EMBRIONI CRIOCONSERVATI| Riflessioni giuridiche - UNA POSSIBILITÁ DI
SVILUPPO PER LE “VITE SOSPESE” di Alberto Gambino, Professore Ordinario di
Diritto Civile, Università Europea di Roma; Direttore del Dipartimento di
Scienze Umane, Newsletter di Scienza & Vita n. 55, Marzo 2012
Il tema del congelamento degli
embrioni e della loro prospettiva di
nascita merita un ulteriore approfondimento
a seguito della sentenza della Corte costituzionale
n.151del 2009, che ha introdotto una deroga
al divieto legale di crioconservazione. In
particolare, con la declaratoria
di incostituzionalità delle parole “ad
un unico e contemporaneo impianto, comunque
non superiore a tre” (art. 14, comma 2, legge 40), la sentenza della Corte (che ha forza di
legge) giustifica il differimento dell’impianto rispetto alla produzione dell’embrione, ove in particolare
ciò consegua a scelta medica.
Significativa è l’affermazione con cui
si rileva nella finalità della legge “un affievolimento della tutela dell’embrione al
fine di assicurare concrete aspettative
di gravidanza” cosicché “la tutela
dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un
giusto bilanciamento con la tutela delle
esigenze di procreazione”. Intanto
è da osservare - e in pochi lo hanno
fatto - come la Corte non si sia
preoccupata di valutare la correttezza costituzionale
dell’asserito “affievolimento” del
diritto alla vita dell’embrione in punto
di conformità ai diritti inviolabili
della Carta: infatti altro è il bilanciamento tra la lesione alla salute psico-fisica della
donna con il diritto all’integrità del
feto, su cui invece si è pronunciata la
Corte con riferimento alla legge 194, altro è il confronto tra il diritto all’integrità
dell’embrione e il desiderio di avere
figli, che nella legge 40 assume il rango
giuridico di diritto all’acceso delle
tecniche fecondative artificiali. Aldilà
di questa “omissione”, sono però state avanzate alcune letture che creano confusione, tra cui
quella di un declassamento dell’embrione
che ne farebbe considerare lecita una
produzione pressoché arbitraria nel numero. Come si è ricordato, la Corte costituzionale, pur dichiarando illegittima la fissazione per
legge di un numero massimo di embrioni
da produrre, ha avvalorato la regola
secondo cui le tecniche non devono produrre
un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario allo scopo
procreativo. Tuttavia è giocoforza osservare che mentre
prima della declaratoria di
incostituzionalità, l’ipotesi della crioconservazione
era del tutto residuale, stante l’obbligo
di contestuale produzione e impianto dell’embrione, ora, dopo la sentenza della Corte, si registrano sempre più di frequente vicende di
embrioni crioconservati. Se, dunque, il
problema bioetico della sorte degli
embrioni congelati si poneva - prima
della decisione della Corte - solo con
riferimento a quelli generati prima
dell’entrata in vigore della legge 40, ora il più largo utilizzo della tecnica di
crioconservazione cambia lo scenario. E
per non pochi dei nuovi embrioni congelati
la crioconservazione finisce per diventare irreversibile, vuoi per motivi di ordine
medico, vuoi per il rifiuto della donna,
che nel frattempo abbia conseguito una
gravidanza a seguito dell’impianto di uno degli altri embrioni. E’ noto che in ordine al destino
degli embrioni crioconservati, senza
aspettativa di impianto
nell’utero della madre, si
registrano alcune tesi che, facendo leva su una paventata irrispettosità verso la
dignità umana di una conservazione sine
die (per quanto in questo senso appaia in realtà non rispettoso proprio il suo
fatto scatenante e cioè la produzione in
provetta di esseri umani), propendono
per l’intenzionale e programmata distruzione
dell’embrione a scadenze temporali predeterminate
oppure per l’ipotesi apparentemente umanitaria
di destinare questi embrioni alla ricerca scientifica. Ora è chiaro che nessuno di tali
esiti appare coerente con la natura
umana dell’embrione, ma resta evidente
che nell’attuale intemperie culturale, distante dal cogliere il mistero di una vita congelata,
sia “soltanto” il dettato della legge a
rappresentare un valido presidio. Il
divieto generale di soppressione degli embrioni,
previsto dalla legge 40, comprende anche quelli non impiantabili, specie se si osserva
che la stessa legge, con riguardo alla
sorte degli embrioni eccezionalmente
soprannumerari, ha già optato per la loro
conservazione, con ciò cristallizzando normativamente
una ratio preferenziale verso una loro tenuta in vita, anche quando fosse incerto il
loro destino. Attualmente, dunque, la
crioconservazione degli embrioni
“abbandonati” potrà essere interrotta soltanto ove ne venga accertata la morte, che tuttavia
neanche il 5 decorso del tempo segna con
certezza. Tale verifica, allo stato
della tecnica, può così attuarsi solo con lo scongelamento dell’embrione, che tuttavia -
non potendosi operare il ricongelamento
– diverrebbe in molti casi proprio la
causa della morte. Di qui la prospettiva
della scelta odierna di conservare a tempo indeterminato gli embrioni congelati. Davanti
a questa realtà, mutata per dimensione e causalità (il congelamento non è più eccezione
ma regola giuridificata dalla Corte
costituzionale italiana, con un esponenziale
incremento di embrioni abbandonati e dormienti
in azoto liquido) appare opportuno prendere maggiore coscienza del problema. Anche
rivalutando se, a fronte di diffuse
spinte utilitaristiche e la difficile comprensione
del senso di un numero crescente di vite “sospese”, non sia preferibile una possibilità
di sviluppo con la messa a disposizione
dell’embrione ad altre coppie
intenzionate ad assicurarne il trasferimento e la nascita.
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