STAMINALI/ Cosa c'entra Greenpeace con la tutela dei valori non
negoziabili? Di Stefano Spinelli, giovedì 20 ottobre 2011, http://www.ilsussidiario.net
Non amo molto Greenpeace. Non mi
entusiasmano i suoi modi eclatanti di fare, né il suo catastrofismo spesso di
maniera. Ma questa volta devo dire che mi ha veramente stupito positivamente.
E’ stata infatti promotrice di un’iniziativa seria, puntuale e soprattutto del
tutto condivisibile umanamente. Chapeau!!
E’ stata Greenpeace, infatti, a
sollevare una questione delicatissima davanti alla corte di Giustizia Europea;
non quella dei diritti umani, la CEDU, ma quella istituita nell’ambito dell’UE,
con il compito di verificare la legittimità degli atti dell'Unione e di
garantire un'interpretazione e un'applicazione uniformi del suo diritto.
Ebbene, davanti a detta Corte si
è discusso della legittimità di un brevetto tedesco relativo a procedimenti per
la produzione di cellule progenitrici neurali, a partire da cellule staminali
embrionali, e relativo all’utilizzazione di dette cellule per ricerca
scientifica. E se ne è esclusa la brevettabilità, richiamandosi l’articolo 6
della Direttiva 98/44/CE, che considera appunto non brevettabili “le
utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali”.
Il titolare del brevetto tedesco
– con la solita tecnica di piegare la natura delle cose a definizioni
soggettive e al proprio interesse particolare – sosteneva che la direttiva
europea non specificherebbe la nozione di embrione, potendosi escludere da
detto contenuto le cellule embrionali al di sotto di un certo stadio di
sviluppo o gli ovuli non fecondati in cui sia stato impiantato il nucleo di una
cellula umana matura. Inoltre, la direttiva vieterebbe la brevettabilità di
utilizzazioni a fini industriali e commerciali, ma non quelle a fini di
ricerca. Infine, il brevetto non riguarderebbe embrioni umani, bensì cellule
“ricavate” da essi.
Al di là del dispositivo della
sentenza (che conclude per la non brevettabilità), significativo appare il
percorso logico e le motivazioni a base della decisione. La Corte dà una
definizione di embrione umano, precisando che è tale “qualunque ovulo umano sin
dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato
impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non
fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a
svilupparsi”.
E’ un punto fermo di notevole
importanza anche per le legislazioni degli stati membri. Ed è un punto fermo di
notevole spessore, anche per i motivi che l’hanno ispirato. Se è vero che la
direttiva europea non fornisce alcuna definizione di embrione umano, ciò non
significa che non esista. In particolare, “lo sfruttamento del materiale
biologico di origine umana deve avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali
e, in particolare, della dignità umana e dell’integrità dell’uomo”. Da ciò
risulta che la nozione di embrione umano “deve essere intesa in senso ampio”:
“sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere
considerato come embrione umano, dal momento che la fecondazione è tale da dare
avvio al processo di sviluppo di un essere umano”.
La Corte precisa poi che l’esclusione
dalla brevettabilità dell’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o
commerciali, riguarda anche l’utilizzazione a fini di ricerca scientifica,
mentre “solo l’utilizzazione per finalità terapeutiche o diagnostiche, che si
applichi all’embrione umano e sia utile a quest’ultimo, può essere oggetto di
un brevetto”.
Infine, la Corte rileva che il
prelievo di una cellula staminale su un embrione umano, in qualunque stadio si
trovi, comporta la distruzione dell’embrione. Ne consegue che un’invenzione
deve essere esclusa dalla brevettabilità, anche se le rivendicazioni del
brevetto non vertono sull’utilizzazione di embrioni umani, ove l’attuazione
dell’invenzione “richieda la previa distruzione di embrioni umani o la loro
utilizzazione come materiale di partenza, indipendentemente dallo stadio in cui
esse hanno luogo”.
