Un approccio scientifico alla formazione dell’immagine della Sindone
(I° parte), 20 ottobre, 2011, http://www.uccronline.it
Con questo articolo diamo avvio
alla collaborazione con Paolo Di Lazzaro, fisico e dirigente di ricerca presso
il Centro Ricerche Enea di Frascati, vincitore del Premio della Società
Italiana di Fisica nel 1990 e del premio di Eccellenza Enea nel 2008. E’ autore
di oltre 195 articoli pubblicati su riviste scientifiche internazionali e di 6
brevetti di invenzione industriale. Membro di diversi Comitati internazionali,
attualmente è considerato uno dei massimi esperti europei nel campo dei sistemi
LASER di potenza elevata e delle loro applicazioni nella micro-elettronica,
generazione di plasmi, pulizia selettiva e superficiale di materiali, biologia,
interazione luce-materia. Dal 2005 si è interessato agli studi scientifici
sull’immagine sulla Sindone di Torino, coordinando diversi esperimenti di
colorazione simil-sindonica di tessuti di lino irraggiati con laser eccimero e
impegnandosi come Chairman del Workshop internazionale sull’approccio
scientifico alle immagini acheropite tenutosi presso il Centro Ricerche Enea di
Frascati dal 4 al 6 Maggio 2010. Il Dott. Di Lazzaro si è reso disponibile a
rispondere ad eventuali domande che potranno essere postate nei commenti sotto
l’articolo.
di Paolo Di Lazzaro*
fisico e dirigente di ricerca
presso l’ENEA di Frascati
L’immagine frontale e dorsale del
cadavere di un uomo flagellato e crocifisso, a malapena visibile sul lenzuolo
di lino della Sindone di Torino (vedi figura 1) presenta caratteristiche
fisiche e chimiche talmente particolari che rendono ad oggi impossibile ottenere
una colorazione identica, come discusso nei seguenti articoli in bibliografia:
Culliton, Gilbert, Jumper, Pellicori, Accetta, Morris, Heller, Schwalbe, Jumper
1984, Mc Crone, Jackson 1984, Jackson 1990, Fanti 2002, Ferrero, Fanti 2004,
Fanti 2010a, Fanti 2010b, Fanti 2010c, Garlaschelli, Heimburger.
Figura 1. Fotografia della
Sindone di Torino (dal sito www.sindone.org) e suo negativo bianco/nero
ottenuto tramite software Jasc Paint Shop Pro7. Le dimensioni della Sindone
sono di circa 441 cm in lunghezza e 113 cm in larghezza. La scoperta che
l’immagine si comporta come un negativo fotografico venne fatta da S. Pia nel
1898, attirando l’interesse degli scienziati interessati a comprendere
l’origine di questa singolare immagine [Falcinelli].
L’incapacità di replicare (e
quindi falsificare) l’immagine sindonica impedisce di formulare un’ipotesi
attendibile sul meccanismo di formazione dell’impronta e quindi di spiegare
come si sia formata l’immagine corporea sulla Sindone. A parziale giustificazione,
gli Scienziati lamentano l’impossibilità di effettuare misure dirette sul
lenzuolo sindonico. Infatti, l’ultima analisi sperimentale in situ delle
proprietà fisiche e chimiche dell’immagine corporea della Sindone risale al
lontano 1978 quando un gruppo di 31 scienziati sotto l’egida dello Shroud of
Turin Research Project (STURP) ottennero il permesso di effettuare misure
dirette sul lenzuolo sindonico. Gli scienziati utilizzarono strumentazione
all’avanguardia per l’epoca, messa a disposizione da diverse ditte produttrici
per un valore commerciale di due milioni e mezzo di dollari, ed effettuarono
numerose misure non distruttive di spettroscopia infrarossa, visibile e
ultravioletta, di fluorescenza a raggi X, di termografia e pirolisi, di
spettrometria di massa, di analisi micro-Raman, fotografia in trasmissione,
microscopia, prelievo di fibrille e test microchimici. I risultati delle misure
STURP sono stati pubblicati su diverse riviste scientifiche, vedi gli articoli
di Gilbert, Pellicori, Accetta, Morris, Heller, Schwalbe, Jumper 1980, Jumper
1984.
