Intorno al libro di Monod: la teleonomia dei viventi come paradosso, di
Umberto Fasol, docente di scienze naturali (http://ilprogettoinbiologia.wordpress.com),
25 ottobre, 2011, http://www.uccronline.it/
“Con questo articolo diamo avvio
alla collaborazione con Umberto Fasol, laureato in Scienze Biologiche a Padova,
docente di scienze naturali in un Liceo di Verona, di cui è preside. Esperto di
evoluzione, morfogenesi, cosmologia e bioetica, collabora con la rivista
“Emmeciquadro”, “Nuovaseconaria” e con “Il Timone”, nel 1984 ha pubblicato sulla Rivista
internazionale di Biologia “Meccanismi epigenetici nella morfogenesi dei
vertebrati”, nel 2007 il libro “La creazione della vita” (Fede e Cultura)”, nel
2010 i libri “La vita una meraviglia”
(Fede e Cultura) e “Evoluzione o Complessità? La nuova sfida della
scienza moderna” (Fede e Cultura). Il prof. Fasol si è reso anche disponibile a
rispondere a domande, dubbi ed eventuali critiche che potranno essere postate
nei commenti sotto l’articolo”.
Il saggio sulla filosofia
naturale della biologia contemporanea scritto dal Premio Nobel per la medicina
Jacques Monod nel 1970, “Il Caso e la Necessità”, rimane una pietra miliare nel
nostro dibattito sulla natura della vita, sulla sua complessità e sulla sua
origine. Particolarmente lucido ed assertivo risulta il filo rosso che unisce
tutte le pagine e tutti i capitoli trattati: “il carattere teleonomico degli
esseri viventi, per cui nelle loro strutture e prestazioni essi realizzano e
perseguono un progetto” (pag. 30). La grande sfida per la riflessione
filosofica sulla natura della vita è dunque costituita dalla teleonomia degli
esseri viventi: il libro la affronta, la analizza e la rilancia di continuo,
cogliendola da prospettive diverse, prese soprattutto dall’ambito della
biologia molecolare. L’interrogativo fondamentale, cui si vuole rispondere è
questo: “la teleonomia è reale o è solo apparente?”, ovvero: “è frutto di una
scelta o è l’unica possibilità?”. Prima di giungere alla risposta procediamo
per gradi.
Prima di tutto definiamo la
teleonomia attraverso un esempio. “Se si ammette che l’esistenza e la struttura
della macchina fotografica realizzano il progetto di captare immagini, si deve
anche necessariamente ammettere che un progetto simile si attua nella comparsa
dell’occhio di un vertebrato. … Lenti, diaframma, otturatore, pigmenti
fotosensibili: le stesse componenti non possono essere state predisposte, nei
due oggetti, che per fornire prestazioni simili. E’ impossibile concepire un
esperimento in grado di provare la non esistenza di un progetto, di uno scopo
perseguito, in un punto qualsiasi della Natura” (pag. 30). Con tale
affermazione categorica si cancella qualunque dubbio il lettore o il
ricercatore potesse avere in proposito: il progetto c’è!
Si può e anzi si deve dunque
parlare di progetti nelle forme di vita, senza il pudore che tutti gli
insegnanti manifestano quando parlano con gli studenti: l’occhio serve per
vedere, il cuore serve come pompa per spingere il sangue in tutti i distretti
cellulari, le ali sono strutture disegnate per consentire il volo, ecc…
Ricordiamo il celebre intervento del card. Schonborn sul New York Times, il 7
luglio del 2005, con un clamoroso “Finding design in Nature”, mirato ad
accusare “di ideologia ogni scuola di pensiero scientifico che voglia escludere
l’idea di progetto in natura”. Qual è dunque il problema se Monod prima e
Schonborn poi, da prospettive filosofiche opposte, parlano di “disegno” in
Natura come un’evidenza, che addirittura non si può smentire in modo
sperimentale?
Il problema nasce nel momento in
cui si vuole indicare la fonte di questi progetti, che non può assolutamente
essere metafisica, per la scienza, in virtù del “postulato dell’oggettività
della Natura, vale a dire il rifiuto sistematico a considerare qualsiasi
interpretazione dei fenomeni in termini di cause finali, cioè di progetto”
(pag. 29). Detto in modo diverso: il progetto c’è, ma non può essere spiegato
con un altro progetto che lo precede. Esso nasce spontaneamente ogni volta che
si forma la vita, non per scelta specifica, ma per l’esclusione automatica di
tutte le altre possibilità, per opera sia della conformazione iniziale che
della selezione naturale. E’ il concetto di gratuità che viene in soccorso di
questa interpretazione. La gratuità è l’indipendenza chimica tra la natura
molecolare del segnale e la funzione stessa che vuole realizzare. L’esempio più
famoso è dato dal codice genetico. Non esiste alcuna relazione chimica tra la
tripletta di nucleotidi e il suo significato, ovvero l’amminoacido specificato:
la parola UUU significa la fenilalanina, ma per pura convenzione, non per
complementarietà tridimensionale o per affinità chimica. Un altro esempio si
può ricavare dal mondo degli ormoni. L’insulina è l’ormone prodotto dalle
cellule beta delle isole del Langherhans del pancreas ed ha come bersaglio il
glucosio del sangue: lo spinge all’interno delle membrane cellulari, abbassando
così la glicemia. Bene: la relazione tra la molecola di insulina e il suo
significato, ovvero la molecola di glucosio, è assolutamente gratuita:
osservando la natura della prima non si può prevedere nulla della sua funzione.