La sentenza della Corte non ha
effetti diretti in Italia, ove vige la legge 40 sulla procreazione medicalmente
assistita, che vieta espressamente qualsiasi sperimentazione sugli embrioni,
anche a fini di ricerca, escluse le finalità terapeutiche e diagnostiche volte
alla tutela della salute dello stesso embrione. Ha però indubbi riflessi a
livello europeo, in quanto – come spiega la stessa sentenza – la nozione di
embrione non può essere oggetto di un rinvio ai singoli diritti nazionali,
essendo necessaria “una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che deve
essere interpretata in modo uniforme sul territorio di quest’ultima“.
Ma ciò che più mi colpisce di
tutta questa vicenda, è la strana accoppiata Greenpeace – e comunque verdi
europei – e la tutela dei valori non negoziabili.
Che non è poi tanto strana, come
accoppiata. Soprattutto se si tiene presente il comun denominatore costituito
dall’ordinamento tedesco.
Ancora fresche solo le parole del
papa pronunciate al Bundestag, nel recente viaggio in Germania, sulla necessità
di una nuova “ecologia dell’uomo”: “anche l’uomo possiede una natura che deve
rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non né soltanto una libertà
che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è
anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la
ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da
sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana”.
Queste parole, così profetiche,
sono state pronunciate da Benedetto XVI in modo quasi preoccupato, “nella
speranza di non essere troppo frainteso né di suscitare troppe polemiche
unilaterali”. Evidentemente doveva essere consapevole dell’effetto che
l’accostamento tra fede e movimento ecologico, avrebbe potuto determinare
nell’immaginario mass mediatico e politico europeo. In realtà, queste parole
sono il tentativo di spiegare con un esempio concreto la sua critica alla
“ragione positivista”, quella che non è in grado di percepire qualcosa al di là
di ciò che è funzionale, e che “assomiglia agli edifici di cemento armato senza
finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più
ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio”. La consapevolezza di una
nuova ecologia dell’uomo, per cui “dobbiamo ascoltare il linguaggio della
natura e rispondervi coerentemente”, è ciò che potrebbe far tornare l‘uomo a
“spalancare le finestre”.
Si può dire che Greenpeace – in
questa circostanza – abbia aiutato il papa a spiegare bene cosa avesse voluto
dire ai parlamentari tedeschi e a tutti gli europei.
E vi sono altri fatti di questi
giorni, che mi paiono significativi, in questo senso. Il cardinal Bagnasco,
introducendo il convegno delle associazioni cattoliche a Todi, ha parlato di
“metamorfosi antropologica”: “sono in gioco le sorgenti stesse dell’uomo:
l’inizio e la fine della vita umana, il suo grembo naturale che è l’uomo e la
donna nel matrimonio, la libertà religiosa ed educativa che è condizione
indispensabile per porsi davanti al tempo e al destino”. Con ciò, il cardinale
ha risposto a quei cattolici (non pochi) e laici (come De Bortoli dalle pagine
del Corriere) avrebbero visto bene un cambio di rotta nell’impegno politico dei
cattolici, verso una nuova “missione sociale”, lasciando a margine
quell’impegno per la difesa di valori non negoziabili, che susciterebbe
“incomunicabilità” con le posizioni laiche.
Stupisce ancora di più – in
questo quadro di invocata incomunicabilità – il manifesto di quattro
intellettuali rigorosamente “laici” di area Pd (Barcellona, Sorbi, Tronti e
Vacca), che chiedono un “confronto” su due temi fondamentali del magistero di
Benedetto XVI, ossia il rifiuto del relativismo etico e il concetto di valori
non negoziabili.
Greenpeace, Bagnasco e manifesto:
tre esempi che scompaginano le nostre piccole e interessate – a volte –
costruzioni ideologiche; tre esempi dai quali tornare a spalancare le finestre
sulla vastità del mondo, tra cielo e terra.
© Riproduzione riservata.
Nessun commento:
Posta un commento