Cinque giorni dopo può trattarsi di un aborto di Renzo Puccetti, 03-04-2012,
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È arrivata nelle farmacie
italiane la pillola dei cinque giorni dopo, la molecola di cui è composta ha il
nome acidulo di ulipristal acetato, dovremo cominciare a fare l’orecchio ad
esso, anche perché è probabile l’arrivo di una formulazione a più basso
dosaggio della stessa sostanza per la terapia dei fibromi uterini. Questa
occasione offre lo spunto per svolgere alcune riflessioni, la prima delle quali
credo debba riguardare l’ambiente pro-life: negli oltre due anni che sono
trascorsi da quando l’azienda che la produce ha fatto richiesta centralizzata
di approvazione all’Ente dei farmaci europeo (EMEA) quali iniziative concrete
sono state messe in campo? È amaro dirlo, ma riesco solo a ricordare un
parlare, e parlare, e parlare; giusto quello che diceva la giovane Amanda
Sandrelli a Trosi nel film “non ci resta che piangere”. Già anche qui verrebbe
da dire non ci resta che piangere.
La seconda considerazione
riguarda i media. Come funghi sono comparsi sugli schermi ed hanno fatto
sentire la loro voce dai microfoni dell’emittente statale stormi di professori,
cattedratici, luminari, tutti a dirci la stessa cosa: tranquilli, non c’è
motivo di allarmarsi, questa pillola non provoca alcun aborto, è un semplice
contraccettivo, anzi è stato testualmente affermato che il suo meccanismo
d’azione è semplicemente d’inibire l’ovulazione come tutti i contraccettivi.
Questo aspetto merita almeno due risposte. La prima ha a che fare col metodo.
Possibile che l’emittente di Stato, pagata con i soldi di tutti, dia voce ad
una sola campana, senza rappresentare anche pareri contrari, o quanto meno
senza dare la possibilità di replica agli esperti che compongono l’organo
istituzionalmente preposto a prendere le decisioni e che ha inserito la
criticata clausola del test di gravidanza obbligatorio (provvedimento peraltro
inutile a tutelare l’embrione prima dell’annidamento nell’utero)? Non sarebbe
norma di correttezza e trasparenza che il benvenuto a suddetta pillola fosse
preceduto da una richiesta di disclosure su possibili conflitti d’interesse
nelle forme più varie: consulenze, borse di studio, assegni di ricerca,
finanziamenti indiretti, magari per congressi, macchinari e altro ancora?
Ancora peggio va sul contenuto:
l’Ulipristal solo un antiovulatorio? Un antiovulatorio come tutte le pillole
contraccettive? Verrebbe da pensare che chi lo afferma abbia pubblicato studi
capaci di dimostrare la tesi, ma quando la ricerca viene fatta sulle banche
dati scientifiche internazionali i chiarissimi professori in questione non
risultano avere pubblicato studi specifici in proposito, non si trova niente,
nulla, nisba. Non rimane allora che seguire la via maestra di andarsi a
studiare ciò che i ricercatori hanno pubblicato sulle riviste
medico-scientifiche internazionali. In particolare credo rappresenti un buon
modello sperimentale lo studio che Pamela Stratton, ginecologa e ricercatrice
al George Washington University Medical Center, ha condotto insieme a colleghi
dello stesso istituto e del National Institute of Health di Bethesda e
pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility nell’aprile del 2010. Quello
studio ha il particolare di avere somministrato l’ulipristal acetato dopo
l’ovulazione, cioè quando l’effetto anti-ovulatorio evocato in questi giorni
come unico meccanismo d’azione della pillola dei cinque giorni dopo, non era
più possibile. In quello studio la pillola induceva una significativa riduzione
dello spessore endometriale, un incremento dei recettori ghiandolari per il
progesterone ed una tendenziale maggiore incidenza di ritardo maturativo
dell’endometrio che secondo gli stessi autori, in un campione numericamente
allargato, con molta probabilità diventerebbe statisticamente significativo. Si
tratta di alterazioni che per Stratton e colleghi “may hamper implantation”,
possono cioè ostacolare l’impianto dell’embrione. Pamela Stratton e gli autori
dell’articolo si sono sbagliati? A due anni dalla pubblicazione registro che
nessuna contestazione è giunta a quel lavoro.
È stato detto che la pillola dei
cinque giorni dopo agisce soltanto attraverso il blocco dell’ovulazione al pari
delle altre pillole contraccettive. Ma se è così, come mai leggo sul sito della
Società Italiana per la Contraccezione (SIC) un’intervista al suo
presidente segnalatami da un carissimo
amico ginecologo, nella quale, in riferimento alla pillola del giorno dopo, il
levonorgestrel, si afferma che “Non è ancora escluso che in alcune fasi del
ciclo femminile determini un cripto-aborto”? Anche la pillola del giorno dopo è
venduto come contraccettivo, eppure anche per il presidente della SIC non è
escluso che possa provocare degli aborti nascosti, cioè la stessa cosa che per
la Stratton fa la pillola dei cinque giorni dopo. Se poi tutti i contraccettivi
agiscono soltanto bloccando l’ovulazione, come mai sul sito ufficiale della
Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia (SIGO), nella sezione rivolta al
pubblico per spiegare il meccanismo d’azione della normale pillola
estro-progestinica è scritto che essa “provoca un assottigliamento
dell’endometrio, la mucosa dell’utero, che diventa, quindi, meno adatto
all’eventuale impianto di un ovulo (azione antiannidamento)”?
Si dà peraltro il caso che tutta
la letteratura scientifica attesti l’interesse delle stesse donne ad essere
informate in modo corretto sul possibile meccanismo d’azione dei farmaci che
vengono venduti come contraccettivi. Non fa forse parte questo del consenso
informato? Non ne va forse di quell’autonomia della donna? Assumere una sostanza
e poi scoprire che ciò configge con le proprie convinzioni morali, non può
potenzialmente avere conseguenze sfavorevoli per la salute psichica di queste
donne? Rilasciare pubbliche dichiarazioni che ignorano lo stato delle
conoscenze ad oggi acquisite, siamo certi che costituisca un esempio di
corretta informazione? Vogliamo sperare che i colleghi e l’emittente di Stato
vorranno rimediare. Spes lata dea.
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