Welfare cattolico sotto pressione di Roberto Turno, 4 aprile 2012, http://www.ilsole24ore.com
Il motore, la prima forza
trainante sono le parrocchie. Sono diffusi per la metà al nord, Lombardia in
testa, ma nelle "regioni rosse" per eccellenza, Toscana ed Emilia
Romagna, l'offerta per abitante è maggiore che nel resto d'Italia. Possono
contare su un esercito di 420mila operatori, il 67% volontari no profit e solo
134mila laici retribuiti.
Ospedali grandi e piccoli, case
di riposo per anziani e case famiglia, centri per disabili, servizi di
ambulanza, fondazioni anti usura, strutture e mense per gli immigrati e per i
poveri, comunità alloggio per mamme e bambini, centri per le famiglie di
detenuti, comunità per la pronta accoglienza. Eccolo il Welfare della Chiesa.
Una galassia di 14.214 servizi sparsi per il Paese, il 2% nati prima del
Novecento, quando la Chiesa era leader incontrastata nell'assistenza
socio-sanitaria, prima che lo Stato decidesse a fasi alterne di occuparsene
come proprio compito e dovere.
È un universo di grandi e piccole
realtà, di missioni spesso sconosciute e di volontari invisibili, quella che
emerge dall'identikit appena tracciato col censimento delle «Opere sanitarie e
sociali ecclesiali» promosso dall'ufficio nazionale per la pastorale della
sanità della Cei e dalla Consulta degli organismi socio-assistenziali. Una foto
di gruppo capillare, voluta e realizzata per misurare l'attività attuale con le
necessità imposte da un Welfare pubblico che cambia. Ma anche per contarsi,
mettere in chiaro forze e debolezze di un'offerta che sta scontando la crisi
stessa del Welfare. E naturalmente la crisi dei conti pubblici, che per quanto
riguarda la spesa sanitaria ha messo ormai da tempo a nudo tutti i dubbi sulla
tenuta economica della sanità pubblica e delle garanzie socio-assistenziali in
genere. Una crisi che il rapporto tratta solo apparentemente tra le righe.
Anche se i casi
dell'"ospedale del Papa", il Gemelli di Roma, e in genere
dell'ospedalità cattolica, dal Lazio alla Lombardia fino alla Puglia, non sono
semplicemente sullo sfondo. Non il "caso San Raffaele", che è
ufficialmente fuori del perimetro ecclesiale.
La mappa fortemente voluta dalla
Cei dopo quella solo parziale realizzata più di dieci anni fa, d'altra parte,
evita di entrare nel merito dei contenziosi e delle partite economiche in
gioco. O di valorizzare il patrimonio delle proprie imprese. Ma non per questo
manca di lanciare precisi messaggi proprio nel momento in cui la crisi,
appunto, e la costruzione del nuovo Welfare, a partire già dalla riforma del
mercato del lavoro e presto anche dei cambiamenti annunciati nel il servizio
sanitario pubblico, imporranno la costruzione di nuovi modelli di assistenza.
Con meno risorse. E con le povertà destinate a crescere.
Non sono un caso, allora, le
parole che il rapporto in fase ormai finale della Cei di cui ha dato ampia
anticipazione il settimanale «Il Sole-24 Ore Sanità», spende in merito al suo
legame col sistema di assistenza sociale pubblico. «L'impressione è che si stia
tornando a quel concetto di supplenza, allora "tollerata" e spesso
ideologicamente contrastata, che aveva caratterizzato il nostro sistema fino
agli anni Ottanta». Il dubbio, la preoccupazione, è di essere relegati a un
ruolo di «supplenza del pubblico». E allora: «Se il ruolo di supplenza del
pubblico poteva avere un senso in un diverso quadro di ordinamento e di presenza
(nel 1960) di una spesa pubblica pari al 2% del pil e di una spesa per
protezione sociale del 15%, lo è molto meno oggi con al spesa pubblica che
assorbe più della metà del pil e la protezione sociale più di un quarto».
Di qui il pericolo fiutato dalla
Cei, con tanto di non casuale rimando alla Costituzione (articoli 2, 4 e 118):
«L'impressione è di essere davanti a un concetto distorto di sussidiarietà e a
una utilizzazione del dovere di solidarietà strumentalmente dettati da esigenze
di finanza pubblica e dalle inadeguatezze della pubblica amministrazione».
Un atto d'accusa neppure velato
al sistema in atto. E a quello che potrebbe nascere dopo le riforme in itinere
con la crisi che morde. Ma anche a una burocrazia e a uno stato invadente nel
quale non sempre la risposta ai bisogni socio-sanitari è il motore
dell'attività e dei servizi pubblici. Il censimento della Cei evidenzia intanto
un radicamento diffuso e articolato nella società italiana. Col 62,3% di
servizi socio-sanitari e sociali non residenziali, il 31,2% residenziali e solo
il 6,4% dedicato specificamente all'assistenza sanitaria.
Con le parrocchie prime gestori
(25,9%) soprattutto di servizi socio-sanitari o sociali non residenziali,
seguite dalle associazioni di volontariato (21,1%) e dagli istituti di vita
consacrata e dalle Società di vita apostolica(11,1%). Quasi due terzi delle
opere cattoliche hanno meno di vent'anni, ma più della metà sono nate
nell'ultimo decennio. Segno di bisogni sociali in crescita, di un'offerta
pubblica che non ce la fa più e della crisi che soffia forte e che le opere
religiose cercano di affrontare. Ma con pecche che il rapporto non si nasconde:
la massima diffusione al nord (48%), in particolare nel nord-ovest (26%),
mentre nel sud e nelle isole, dove i bisogni sono maggiori, l'offerta è ancora
troppo bassa (28%).
Anche la questione meridionale,
chiarisce il rapporto della Cei, dovrà essere infatti uno dei punti di
ripartenza dell'offerta socio-sanitaria cattolica. Come la non autosufficienza,
altro nervo scoperto del sistema pubblico. E come i dilemmi che pone, e che
sempre più porrà il federalismo fiscale. «La presenza diffusa delle opere
religiose – afferma monsignor Andrea Manto, segretario dell'ufficio nazionale
della Cei per la Pastorale della Sanità – rappresenta un forte elemento di
unità nazionale e di identità. Sono la via maestra per tutelare la salute in
maniera sostenibile».
Ma attenzione, aggiunge: «Molto
spesso le opere ecclesiali riescono a dare risposte là dove l'offerta dei
servizi regionali è carente. E nella gran parte dei casi, a parità d'offerta,
costano meno del servizio pubblico e danno risposte riconosciute e apprezzate».
Questione d'orgoglio cattolico, ma non solo. Che spiega perché la crisi del
Gemelli di Roma col suo credito di 800 milioni non pagati dalla regione Lazio,
e i casi di tutti gli ospedali religiosi, anche se non citati, siano nel cuore
del rapporto della Cei.
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