La shari'a: se la conosci, la eviti di Valentina Colombo, 25-10-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
«Bisogna abolire la sharia, la
legge islamica, ovvero le pene corporali, come la lapidazione della donna per
adulterio e la decapitazione per apostasia. Bisogna abolirla in tutti i paesi
musulmani per affermare l’uguaglianza tra uomo e donna, tra musulmano e non
musulmano, perché per l’islam la disuguaglianza tra uomo e donna e musulmano e
non musulmano sono concetti eterni, che non possono essere messi in
discussione», queste le parole di Lafif Lakhdar, intellettuale liberale
tunisino residente in Francia, che non è
per nulla entusiasta dei primi risultati elettorali che provengono dal proprio
paese.
Di tutt’altro parere è il nostro
Ministro degli Esteri Franco Frattini che, commentando l'annuncio del
presidente del Consiglio Nazionale di Transizione libico, Mustafa Abdel Jalil,
ha dichiarato: «La cosa che conta è che la shari'a (come base della
costituzione libica) lasci le libertà, la libertà di religione, la libertà di
costruire chiese cristiane, come accade in Egitto, Tunisia, così in Libia». Il
nostro ministro è comunque in buona compagnia. Già nel febbraio 2007
l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, aveva candidamente affermato che
l’applicazione di alcuni dettami della shari'a in Gran Bretagna era
«inevitabile» e che, in ogni caso, non ci sarebbe stato alcun male. È curioso,
ma in primo luogo molto preoccupante, che in Europa e in Occidente ci si
premuri di difendere la legge islamica quando viene ormai messa in questione
dagli stessi musulmani, come Lakhdar e tanti altri. Vale la pena quindi
soffermarsi per capire che cosa si intenda per sharia e che ruolo quest’ultima
svolga oggi nel mondo islamico.
La shari'a, al pari della jurisprudentia
romana è rerum divinarum atque humanarum notitia e nella sua accezione più
ampia ricopre tutti gli aspetti della vita religiosa, sociale, politica ed
economica del musulmano. Infatti accanto alle norme concernenti l’osservanza
delle pratiche rituali del credente, ingloba tutta la sfera del diritto di
famiglia, delle successioni e della proprietà.
La shari'a è concepita come un
insieme di norme, esplicite o implicite, di origine divina e per questo
inalterabili. Il diritto islamico non è quindi nato a partire da norme di
diritto preesistenti, bensì le ha formulate a partire dalla parola divina nella
profonda convinzione che quest’ultima offra sempre una risposta anche se
talvolta risulta difficile comprenderla. Va ricordato che però e purtroppo solo
il 3% dei versetti coranici contiene affermazioni a carattere legale, molte
delle quali ispirate da esigenze occasionali, connesse al periodo di
rivelazione.
La tradizione giuridica islamica
ha quindi ben presto individuato quali dovessero essere le fonti del diritto
che potessero affiancare il Corano per elaborare leggi che si adeguassero ai
tempi. Il primo gruppo di fonti comprende la rivelazione coranica, in quanto
espressione diretta e non mediata di Dio, che costituisce la fonte primaria, la
Sunna, ovvero i detti e fatti di Maometto, e la biografia ufficiale di
quest’ultimo. Si tratta di fonti che si possono definire statiche. Il secondo
gruppo di fonti comprende il "consenso della comunità", che avrebbe
dovuto essere l’accordo di tutti credenti, tuttavia, per l’impossibilità
comprensibile a coinvolgere tutti i credenti, ovvero l’intangibile umma, ben
presto divenne il "consenso dei dotti". L’altra fonte
"razionale" è il "ragionamento analogico-deduttivo", del
singolo esperto. In questo caso più che di una fonte si tratta di un
procedimento. Il ragionamento non è l’atto di una "ragione sovrana",
assoluta e innovatrice, bensì la benintenzionata ricerca della ragione su quei
punti della parola divina meno chiari, meno espliciti dei testi.
I primi quattro califfi
dell’islam, i cosiddetti "ben guidati", detevano il potere e
l’autorità di "innovare il diritto", al pari di Maometto, nel momento
in cui la confusione tra la parola di Dio e la parola di Maometto non veniva
nettamente percepita. In una fase successiva, a seguito delle tensioni
emergenti all’interno della comunità musulmana e alla sua espansione
territoriale, si sentì l’esigenza di fare riferimento a istanze diverse dal
Corano, nella fattispecie all’esempio di Maometto, per risolvere situazioni non
previste dallo stesso.
