Obiezione di coscienza - tutto cominciò con un film - Cinquant’anni fa
la battaglia trasversale per "Non uccidere" pellicola antimilitarista
di Autant-Lara vietata dalla censura di Alberto Papuzzi, 21/10/2011
Cinquant’anni fa, la sera del 20
ottobre 1961, via Quattro Fontane a Roma era chiusa al traffico e paralizzata
da una manifestazione di protesta, come allora non si vedeva di frequente. Tra
chi manifestava c’erano i volti di personaggi noti: leader politici come il
socialista Riccardo Lombardi, il filosofo marxista Galvano Della Volpe,
l’archeologo e storico Ranuccio Bianchi Bandinelli, intellettuali militanti tra
i quali si riconoscevano Carlo Levi e Pier Paolo Pasolini, scrittori quali
Carlo Bernari e Raffaele La Capria, i registi cinematografici Mario Camerini e Francesco
Rosi, e diversi attori: Anna Magnani, Gina Lollobrigida, Sandra Milo, Elsa
Martinelli, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi.
Ma qual era l’oggetto della
protesta? Il divieto della questura alla proiezione del film Tu ne tueras point
(in Italia Non uccidere ) del regista francese Claude Autant-Lara, organizzata
dalla Comunità europea degli scrittori appunto al cinema Quattro Fontane. La
questura accampava gravi motivi di ordine pubblico, in realtà il divieto
dipendeva dal fatto che il film raccontava la storia di due obiettori di
coscienza. Era un’opera dichiaratamente antimilitarista, in un’epoca in cui il
servizio di leva era obbligatorio e l’obiezione di coscienza non era
riconosciuta. Ma proprio il caso creato dal film innescò la miccia che portò
alla deflagrazione della tradizione militarista e pose le premesse per varare
una legge che riconoscesse il diritto di non indossare la divisa e di non
imbracciare armi.
Autant-Lara (scomparso nel 2000)
era un prolifico cineasta francese che aveva già fatto scandalo con la versione
cinematografica del romanzo Il diavolo in corpo di Raymond Radiguet. Aveva in
testa Tu ne tueras point fin dal 1949, quando l’occhio gli era caduto su un
caso di cronaca che riguardava un seminarista processato nel dopoguerra perché
era stato costretto a sparare su un partigiano francese. Ma per una decina
d’anni nessun produttore aveva accettato il suo progetto, finché alla fine
degli Anni Cinquanta incontrò la fiducia dell’italiano Moris Ergas, che dovette
però girare il film in Jugoslavia con capitali trovati nel Lichtenstein. Come
attore principale si scelse Laurent Terzieff, un giovane e seducente francese
che aveva esordito in Peccatori in blue jeans del grande Marcel Carné.
La storia narrava di due giovani
che diventano amici in un carcere militare: uno vi è rinchiuso perché rifiuta
la divisa in nome del Vangelo, l’altro è il seminarista che ha dovuto fucilare
un partigiano. Alla fine il primo sarà condannato e il secondo assolto.
Presentata alla Mostra di Venezia, la pellicola provocò polemiche, spaccando la
giuria. Subito dopo, non ottenne il visto della commissione di censura, con la
motivazione che istigava a compiere un reato. Una visione privata riservata ai
politici non ottenne risultati. Vani gli appelli, tra cui un’interpellanza di
Sandro Pertini. Il film sembrava destinato all’oblio, i distributori
cinematografici non volendo rischiare, quando ci fu un colpo di scena.
Il 18 novembre 1961, Giorgio La
Pira, cattolico e democristiano, amico di Dossetti e sindaco di Firenze, fece
proiettare il film di fronte a giornalisti e intellettuali, in barba a tutti i
divieti. Questo gesto di trasgressione avviò la svolta che fece di Non uccidere
la culla italiana dell’obiezione di coscienza.
A quei tempi non era strano che
un film avesse guai con la censura. Sospensioni, sequestri e tagli erano stati
subiti da opere come All’Ovest niente di nuovo di Milestone o Rocco e i suoi
fratelli di Visconti. Orizzonti di gloria , capolavoro di Kubrick uscito nel
1957, dovette attendere il 1975 per essere proiettato in Francia.
Ma nella vicenda di Non uccidere
non entrava semplicemente in gioco l’antimilitarismo. Dietro il film e la sua
censura c’era un enorme tema culturale, politico e sociale: il riconoscimento o
meno dell’obiezione di coscienza. Nel 1949 era stato condannato il primo
obiettore non cattolico, Pietro Pinna. Quindi toccò ai Testimoni di Geova. Ma
il caso esplosivo fu la condanna a sei mesi del primo obiettore cattolico,
Giuseppe Gozzini, un giovane di Cinesello Balsamo, amico di padre Turoldo.
Alla metà degli Anni Sessanta si
processano don Milani, il parroco di Barbiana, e un altro prete fiorentino
impegnato, Ernesto Balducci. Milani aveva scritto una lettera aperta ai
cappellani militari della Toscana in congedo, che avevano parlato di «insulto
alla patria» e «espressione di viltà». Erano i semi del movimento che avrebbe
ottenuto il riconoscimento dell’obiezione (legge n. 722 del 15/12/1972), anche
se solo per motivi di fede. Ci vorranno trent’anni di riforme ma la svolta
storica era avvenuta.
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