LA SECONDA edizione del premio
‘Enzo Piccinini’ quest’anno va ad un’italiana, la dottoressa Elvira
Parravicini, una neonoatologa lombarda, da anni negli Stati Uniti, che ha
creato a New York il primo hospice per neonati. La consegna del riconoscimento
mercoledì, alle ore 17,45, a Modena, presso il Centro Servizi Didattici della
Facoltà di Medicina e Chirugia del Policlinico di Modena, nel corso del
convegno ‘Maestri del nostro tempo nel campo della cura, dell’assistenza e
dell’educazione’. Proprio nel campo medico ed educativo si era sempre distinto
Piccinini, un medico morto nel 1999, a seguito di un incidente stradale
sull’A1. In sua memoria, è nata una Fondazione, a Modena (dove Piccinini
risiedeva) che dallo scorso anno ha deciso di assegnare questo ambito
riconoscimento. Nel 2010 il premio fu consegnato al dottor Mario Melazzini,
medico malato di Sla, testimone di speranza nonostante la malattia.
FOSSE per lei, l’espressione «Non
c’è più nulla da fare» verrebbe bandita non solo dal campo medico, ma dal
dizionario stesso. «C’è sempre qualcosa da fare» spiega e si anima Elvira
Parravicini, 55 anni, medico neonatologo italiano, di Seregno (Monza), ‘cervello’
da 15 anni ceduto agli Stati Uniti. «Se anche a un bambino dovessero restare
solo pochi giorni, poche ore o pochi minuti di vita — dice — noi abbiamo il
dovere di chiederci: come possiamo confortarlo? E allora i punti chiave della
cura diventano: mantenere il bimbo caldo, idratarlo o prendersi cura del
dolore, se necessario, e soprattutto aiutare i genitori o altri membri della
famiglia ad accogliere questo bimbo, anche per un periodo di tempo
brevissimo».La dottoressa Parravicini ha un record: alla Colombia University di
New York ha inventato un reparto, una ‘squadra speciale’ che è unico al mondo:
una specie di hospice per bambini neonati, venuti al mondo troppo prima del
tempo oppure affetti da sindromi letali o anomalie congenite talmente gravi da
impedire nel 99% dei casi la sopravvivenza, anche a breve termine.GLI HOSPICE
sono perlopiù i luoghi dove si va a morire, dove si danno gli ultimi conforti e
si prova a togliere il dolore alle persone condannate. «Dare vita ai giorni e
non giorni alla vita» è il motto lanciato dalla fondatrice di queste strutture,
Cecily Saunders, che la Parravicini da alcuni anni applica quotidianamente con
i suoi bambini che spesso non arrivano a pesare neanche un chilo, magari non
hanno i reni, che sono destinati alla morte ma che intanto ci sono. Esistono.
In America la chiamano ‘comfort care’. Il respiro di un bambino, seppure di un
solo minuto, ha un valore infinito. «Lavorando con piccoli pazienti fra la vita
e la morte, faccio sempre un’esperienza di bellezza, sia che la rianimazione
riesca a salvare la vita, sia che mi debba confrontare con l’estremo limite
umano che si chiama morte, perchè c’è un significato pure lì». Sembrano parole
dell’altro mondo quelle della dottoressa Parravicini, ma sono più che mai di questo
mondo. Non esistono ricette per tutte le stagioni: «Ci sono medici che
suggeriscono di non iniziare la rianimazione di questi neonati e altri che
insistono sulla rianimazione a tutti i costi. Io scelgo un’altra via». CHE
SAREBBE: non c’è una regola. «Ho viste centinaia di bambini, ma ogni volta è
diverso, perché ogni bambino è diverso. Ogni volta c’è un nuovo dramma da
affrontare; sì, un dramma, che non va eluso o censurato. La società moderna,
amche molti miei colleghi, provano invece a fare così: vorrebbero delle
regolette da applicare, tenendosi la coscienza a posto. No, dobbiamo giocarci
di più: serve prendere una decisione, rispettando e non manipolando il ‘destino
del paziente’, che non può essere determinato nè dai genitori, né tantomeno dal
medico. Ma anche quando la nostra conoscenza scientifica ci suggerisce che un
bimbo è troppo prematuro per farcela, la nostra responsabilità medica non
finisce lì. Non lo possiamo guarire questo bimbo, ma possiamo curarlo, cioè
prenderci cura di lui. E dei suoi familiari».NELL’hospice del Morgan Stansley
Children’s Hospital, Elvira Parravicini lavora con un’infermiera, un’assistente
spirituale che cambia a seconda della religione della famiglia di appartenenza
del bimbo, un fotografo professionista che, da volontario, fa un clic su questi
fanciulli, affinchè alle famiglie resti un ricordo; infine c’è un ‘child life’,
che non è uno psicologo e neppure un fattorino, ma una persona che conforta una
mamma e un papà in giorni certamente intensi e non facili, aiutandoli anche a
sbrigare le necessità quotidiane.«NEGLI ultimi tre anni — spiega la Parravicini
— ho seguito la nascita e il percorso di 44 bambini diagnosticati prima della
nascita con condizioni probabilmente letali». I bimbi sono quasi sempre morti,
ma ci sono state anche le sorprese, almeno tre. Jaden ad esempio. Jaden è una
bimba che oggi ha tre anni ma che non doveva neppure nascere. Prima perché sua
madre aveve appena sedici anni ed era un po’ sbandata, quando è rimasta
incinta; poi perchè al primo esame clinico si era capito che questa bimba non
sarebbe mai potuta sopravvivere. L’universo mondo aveva consigliato alla
ragazzina prima di abortire poi di lasciar perdere. Non aveva senso, per
nessuno, portare a termine la gravidanza: almeno, dicevano così.INVECE questa
mamma non ha abortito, non ha lasciato perdere. E ora a New York vive una donna
felice di 19 anni, una giovane donna che ha messo la testa a posto e che spesso
e volentieri va in ospedale a trovare la dottoressa Parravicini,. Insieme a
Jaden, sana come un pesce.
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