Le analisi effettuate sul telo
sindonico non trovarono quantità significative di pigmenti (coloranti, vernici)
né tracce di disegni. Sulla base dei risultati delle decine di misure
effettuate, i ricercatori STURP conclusero che l’immagine corporea non è
dipinta, né stampata, né ottenuta tramite riscaldamento. Inoltre, la
colorazione dell’immagine risiede nella parte più esterna e superficiale delle
fibrille che costituiscono i fili del tessuto di lino, e misure effettuate
recentemente su frammenti di telo sindonico [Fanti 2010c] dimostrano che lo
spessore di colorazione è estremamente sottile, pari a circa 200 nm (1 nm =
10-9 m = un miliardesimo di metro), ovvero un quinto di millesimo di
millimetro, corrispondente allo spessore della cosiddetta parete cellulare
primaria della singola fibrilla di lino. Ricordiamo che un singolo filo di lino
è formato da circa 200 fibrille.
Altre importanti informazioni
derivate dai risultati delle misure STURP sono le seguenti:
a) Il sangue è umano, e non c’è
immagine sotto le macchie di sangue [Heller, Jumper 1984];
b) La sfumatura del colore
contiene informazioni tridimensionali del corpo [Jackson 1984];
c) Le fibrille colorate (di
immagine) sono più fragili delle fibrille non colorate.
d) La colorazione superficiale
delle fibrille di immagine deriva da un processo sconosciuto che ha causato
ossidazione, disidratazione e coniugazione della struttura del lino [Heller].
In altre parole, la colorazione è conseguenza di un processo di invecchiamento
accelerato del lino [Jumper 1984].
Come già accennato, fino ad oggi
tutti i tentativi di riprodurre un’immagine avente le medesime caratteristiche
sono
falliti. Alcuni ricercatori hanno
ottenuto immagini aventi un aspetto simile all’immagine sindonica (vedi ad
esempio gli articoli di Pellicori 1980, Ferrero, Fanti 2010b, Garlaschelli) ma
nessuno è mai riuscito a riprodurre simultaneamente tutte le caratteristiche
microscopiche e macroscopiche. In questo senso, l’origine dell’immagine
sindonica è ancora sconosciuta. Questo sembra essere il nodo centrale del
cosiddetto “mistero della Sindone”: indipendentemente dall’età del lenzuolo
sindonico, che sia medioevale (1260-1390) come risulta dalla controversa
datazione al radiocarbonio [Damon, Van Haelst] o più antico come risulta da
altre indagini [Rogers], e indipendentemente dalla reale portata dei
controversi documenti storici sull’esistenza della Sindone negli anni
precedenti il 1260 [Nicolotti, Piana, Scavone], la “domanda delle domande”
rimane la stessa: come è stata generata l’immagine corporea sulla Sindone?
L’ IPOTESI RADIATIVA
I risultati delle misure STURP
brevemente riassunti nel paragrafo precedente hanno importanti conseguenze
nella ricerca e selezione di possibili meccanismi di formazione dell’immagine.
Proviamo ad elencare alcune di queste conseguenze.
Ci sono almeno due modalità di
deposizione del lenzuolo sindonico intorno al cadavere: posato sotto e sopra
(non completamente a contatto con tutto il corpo irrigidito dal rigor mortis)
oppure pigiato sul corpo e legato in modo da avere un contatto con quasi tutta
la superficie corporea. La prima modalità è compatibile con la precisa relazione
tra l’intensità (sfumatura) dell’immagine e la distanza fra corpo e telo.
Inoltre, l’immagine è presente anche nelle zone del corpo non a contatto con il
telo, ad esempio intorno le mani, e intorno la punta del naso. La seconda
modalità è meno probabile, perché sono assenti le deformazioni geometriche
tipiche di un corpo a tre dimensioni riportato a contatto su un lenzuolo a due
dimensioni [Jackson 1984]. Di conseguenza, possiamo dedurre che l’immagine non
si è formata dal diretto contatto del lino con il corpo. Questa considerazione,
unita alla estrema superficialità della colorazione e all’assenza di pigmenti,
rende estremamente improbabile ottenere una immagine simil-sindonica tramite
metodi chimici a contatto, sia in un moderno laboratorio (vedi gli articoli di
Garlaschelli e Heimburger), sia a maggior ragione da parte di un ipotetico
falsario medioevale.
