Avvenire.it, 29 ottobre 2011 – EMIGRAZIONE - Romania, la vita spenta
degli orfani bianchi di Mihaela Iordache
Sono gli orfani bianchi, il loro
numero supera le centinaia di migliaia. Ognuno di loro ha un nome ma i loro
genitori non sono lì a chiamarli o abbracciarli forte quando hanno bisogno,
quando si interrogano sui problemi della vita, quando non capiscono perché
alcune cose devono accadere proprio a loro. E loro, i bambini rimasti soli in
Romania perché i genitori sono andati all’estero a lavorare, si addormentano
con le lacrime agli occhi, sperando di sognare la mamma ed il papà. Spesso i
coetanei li considerano fortunati perché possiedono cose più belle, vestiti,
cellulari. Eppure non sono felici. Hanno molto, ma non i loro genitori.
Sarebbe già un bel regalo poterli
incontrare almeno nei sogni. Diana, che è rimasta a casa con i nonni quando i
genitori sono emigrati in Spagna, dice che, se sognerà la mamma, la terrà
stretta per la mano e forse la mattina si sveglierà con lei vicino. Poterla
portare dal sogno a casa la farebbe immensamente felice, rinuncerebbe anche al
cellulare, ai giocattoli, pure alla cioccolata. Una carezza data dalla mamma
non ha prezzo, dice. Anche Monica, una bambina di dieci anni, ha aspettato a
lungo la sua mamma. Troppo a lungo. Le mancava così tanto che il suo piccolo
universo è crollato. Senza padre sin dalla nascita e con la nonna che la
picchiava, Monica si è chiusa in se stessa. Non ha più voluto né mangiare né
parlare. Per mesi, dal suo letto di ospedale ad Arad (ovest della Romania),
guardava con i suoi grandissimi occhi marroni sempre verso la porta, sperando
che da lì sarebbe entrata la sua amata mamma. Ma la mamma, emigrata in Italia,
è venuta a visitarla solo poche volte e sempre minacciandola che se non si
fosse ripresa l’avrebbe abbandonata. Nonostante le minacce il viso della
bambina si illuminava quando vedeva la mamma, e secondo i medici quelli erano
gli unici momenti in cui la piccola stava un po’ meglio. Del resto, i suoi
occhi tristi guardavano invano la porta da dove ogni tanto entravano persone
che avevano sentito della sua grande sofferenza. Ma nulla è servito, né le
carezze della gente, né le parole della psicologa o gli sforzi dei medici. A
dieci anni Monica si è spenta a causa di un’anoressia nervosa dopo un’agonia
durata mesi e nella pesante mancanza della mamma. Ed è tragicamente lunga la
lista dei bambini che scelgono di togliersi la vita per il dolore di essere
rimasti soli.
La Romania, il paese più povero
dell’Unione Europea, è anche il paese con la più forte emigrazione. Milioni di
romeni sono partiti in cerca di una vita migliore, soprattutto per assicurare
un futuro ai figli. Sono andati all’estero ad accudire altri bambini e anziani,
mentre i loro figli soffrono della "sindrome Italia", termine con il
quale psicologici e medici romeni indicano disfunzionalità e malattie dei
bambini rimasti in patria senza genitori.
Per anni nella società romena si
è sempre parlato dei benefici materiali dell’emigrazione, dei soldi che i
romeni inviano in patria, del loro contributo all’economia. Il fenomeno della
massiccia emigrazione è cominciato dopo la caduta del comunismo nell’89 e si è
intensificato con la libera circolazione e l’adesione all’Unione Europea
quattro anni fa. Alcuni sono riusciti a portare i bambini all’estero con loro.
Moltissimi no. Soprattutto le badanti che devono vivere nella casa degli
anziani che accudiscono. Non riescono a tornare spesso in patria a visitare e
abbracciare i propri figli perché non possono lasciare soli gli anziani in
Italia o Spagna e, anche per rientrare una volta all’anno, devono trovare una
sostituta. C’è così un’intera generazione cresciuta all’ombra dell’emigrazione.
Secondo l’Unicef, oltre 300 mila minori hanno uno o entrambi i genitori
all’estero. I bambini vengono affidati senza alcuna delega o documento
ufficiale ai nonni, ai parenti o addirittura ai vicini. E non tutti vivono in
condizioni materiali adeguate, perché spesso i genitori non riescono ad inviare
a casa somme di denaro sufficienti.
Si parla spesso del sacrificio
dei genitori, costretti a stare lontano dai propri figli; raramente si affronta
invece il tema delle privazioni affettive dei bambini che, per la disperazione,
provano ad attirare l’attenzione dei genitori, rifiutando di mangiare, di
parlare e alla fine di vivere. Questa è la faccia nascosta dell’emigrazione –
spiegano i sociologi – vite spezzate, famiglie rovinate e in genere una società
più povera in valori cui rapportarsi, dove i giovani respingono l’idea di
vivere in Romania e sognano a loro volta di emigrare. Lo Stato osserva il
fenomeno, impotente, senza fornire soluzioni per mitigare la situazione.
Nemmeno l’Unione Europea sembra
avere molte iniziative in merito. Già nel 2009 l’europarlamentare romena Corina
Cretu criticava, in una seduta plenaria del Parlamento Europeo, le autorità
nazionali ed europee per l’inadeguata importanza data al fenomeno dei bambini
lasciati soli in patria, considerandola una prova di mancanza di responsabilità
rispetto al presente e una incoscienza rispetto alle conseguenze future del
fenomeno. L’anno scorso la Commissione europea ha dato vita a uno studio
sull’impatto sociale dell’emigrazione, in particolare nell’Europa Centrale e
dell’Est, documento che potrebbe essere concluso nel 2012, secondo
l’europarlamentare romena Rovana Plumb, impegnata a studiare il fenomeno.
Nessun commento:
Posta un commento