ABORTO/ Il giurista Usa: vi spiego perché va contro i diritti umani - INT.
Paolo Carozza, giovedì 20 ottobre 2011, http://www.ilsussidiario.net
Nello scorso marzo a San José in
Costarica è stato firmato un documento di 9 articoli frutto del lavoro di più
di un anno di 31 esperti di diritto internazionale, di relazioni
internazionali, di sanità pubblica, scienziati , medici e rappresentanti di organizzazioni
internazionali e di pubbliche amministrazioni. Lo scopo di questo documento,
noto ormai come gli Articoli di San José, è di rendere noto ai governi dei vari
Stati, agli operatori nei vari settori coinvolti e all’opinione pubblica, come
siano del tutto false le affermazioni che vorrebbero presente nel diritto
internazionale un nuovo diritto all’aborto. Questo diritto non esiste, anche se
affermato perfino da esponenti di organizzazioni delle Nazioni Unite. Il
documento è stato lanciato proprio all’Onu in una conferenza stampa tenuta il 6
ottobre scorso e presentato anche alla Camera dei Lord inglese il 10 ottobre su
iniziativa di due lord cattolici inglesi firmatari del documento, Lord David
Alton e Lord Nicholas Windsor, cugino della Regina Elisabetta. Gli Articoli
verranno quanto prima presentati anche al Parlamento europeo, al Parlamento
italiano ed in altre istituzioni. Ilsussidiario.net ha intervistato il
professor Paolo Carozza, della Facoltà di legge dell’Università di Notre Dame,
Indiana, dove è direttore del programma di diritto internazionale dei diritti
umani e del nuovo programma su “legge e sviluppo umano”.
L’interpretazione dei diritti
umani varia notevolmente da Paese a Paese. Come si può affermare con sicurezza
che l’aborto non fa parte dei diritti umani?
La risposta si articola su
diversi livelli. In primo luogo, gli Articoli di San José si riferiscono
esplicitamente alle leggi internazionali sui diritti umani e pongono
semplicemente in evidenza il fatto, verificabile, che nessun trattato
universale sui diritti umani, né alcuna legge internazionale consuetudinaria,
contiene un diritto all’aborto. L’unico trattato che fa eccezione è un trattato
regionale sui diritti umani applicabile in Africa.
In effetti, il linguaggio con cui
sono scritti i principi relativi ai diritti umani, piuttosto generale e aperto,
consente di per sé una vasta gamma di interpretazioni e alcuni organismi creati
dai trattati dell’Onu hanno cercato di trarre vantaggio da questa ambiguità per
interpretare, per esempio, le misure relative alla salute o alla privacy come
garanzie anche di accesso all’aborto. A questo livello e, correttamente, sempre
come una questione di diritto internazionale, gli Articoli di San José
sostengono la necessità di una appropriata definizione dell’autorità
interpretativa di simili comitati, che non sono né dei tribunali, né hanno il
potere di emettere interpretazioni autorevoli dei trattati.
Sotto questo profilo, uno dei
punti più importanti posti dagli Articoli è che non solo l’aborto non è un
diritto riconosciuto internazionalmente, ma che gli Stati hanno una
fondamentale libertà, in realtà una responsabilità, di opporsi a
interpretazioni tendenziose di organizzazioni internazionali che manipolano le
norme dei trattati per loro scopi altamente ideologici.
Infine, sotto tutti gli Articoli,
almeno implicitamente, vi è un’argomentazione, meno giuridica ma forte, contro
l’esistenza di un diritto di nessun tipo all’aborto: le più valide prove
scientifiche a disposizione dicono che, dopo il concepimento, è presente una
vita umana distinta. Il riconoscimento di un “diritto” a distruggere
intenzionalmente un’altra vita umana è quindi incompatibile con una concezione
autentica dei diritti umani universali, fondati sulla premessa che tutti gli esseri
umani hanno uguale e propria dignità.
Secondo le organizzazioni
abortiste, il feto nelle prime settimane dopo il concepimento non è ancora un
essere umano. In questo senso, come può essere utilizzata contro l’aborto la
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani?
Personalmente, non penso che la
Dichiarazione Universale sia particolarmente utile per contrastare le forti
pressioni in campo internazionale, economiche e politiche, dirette a espandere
il diritto all’aborto. Essa è troppo generale, necessariamente, e non tocca
volutamente le questioni più difficili relative
ai diritti umani, incluso chi può essere considerato “essere umano”.
Penso, tuttavia, che le
conoscenze della biologia della riproduzione umana, insieme al principio
fondamentale che tutti gli esseri umani hanno uguale valore, dovrebbero
condurci a ritenere il diritto alla vita, sancito dalla Dichiarazione
Universale, comunque applicabile alla vita umana, sia prima che dopo la
nascita. Quanto meno, dovrebbero portarci a rigettare ogni tentativo di
manipolare e corrompere il linguaggio e gli ideali dei diritti umani per
giustificare l’uccisione di esseri umani non ancora nati.
Se organizzazioni o attori
internazionali non rispettano i trattati, cosa si può fare per porre rimedio al
problema?
Non vi è mai la garanzia che
nessuno degli attori internazionali compia errori o, perfino, abusi della
propria posizione, anche se si tratta di organizzazioni internazionali che si
occupano dei diritti umani, in generale altrimenti valide e apprezzabili. Anche
queste organizzazioni sono fatte da esseri umani e il rischio della libertà
umana e il bisogno di capacità di giudizio e ragione saranno sempre presenti in
ogni sistema giuridico. Il rimedio più importante è sempre avere il coraggio di
dire la verità e dedicare noi stessi al lavoro per il bene comune, con
ragionevolezza e con passione per ciò che è più autenticamente umano. Sotto
questo aspetto, il problema che stanno cercando di affrontare gli Articoli di
San José è che la lobby in favore del diritto di aborto ha spesso successo per
la mancanza nell’arena internazionale di voci che si oppongano ragionevolmente
alle loro posizioni. Chi ha a cuore il valore di ogni vita umana deve essere
presente sulla pubblica piazza, impegnato in politica, nel diritto, nella
cultura, altrimenti non vi è nessuna speranza.
Secondo la Costituzione degli
Stati Uniti “tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti sono
cittadini degli Stati Uniti. Nessun stato deve togliere la vita a nessuna
persona”. Tuttavia, l’aborto è legalizzato negli Stati Uniti. Perché lei pensa
che si possa combattere contro l’aborto su un piano legale e non solo
culturale?
Si potrebbe dire molto sulla
storia e la legislazione sull’aborto e il diritto costituzionale negli Stati
Uniti, rapporto che è stato altamente conflittuale per decenni. Ma tra le altre
cose, la storia dimostra che non c’è una chiara e netta distinzione tra diritto
e cultura. È ovvio che un approccio giuridico che non tenga nessun conto del
contesto culturale in cui opera è destinato a essere inefficace e a fallire.
Allo stesso tempo, però, si deve considerare il diritto come una parte della
cultura e come uno degli strumenti, in realtà uno dei più potenti, per formare
cultura. Il diritto è, ed è sempre stato, nelle nostre società un importante
strumento pedagogico per esprimere e trasmettere ciò che ha valore e ciò che è
richiesto dalla giustizia e dal bene comune. Sarebbe perciò ugualmente
riduttivo un approccio puramente “culturale”, che non tenga conto del ruolo
centrale del diritto nelle nostre società.
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