Sotto le macchie di sangue non
c’è immagine. Questo significa che le tracce di sangue si sono depositate
prima dell’immagine [Heller]. Quindi l’immagine
si formò in un momento successivo alla deposizione del cadavere. Inoltre tutte
le macchie di sangue hanno contorni ben definiti, senza sbavature, e questa
osservazione è compatibile con l’ipotesi che il cadavere non fu asportato dal
lenzuolo
Mancano segni di putrefazione in
corrispondenza degli orifizi, che si manifestano circa 40 ore dopo la morte. Di
conseguenza, l’immagine non dipende dai gas di putrefazione e sicuramente il
cadavere non rimase nel lenzuolo per più due giorni
Nella ricerca di un meccanismo di
formazione dell’immagine che soddisfi tutte le condizioni poste da queste
osservazioni sperimentali, alcuni articoli (vedi ad esempio Jackson 1984,
Jackson 1990) hanno suggerito che una forma di energia elettromagnetica (per
esempio un lampo di luce a corta lunghezza d’onda) incidente su un tessuto di
lino potrebbe avere i requisiti adatti a riprodurre alcune tra le più peculiari
caratteristiche dell’immagine sindonica, quali la superficialità della
colorazione, la sfumatura del colore e l’assenza di pigmenti sul telo, che non
possono essere ottenute con metodi chimici.
I primi tentativi di riprodurre
il volto sindonico tramite radiazione utilizzarono un laser CO2 che emette luce
infrarossa (lunghezza d’onda λ = 10.6 μm, dove 1 μm = un milionesimo di metro)
e hanno prodotto una immagine su un tessuto di lino simile a prima vista
all’impronta del volto sindonico [Ferrero]. Tuttavia, l’analisi microscopica ha
evidenziato una colorazione troppo profonda e molti fili di lino carbonizzati,
caratteristiche incompatibili con l’immagine sindonica. Una delle cause della
carbonizzazione dei fili osservati da Ferrero è la lunghezza d’onda infrarossa
della radiazione emessa dal laser CO2. Infatti, la radiazione a λ = 10.6 μm
eccita livelli energetici vibrazionali del materiale irraggiato, con
conseguente rilascio di energia termica che riscalda istantaneamente la zona
irraggiata del lino fino a carbonizzarla. Al contrario, è noto che l’energia
trasportata dalla radiazione a lunghezza d’onda corta (ultravioletto e lontano
ultravioletto) agisce direttamente con i legami chimici del materiale
irraggiato, senza riscaldare il materiale. Inoltre, tutti i materiali non
metallici, incluso il lino, presentano un assorbimento che aumenta al diminuire
della lunghezza d’onda della radiazione: di conseguenza, minore è la lunghezza
d’onda della radiazione, più sottile è lo spessore del materiale che assorbe la
stessa radiazione.
Con questi presupposti nel 2005
abbiamo considerato la radiazione ultravioletta (UV) come candidata in grado di
ottenere due delle principali caratteristiche della immagine sindonica, ovvero
un sottile spessore di colorazione e un processo di formazione dell’immagine a
bassa temperatura. Dapprima abbiamo irraggiato stoffe di lino con due laser
eccimeri XeCl (lunghezza d’onda di emissione λ = 0,308 μm, cioè 34 volte più
breve di quella del laser dell’esperimento di Ferrero) che emettono impulsi di
diversa durata, rispettivamente 120 nanosecondi e 33 nanosecondi a metà altezza
(ricordiamo che 1 ns = un nanosecondo = un miliardesimo di secondo). I
risultati di questi esperimenti sono descritti negli articoli Baldacchini 2006,
Baldacchini 2008, Di Lazzaro 2009a. L’analisi dei risultati ottenuti ci ha
suggerito che per ottenere una colorazione più simile a quella della Sindone
avremmo dovuto utilizzare una radiazione a lunghezza d’onda ancora più corta,
nello spettro del lontano ultravioletto. La nostra scelta è stata di utilizzare
il laser eccimero ArF che emette impulsi a λ = 0,193 μm e i risultati ottenuti
(pubblicati negli articoli Di Lazzaro 2009b, Di Lazzaro 2010a, Di Lazzaro
2010b, Di Lazzaro 2010c, Di Lazzaro 2010d) saranno descritti nella seconda
parte di questo contributo.
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