La Chiesa, l'aborto e Ferrara di Riccardo Cascioli, 26-10-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
Lo avevamo già detto la scorsa
settimana, ma è giusto ripetersi: bisogna dare merito a Giuliano Ferrara di
tenere viva l’attenzione sul dramma dell’aborto con una decisione e una energia
sconosciute a gran parte del mondo cattolico. E così facendo mostra anche tutta
la menzogna di quella propaganda che vorrebbe ridurre la questione dell’aborto
a uno scontro laici contro cattolici. Non è necessario essere cattolici per
comprendere tutta la barbarie di questa eliminazione sistematica dei soggetti
più deboli e vulnerabili della società. Basta l’uso della ragione.
Se ci ripetiamo è perché negli
ultimi giorni Ferrara dalle colonne de Il Foglio è tornato due volte
sull’argomento, la seconda delle quali – ieri – rispondendo al nostro
editoriale del 21 ottobre firmato da Mario Palmaro. Sabato 22 ottobre, invece,
aveva rispettosamente spiegato in prima pagina perché ritiene che la Chiesa sia
oggi l’ostacolo più grosso a una vera battaglia culturale contro l’aborto. “La
comprensione del peccato” insita “nell’amore”, dice in sostanza il direttore
del Foglio, in qualche modo rende molli i cattolici che penserebbero più a
“redimere” l’umanità che pecca – puntando su tempi lunghi - che non a
intervenire drasticamente per bloccare questa vergogna “nel tempo legislativo e
politico”. Poi, a Palmaro che gli ricordava l’errore di considerare come un
dato acquisito e indiscutibile la legge 194 (se una cosa è male non può essere
ammessa dalla legge), Ferrara risponde che una battaglia legislativa è di
retroguardia, che “la sanzione giuridica del reato di aborto non funziona in un
mondo relativista”. E quindi lancia la sua proposta: “superare la legge, darla
per scontata, e opporre un amore sì, ma un amore paolino, un amore duro,
ardente, di fede e di cultura, alla sordità morale che impedisce politiche
pubbliche doverose contro l’aborto in ogni sua forma (compresa la manipolazione
eugenetica dell’embrione umano)”.
Noi condividiamo appieno la parte
fondamentale della proposta, quella dell’«amore paolino», della battaglia
culturale per opporci alla sordità morale della nostra società. E non potrebbe
essere altrimenti: nel nostro piccolo è quello che La Bussola Quotidiana fa già
da quando è nata, meno di 11 mesi fa, non a caso nella ricorrenza dell’8
Dicembre, l’Immacolata Concezione: quale figura umana può più degnamente
rappresentare questa battaglia culturale invocata da Ferrara? E l’Immacolata ci
ricorda anche che l’opposizione all’aborto non nasce da una convinzione
ideologica, ma da un sì alla vita, da un sì alla verità di sé che fa proprie
tutte le ragioni e tutte le inquietudini e incertezze degli uomini e delle
donne di ogni tempo.
Noi ci sentiamo già appieno in
questa battaglia ricordando anche le profetiche parole di Giovanni Paolo II che
all’incontro mondiale con le famiglie, a Rio de Janeiro nel 1997, disse
chiaramente che la battaglia del Terzo millennio sarebbe stata attorno
all’uomo, perché Satana, non potendo colpire Dio direttamente, si accanisce
contro il vertice della Creazione, quella creatura fatta a Sua immagine e
somiglianza. L’aborto, la sua banalizzazione, il tentativo di diffonderlo in
tutto il mondo, addirittura la follia di volerlo inserire tra i diritti umani
fondamentali, è il segno più evidente di quanto Giovanni Paolo II avesse
ragione.
Quindi, caro Ferrara, su questo
noi ci siamo, anche perché ci siamo sempre stati e il curriculum di tante firme
de La Bussola Quotidiana non lascia spazio a dubbi. Ma siamo convinti che di
questa battaglia culturale faccia anche parte riaffermare la profonda
ingiustizia di quella legge che nel nostro paese ha introdotto l’aborto.
Non facciamo oggi una battaglia
per cambiare quella legge, né indugiamo su questo, ma solo perché siamo
consapevoli che non ci sono le condizioni culturali e politiche per poterlo
fare. E su questo siamo perfettamente d’accordo. Ma un conto è dire che allo
stato attuale la legge non si può cambiare, che non vale la pena discuterne, un
conto è dire che la 194 va bene così. Se il giudizio sull’aborto è così
chiaro - “un omicidio seriale” – non può
non comprendere anche una valutazione sulle leggi che lo consentono. Come del
resto è una proposta giuridica quella di riformare in senso anti-abortista
l’articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, un altro
cavallo di battaglia di Ferrara.
