lunedì 2 aprile 2012


EMBRIONI CRIOCONSERVATI| Riflessioni giuridiche - UNA POSSIBILITÁ DI SVILUPPO PER LE “VITE SOSPESE” di Alberto Gambino, Professore Ordinario di Diritto Civile, Università Europea di Roma; Direttore del Dipartimento di Scienze Umane, Newsletter di Scienza & Vita n. 55, Marzo 2012

Il tema del congelamento degli embrioni e della loro  prospettiva di nascita merita un ulteriore  approfondimento a seguito della sentenza della Corte  costituzionale n.151del 2009, che ha introdotto una  deroga al divieto legale di crioconservazione. In   particolare, con la declaratoria di incostituzionalità delle  parole “ad un unico e contemporaneo impianto,  comunque non superiore a tre” (art. 14, comma 2, legge  40), la sentenza della Corte (che ha forza di legge)  giustifica il differimento  dell’impianto rispetto alla  produzione dell’embrione, ove in particolare ciò  consegua a scelta medica. Significativa è l’affermazione  con cui si rileva nella finalità della legge “un  affievolimento della tutela dell’embrione al fine di  assicurare concrete aspettative di gravidanza” cosicché  “la tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma  limitata dalla necessità di individuare un giusto  bilanciamento con la tutela delle esigenze di  procreazione”.   Intanto è da osservare  - e in pochi lo hanno fatto - come  la Corte non si sia preoccupata di valutare la correttezza  costituzionale dell’asserito  “affievolimento” del diritto  alla vita dell’embrione in punto di conformità ai diritti  inviolabili della Carta: infatti altro è il bilanciamento tra  la lesione alla salute psico-fisica della donna con il  diritto all’integrità del feto, su cui invece si è  pronunciata la Corte con riferimento alla legge 194, altro  è il confronto tra il diritto all’integrità dell’embrione e il  desiderio di avere figli, che nella legge 40 assume il  rango giuridico di diritto  all’acceso delle tecniche  fecondative artificiali.   Aldilà di questa “omissione”, sono però state avanzate  alcune letture che creano confusione, tra cui quella di un  declassamento dell’embrione che ne farebbe considerare  lecita una produzione pressoché arbitraria nel numero.  Come si è ricordato, la  Corte costituzionale, pur  dichiarando illegittima la fissazione per legge di un  numero massimo di embrioni da produrre, ha  avvalorato la regola secondo cui le tecniche non devono  produrre un numero di embrioni superiore a quello  strettamente necessario allo scopo procreativo.   Tuttavia è giocoforza osservare che mentre prima della  declaratoria di incostituzionalità, l’ipotesi della  crioconservazione era del tutto residuale, stante  l’obbligo di contestuale  produzione e impianto  dell’embrione, ora, dopo la  sentenza della Corte, si  registrano sempre più di frequente vicende di embrioni  crioconservati. Se, dunque, il problema bioetico della  sorte degli embrioni congelati si poneva  - prima della  decisione della Corte - solo con riferimento a quelli  generati prima dell’entrata in vigore della legge 40, ora il  più largo utilizzo della tecnica di crioconservazione  cambia lo scenario. E per non pochi dei nuovi embrioni  congelati la crioconservazione finisce per diventare  irreversibile, vuoi per motivi di ordine medico, vuoi per  il rifiuto della donna, che nel frattempo abbia conseguito  una gravidanza a seguito dell’impianto di uno degli altri  embrioni. E’ noto che in ordine al destino degli embrioni  crioconservati, senza aspettativa  di  impianto  nell’utero  della madre, si registrano alcune tesi che, facendo leva  su una paventata irrispettosità verso la dignità umana di  una conservazione sine die  (per quanto in questo senso  appaia in realtà non rispettoso proprio il suo fatto  scatenante e cioè la produzione in provetta di esseri  umani), propendono per l’intenzionale e programmata  distruzione dell’embrione a scadenze temporali  predeterminate oppure per l’ipotesi apparentemente  umanitaria di destinare questi embrioni alla ricerca  scientifica. Ora è chiaro che nessuno di tali esiti appare  coerente con la natura umana dell’embrione, ma resta  evidente che nell’attuale intemperie culturale, distante  dal cogliere il mistero di una vita congelata, sia  “soltanto” il dettato della legge a rappresentare un  valido presidio. Il divieto generale di soppressione degli  embrioni, previsto dalla legge 40, comprende anche  quelli non impiantabili, specie se si osserva che la stessa  legge, con riguardo alla sorte degli embrioni  eccezionalmente soprannumerari, ha già optato per la  loro conservazione, con ciò cristallizzando  normativamente una  ratio preferenziale verso una loro  tenuta in vita, anche quando fosse incerto il loro destino.  Attualmente, dunque, la crioconservazione degli  embrioni “abbandonati” potrà essere interrotta soltanto  ove ne venga accertata la morte, che tuttavia neanche il  5 decorso del tempo segna con certezza. Tale verifica, allo  stato della tecnica, può così attuarsi solo con lo  scongelamento dell’embrione, che tuttavia - non  potendosi operare il ricongelamento – diverrebbe in  molti casi proprio la causa della morte. Di qui la  prospettiva della scelta odierna di conservare a tempo  indeterminato gli embrioni congelati.   Davanti a questa realtà, mutata per dimensione e  causalità (il congelamento non è più eccezione ma regola  giuridificata dalla Corte costituzionale italiana, con un  esponenziale incremento di embrioni abbandonati e  dormienti in azoto liquido) appare opportuno prendere  maggiore coscienza del problema. Anche rivalutando se,  a fronte di diffuse spinte utilitaristiche e la difficile  comprensione del senso di un numero crescente di vite  “sospese”, non sia preferibile una possibilità di sviluppo  con la messa a disposizione dell’embrione ad altre  coppie intenzionate ad assicurarne il trasferimento e la  nascita.   

Nessun commento:

Posta un commento