Avvenire.it, Al via
la conta dei senza fissa dimora - Censimento degli invisibili di Alessandro Zaccuri, 22 ottobre 2011
Ci sono, ma non si vedono. Meglio, non li vediamo perché non
vogliamo vederli. A volte non serve neppure voltare la testa. Basta tenere lo
sguardo fisso davanti a sé, come se fosse puntato nel vuoto. In definitiva,
questo sono: un vuoto, una mancanza di cui non sappiamo darci spiegazione,
l’estremo al quale cerchiamo di fuggire.
Ci sono e non si vedono. Neanche in tv, se è vero che il
programma che qualche anno fa si era prefisso di raccontare le loro storie (e
le raccontava bene, oltretutto, con ascolti non disprezzabili) fu soppresso per
mancanza di pubblicità. Gli investitori non se la sentivano di associare i loro
prodotti all’abisso in cui erano caduti gli «invisibili», come recitava – non a
caso – il titolo della trasmissione. Non si vedono, ma ci sono, per quanto di
questi tempi non si sappia come chiamarli: homeless all’americana o clochard
alla francese? Scartato per sgradevolezza il vecchio “barboni”, resta “senza
fissa dimora”. Che suonerà burocatico, ma una volta non è un male. Il luogo in
cui l’invisibilità si trasforma in inesistenza è per l’appunto la Pubblica
amministrazione. Facciamo conto che, in questo periodo di censimento, un modulo
non arrivi a destinazione perché il titolare non sia più rintracciabile. Niente
residenza, niente cittadinanza. La derubricazione arriva in un istante. La
non-persona potrebbe essere morta, forse. Senz’altro è morta per la società.
Non vogliamo vederli, d’accordo. Ma sappiamo che ci sono.
Nessuna difesa è perfetta, di tanto in tanto capita di inciamparci addosso sul
marciapiede oppure di avvertirne la presenza da lontano (come l’avvertiamo,
quella presenza, lo sappiamo tutti, non è il caso di spiegarcelo). Non sappiamo
quanti siano, invece. Sfuggiti alle coordinate dell’anagrafe, i “senza”
sembrerebbero impossibili da contare. Anche per questo, in definitiva, le loro
vicende appaiono irrilevanti. Conoscere i numeri cambierebbe qualcosa?
Probabilmente sì ed è auspicabile, quindi, che qualcosa cambi grazie
all’iniziativa lanciata dal ministero del Welfare in collaborazione con Istat,
Caritas e Fiopsd, la federazione che riunisce le realtà pubbliche e private che
degli invisibili si prendono cura. Anziché affidarsi alla compilazione online,
quest’altro censimento poggia sull’opera dei volontari. Si propone di fare la
conta, certo, ma anche di indagare le cause di una condizione la cui
complessità, ora come ora, è lasciata principalmente all’intuito degli
operatori.
I motivi per cui si diventa “senza” li possiamo immaginare:
per gli italiani può essere la perdita del lavoro, per gli stranieri la
clandestinità. E poi ci sono i padri separati, che non riescono a tenere il
passo con gli alimenti. Ci sono le famiglie sotto sfratto, che non riescono a
trovare ospitalità. Ciascuna di queste situazioni delinea una frontiera spesso
difficile da superare, perché anche quando i servizi sociali riescono
finalmente a istituire un contatto, si tratta di un legame labile, che può
spezzarsi in un istante. Una nuova sparizione, un altro passo nell’anonimato.
Ecco perché gli invisibili vanno contati, sì, ma più che altro ascoltati:
perché ci sono, perché ci riguardano.
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