) e Alfredo Mantovano
(Pdl).
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