«Di inguaribile c’è solo la mia voglia di vivere» di Maria Sorbi, il
Giornale.it, lunedì 31 ottobre 2011
Fisicamente è uno tsunami ma non
leva le emozioni
Si nutre con alimenti
artificiali, ha bisogno di qualcuno che lo lavi e lo vesta, gira in carrozzina
e ha il mento sorretto da un collarino di supporto. Ma sorride, sempre. E ti
dice che è fortunato. Per rilasciare l'intervista rimanda perfino il suo unico
«vizio» quotidiano: una tazzina di caffè addensato, la sola cosa che può
assaporare sul palato. Lui è Mario Melazzini, 53 anni, medico ematologo e
malato di Sla (sclerosi laterale amiotrofica) da circa 8 anni. La malattia gli
ha levato la possibilità di muoversi, ma non tutto il resto. «La mia voglia di
vivere è inguaribile» spiega lui con gli occhi che brillano.
Da medico si è trovato a fare il
paziente.
«Già e ho capito tanti errori dei
medici. Dovrebbero ascoltare di più i malati. Non bastano la preparazione
tecnica e i titoli accademici».
Quando è arrivata la diagnosi
della malattia?
«Nel 2003, un anno dopo la
comparsa dei sintomi. Ed ho capito che per un paziente la cosa peggiore da dire
è che deve aspettare, che deve avere pazienza. Da medico non me ne ero reso
conto».
Lei all'epoca non conosceva
granchè la Sla?
«Avevo reminiscenze
universitarie, sapevo solo che non c'era nessuna cura e avevo dato una
consulenza a una collega per un suo paziente. Stop».
La sua prima reazione?
«Ho pensato di farla finita. Si
figuri, volevo morire e camminavo ancora. Ora non cammino, ho un buco nello
stomaco e un ventilatore. Ma sono più forte».
Aveva anche preso appuntamento
con una clinica in Svizzera per l'eutanasia, vero?
«Sì, una telefonata surreale,
fredda, asettica, mi è sembrato di parlare con l'impiegato di un ministero».
E invece ora parla della malattia
come di un valore aggiunto.
«È così. Intendiamoci, preferirei
stare bene. Ma la malattia è un'opportunità. Fisicamente è uno tsunami, porta
via tutto ma non le emozioni. Ho capito che la vita va difesa. Sempre. E vanno
difesi i diritti dei malati».
Anche l'associazione Luca
Coscioni difende i diritti dei malati ma tra questi ci mette anche l'eutanasia.
«Io no. La vita va tutelata dal
concepimento alla sua fine naturale. Anche lo stato vegetativo è vita».
So che le era stato proposto di
raccogliere il testimone di Coscioni.
«Sì, ma non è possibile un lavoro
comune. Per difendere i diritti dei malati non occorrono bandiere politiche,
basta seguire i principi della Costituzione. Non c'è un pro destra e un pro
sinistra. C'è la persona».
Sta dicendo che bisogna imparare
ad accettare la malattia?
«La dignità della vita non può
dipendere dalla qualità della vita. So che parlare di dolore fa paura a una
società che vuole tutti belli e affermati. Sembra ci sia una sorta di patente a
punti per essere considerati socialmente».
Patente a punti?
«Sì, se ti ammali perdi punti
finch´ non ti viene tolta la patente, cioè ti vengono levati i tuoi diritti».
Lei invece lotta perch´ i diritti
di chi è malato vengano rispettati.
«Sì, troppo spesso il malato è
abbandonato a s´ e la sua famiglia resta sola. Grazie all'associazione Aisla
tuteliamo chi si ammala. La Lombardia è la prima regione che ha istituito un
assegno di supporto a chi viene colpito da Sla. Siamo riusciti anche a
velocizzare le pratiche per l'invalidità civile».
Ed ora arriveranno anche 16
milioni dei cento del fondo per la non autosufficienza.
«Un'ottima notizia. Serviranno a
realizzare il piano di continuità assistenziale. Sono contento che i fondi non
arrivino dal 5x1000. Sarebbe stata una guerra tra poveri».
Dopo Aisila è nata anche la
fondazione Arisla per sostenere la ricerca.
«Sì, di fatto abbiamo creato un
unico contenitore che comprende Cariplo, Telethon, fondazione Vialli e Mauro e
Aisla. Riusciamo a donare oltre un milione all'anno ai migliori progetti di
ricerca italiani».
Qualche passo avanti viene fatto
nella ricerca, vero?
«È appena stato identificato il
gene che causa la sclerosi familiare. È una scoperta di un'importanza estrema
anche se non riguarda tutti i malati di Sla. E comunque si precede a passi da
gigante».
Questo lo dice da medico o da
paziente?
«Diciamo così: parlare di passi
da gigante per un paziente vuol dire che da un momento all'altro si arriva a
una terapia. Purtroppo non è così».
E da medico?
«All'inizio mi sentivo sconfitto
perch´ la Sla mi costringeva ad ammettere il limite della medicina. Come
oncologo avevo sempre qualche arma in mano, in questo caso no. Però si stanno
facendo grossi passi avanti anche nelle cure di supporto. E la mia speranza
cresce. Come medico, come paziente e come uomo».
Grazie dottor Melazzini, la
lascio al suo caffè.
«Addensato».
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