Ma oltre che sul piano della
logica è bene spiegare questo punto anche da un punto di vista storico
ecclesiale. In fondo Ferrara ha ragione nel lamentare una certa ritrosia del
mondo cattolico a impegnarsi sul tema dell’aborto: del resto la stessa campagna
per il referendum del 1981 dovette fare i conti con una latitanza piuttosto
diffusa tra i pastori della Chiesa italiana. E tutt’oggi è molto più facile
trovare un vescovo che si scaldi e lanci anatemi contro la gestione privata
degli acquedotti che non uno che faccia altrettanto contro la piaga
dell’aborto.
Difficile però sostenere che il
problema stia nella concezione di amore. Esso sta piuttosto nella mancanza di
amore: alla vita e alla verità anzitutto. Lo dimostra il fatto che i documenti
del Magistero, gli interventi dei Papi, sono sull’aborto molto più duri e netti
delle posizioni che poi vengono assunte da singoli vescovi, sacerdoti, laici
impegnati nel sociale e nella politica. Non è certo un segreto che i ripetuti
interventi di Giovanni Paolo II su questo tema, in Italia e all’estero, fossero
sopportati con un certo qual fastidio e per quanto possibile silenziati da
molti opinion leader cattolici, laici o ecclesiastici che fossero. Basterebbe
confrontare quanto è scritto nella Evangelium Vitae o nella nota del 2002 della
Congregazione della Dottrina della Fede sull’impegno in politica, con il
contenuto dei giornali cattolici “ufficiali” per rendersi conto che c’è una
distanza abissale nel giudizio e nelle conseguenze. E i “princìpi non negoziabili”
codificati da Benedetto XVI, che il Papa – e ora anche il presidente della Cei,
cardinale Angelo Bagnasco – pone come fondamento di ogni politica per il bene
comune sono visti come pietra d’inciampo da tante sigle e personalità
cattoliche. Noi stessi lo abbiamo denunciato più volte da queste colonne: i
primi a non credere veramente al valore dei “princìpi non negoziabili”
(famiglia, vita, libertà di educazione) sono la gran parte dei vescovi.
Dopo l’approvazione della legge
sull’aborto nel 1978 e la sconfitta nel referendum del 1981, in tanti è
prevalso il desiderio di evitare l’argomento, considerato troppo lacerante per
la società italiana. Si è pensato di contribuire a ricucire le ferite provocate
da quell’aspro confronto, tacitando l’argomento: si è cioè anteposta
l’opportunità “politica” alla verità e all’amore (sul piano politico era già
avvenuto in precedenza se si considera che la legge 194 fu firmata da ministri
democristiani di provata fede cattolica). Inoltre, i tanti cattolici che da laici
e rimettendoci in proprio – bisogna riconoscerlo – si sono sempre spesi in
prima linea sul fronte della vita (Centri di aiuto alla vita, Progetto Gemma,
sepoltura dei feti) hanno faticato a trovare simpatia e sostegno in coloro che
nella Chiesa contavano. E sulla legge 194 per oltre venti anni è calata una
cortina di silenzio.
In altre parole, l’introduzione
di questa legge ha avuto anche l’effetto di infiacchire la Chiesa italiana sul
piano della battaglia culturale. E l’oblìo in cui è caduta la Legge 194 è una
delle cause che ha permesso, in tempi recenti, ad autorevoli esponenti
cattolici e pro-life di riparlarne in termini positivi, come se il problema in
questi anni fosse stato solo nella mancata applicazione di alcune parti della
legge stessa, più favorevoli all’accoglienza della vita. Ripetiamo per evitare
fraintendimenti: ben venga tutto quello che si può fare per migliorare la
situazione, per ridurre il più possibile gli aborti procurati, anche l’uso di
una legge ingiusta come la 194. E sempre tenendo conto che abbiamo a che fare
con dei drammi umani. Ma questo non fa diventare buono ciò che è
intrinsecamente cattivo. Non possiamo confondere la strategia politica e
culturale con il giudizio di valore.
Una vera battaglia culturale,
“opporre un amore paolino alla sordità morale che impedisce politiche pubbliche
doverose contro l’aborto in ogni sua forma”, implica che tutto sia compreso
nella verità, che nulla sia censurato. Su questo noi ci siamo.
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