Contrordine, non fa più così caldo di Riccardo Cascioli, 03-04-2012, http://www.labussolaquotidiana.it/
«È vero che il clima sta
diventando più estremo? […]
Nessuno degli strumenti [qui menzionati] è
stato ancora sufficientemente sviluppato per consentirci di rispondere
confidentemente alla domanda qui posta».
E’ la stupefacente risposta che
si legge nel voluminoso rapporto sui disastri naturali pubblicato in questi
giorni dall’IPCC, cioè il comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici
che fa capo all’Onu. Perché stupefacente? Perché sono ormai anni e anni che ci
sentiamo ripetere con assoluta certezza che il riscaldamento globale sta
provocando eventi atmosferici sempre più estremi, e a fornire le basi per
generare continui allarmi sono proprio i rapporti dell’IPCC. I più ricorrenti
sono quelli riguardanti gli uragani, che crescerebbero di intensità, ma anche
qui in Italia, a ogni nubifragio o nevicata, c’è una gara fra sedicenti
climatologi a descrivere questi fenomeni come eventi estremi causati dal
riscaldamento globale. Ora invece è proprio l’IPCC ad affermare che non ci sono
elementi per tale affermazione.
Ma non è l’unica sorpresa di
questi giorni: il Met Office britannico (l’Ufficio meteorologico sempre in
prima linea nel fomentare paure da cambiamento del clima) ha pubblicato dei
dati sul rilevamento delle temperature da cui si evince che non si è registrato
alcun aumento globale delle temperature negli ultimi 15 anni, un intervallo di
tempo che mette in crisi gli attuali modelli climatici. I rapporti IPCC del
2001 e del 2007 prevedevano infatti che a causa delle crescenti emissioni di
gas serra si sarebbe verificato un aumento medio di 0.2 gradi Celsius ogni
dieci anni. Una previsione, si diceva, compatibile anche in presenza di
decenni con incrementi maggiori o
minori. Variazioni significative per definire il clima vengono infatti
calcolate su un arco di almeno 30 anni. Il problema è però che 15 anni
cominciano ad essere un intervallo talmente ampio da rendere difficile prevedere
un’impennata di temperature nei prossimi 15 anni tale da riportare alla media
di 0.2 gradi per decennio.
In ogni caso non è possibile
prevedere ciò che accadrà nei prossimi decenni, il che però dovrebbe spingere a
una maggiore prudenza sia la scienza sia la politica. «E’ ora – ha affermato
David Whitehouse, direttore scientifico del Global Warming Policy Foundation –
che la comunità scientifica in generale e l’IPCC in particolare riconoscano la
realtà del congelamento delle temperature e la sfida che questo implica per la
comprensione dei cambiamenti climatici e per le stime sui suoi futuri effetti.
Questa è la dimostrazione – prosegue Whitehouse – che al proposito la scienza
non può offrire una risposta definitiva, e che ci sono grandi incertezze riguardo
alla conoscenza dei vari effetti sul mondo reale dei gas serra combinati con
fattori naturali e antropogenici».
Ma la questione già da molto
tempo ha smesso di essere un argomento puramente accademico. La realtà è invece
che la tesi del riscaldamento globale antropogenico – cioè causato dall’uomo –
è diventata la base su cui imporre una serie di politiche globali ambientali, a
partire da quelle energetiche. Dando erroneamente per scontata l’assoluta
certezza del rapporto tra emissioni antropogeniche di gas serra e aumento delle
temperature, l’obiettivo che i governi – a cominciare da quelli europei - si
sono posti nelle varie conferenze internazionali sul clima che si succedono
ormai da molti anni, è quello di frenare l’aumento delle temperature globali a
due gradi entro il 2100.
Presupposto di questo obiettivo è
che siano le emissioni di gas serra da parte dell’uomo a causare il
riscaldamento dell’atmosfera, per questo la UE sta procedendo a tappe forzate
per disincentivare l’uso di combustibili fossili e finanziare il ricorso a
fonti rinnovabili di energia.
Si tratta di uno sforzo
finanziario enorme che, come gli ultimi dati confermano, ha però un fondamento
scientifico molto dubbio che non giustifica l’isteria climatica nella quale
viviamo. Oltretutto, le misure economiche legate alle politiche climatiche
vanno nella direzione dell’imposizione di tasse (carbon tax e simili) come
dimostra anche il caso italiano, il che significa accentuare ulteriormente il
carattere depressivo delle manovre fin qui fatte per far quadrare i conti dello
Stato.
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