Allora, ecco la conclusione di
Monod: se i codici della vita sono gratuiti, significa che “tutto è possibile”:
quando si formano le strutture vitali la completa libertà di scelta tra le
infinite opzioni, essendo queste sciolte da qualsiasi vincolo chimico,
costringe di fatto la natura ad escludere tutte quelle possibilità che non si
configurano. Si afferma solo quella possibilità che “obbedisce meglio ai soli
vincoli fisiologici, grazie ai quali tutto verrà selezionato secondo la maggior
coerenza ed efficacia che conferirà alla cellula o all’organismo”. Qual è
allora la fonte della teleonomia? La causa ultima è la disposizione casuale dei
nucleotidi del DNA che determina una sequenza altrettanto casuale di
amminoacidi, che genera poi a cascata tutti gli eventi che caratterizzano il
fenomeno della vita. Interessante, ma discutibile, la definizione di casualità
del DNA come “assenza di regole che permettano di prevedere la successiva
lettera”: l’osservazione è vera, ma non per questo il DNA appare non ordinato,
anzi, è “il libretto di istruzioni della vita” (Collins, Direttore del Progetto
Genoma Umano). Chiunque abbia studiato la biologia molecolare del gene ha
incontrato solo che “regole”: il processo di lettura del DNA e di sintesi delle
proteine avviene secondo un vero e proprio “protocollo”, che garantisce la vita
stessa.
Proviamo a riflettere su queste
conclusioni di Monod. Ci troviamo di fronte ad un paradosso epistemologico: il
riconoscimento esplicito e scientifico della teleonomia come la cifra della
vita non porta alla classica conclusione metafisica (esiste un Progettatore
esterno) che ha nutrito interi millenni di umanità, ma al suo contrario:
“l’antica alleanza è infranta: l’uomo finalmente sa di essere solo
nell’immensità indifferente dell’Universo da cui è emerso per caso. Il suo
dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo” (conclusione del
libro). Possono convivere le due conclusioni? O quale delle due è quella vera?
Rinvio la risposta al lettore. Aggiungo alcune riflessioni nel merito delle
argomentazioni utilizzate da Monod: parto dalla “gratuità del codice genetico”,
il fondamento di tutto il suo castello ideale. Se non esiste alcun legame
chimico-fisico tra il messaggio e il suo significato, non si capisce perché la
loro relazione dovrebbe essere determinata dall’ambiente: se la complementarietà
materiale non è riuscita a legare i due oggetti, come possono fare due pezzi di
lego, perché mai dovrebbe riuscirci un ambiente anonimo, che non ha alcuna
affinità né alcun interesse? Come a dire: se i due pezzi di lego non si sono
uniti perché hanno i fori e denti complementari, perché mai il tappeto su cui
si trovano dovrebbe casualmente unirli? Insomma, l’ambiente di Monod ha
proprietà morfogenetiche che né la chimica, né la fisica, né la biologia, gli
attribuiscono. Che cosa c’entrano la temperatura, la pressione, la
concentrazione iniziali, ma anche gli stessi atomi del DNA con tutto ciò che
dovrebbe conseguire dalle loro informazioni: le membrane cellulari, i tessuti,
gli organi, gli apparati, il naso, la bocca, gli occhi, lo sguardo stupito di
chi ha appena letto il libro di Monod? Come si spiega solo a partire dal DNA
che la cellula uovo, sferica e indifferenziata, in pochi giorni si struttura
lungo tre assi, assume una forma allungata con una cavità interna che diventerà
l’intestino, cresce e si differenzia formando un bambino completo di tutto, già
dopo quattro settimane?
Oggi si sa che gli esseri viventi
sono organizzati a più livelli di complessità, uno sopra l’altro e non si
possono spiegare a partire da quello sottostante: l’anatomia e la fisiologia
del cuore non sono incluse nella cellula del miocardio, così come le proprietà
della cellula non sono prevedibili a partire dai suoi ingredienti chimici,… e
così via. Credo che Aristotele avesse ragione, ancora nel IV secolo avanti
Cristo: le cause finali sono il motore di ogni movimento. Le cellule del nostro
corpo si comportano “come se” fossero consapevoli di quello che devono fare in
ogni istante per realizzare il progetto della vita e della sua perpetuazione.
Ma: possono essere consapevoli? Se non abbiamo evidenza sperimentale di questa
condizione della materia, credo possa risultare ragionevole ipotizzare una
Causa finale al di fuori del sistema.
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