Con il passare del tempo le
scuole giuridiche vennero identificate con i nomi dei loro principali
esponenti: la scuola hanafita, fondata da Abu Hanifa (morto nel 767), che fa
ampio ricorso alla opinione personale e al ragionamento analogico rispetto al
ricorso alla Tradizione. In seguito si impose come scuola ufficiale dell’Impero
ottomano. È quindi la scuola più diffusa nel mondo islamico. Prevale per quanto
riguarda il diritto di famiglia e quello religioso tra i musulmani dei Balcani,
nelle repubbliche caucasiche, in Asia centrale, Afghanistan, Pakistan, India e
Cina. La scuola malikita, fondata dal medinese Malik ibn Anas (morto nel 795),
che fa ampio ricorso alla sunna pur ammettendo l’uso del ragionamento
analogico. La scuola si diffuse nel Golfo, in Egitto, Sudan, Andalusia e in
Africa nordoccidentale. Oggi è la scuola dominante in Marocco, Algeria, Tunisia
e Libia. La scuola shafiita, prende il nome da Shafii (morto nel 820), che è la
scuola più diffusa in Bahrein, nello Yemen e nelle zone periferiche dell’islam
(Indonesia, Africa orientale). È la scuola seguita dai curdi. Infine la scuola
hanbalita fondata da Ahmad ibn Hanbal (morto nel 855) che difende rigidamente
il primato delle tradizioni tanto da respingere l’uso del ragionamento
analogico, pur non giungendo alla elaborazione di un vero sistema di diritto. È
la scuola prevalente nel Golfo persico e in Arabia Saudita. È evidente che si
tratta di una legiferazione che risale all’VIII - secolo IX, che è
caratterizzata dalla pluralità e che è opera di una elaborazione umana delle
fonti islamiche.
Per venire alla situazione
odierna ebbene in molti stati del Nordafrica e del Medio Oriente l’islam è
dichiarato nella costituzione religione di stato: in Egitto all’articolo 2, Algeria
all’articolo 4, in Tunisia all’articolo 1, in Libia all’articolo 2, in Sudan
all’articolo 16, in Kuwait all’articolo 2, in Qatar all’articolo 1, in Bahrein
all’articolo 2, negli EAU all’articolo 7 della Costituzione provvisoria, in
Yemen all’articolo 3, in Somalia all’articolo 1 capoverso 3. In Siria
l’articolo 3 prevede solo che il presidente debba essere musulmano.
Alcuni Paesi della penisola
arabica, nella fattispecie Arabia Saudita e Oman, non dispongono ancora di
nessuna legge costituzionale propria, conseguenza naturale è la superiorità
assoluta dell’islam e il considerare il Corano, una sorta di costituzione del
Paese.
Inoltre la shari'a viene definita
la fonte principale del diritto nelle costituzioni di: Egitto all’articolo 2,
Siria all’articolo 3, Kuwait all’articolo 2, Qatar all’articolo 1, Bahrein
all’articolo 2, Emirati Arabi Uniti all’articolo 7, Yemen all’articolo 3, Sudan
all’articolo 9, Somalia all’articolo 50.
Sulla scia della reislamizzazione
a partire dagli anni Ottanta i principi costituzionali relativi all’islam hanno
acquisito una nuova dimensione, un peso maggiore in tutti gli ambiti della
vita, quali lo stato, l’economia, la società. Si è assistito, anche nel diritto
islamico, a una sorta di crisi di identità. Negli anni Settanta Algeria,
Somalia e Sudan si sono sforzati di sostituire il diritto "straniero"
imposto dall’esterno con il proprio diritto nazionale di matrice islamica. Ad
Abu Dhabi, accanto al moderno codice penale, è stato reintrodotto il diritto
penale islamico. In Iran trova applicazione il diritto penale islamico, senza
che sia mai stato abolito il codice penale del 1926. Per quanto concerne il
diritto patrimoniale invece valgono ancora le leggi di ispirazione francese.
Tra il 1972 e il 1974 la Libia di Gheddafi ha dato per la prima volta nella
storia dell’islam forma legislativa al diritto penale islamico. In Egitto
il tentativo di fare abolire l’articolo
due della costituzione egiziana era già fallito in passato, dietro pressione
dei gruppi parlamentari legati ai Fratelli musulmani, e di questo non si è
fatta menzione nel referendum costituzionale dello scorso marzo, ovvero dopo la
rivoluzione del Loto.
Per tornare all’affermazione del
Ministro Frattini varrebbe la pena ricordare che è in nome della sharia che
donne giudicate adultere vengono ancora oggi lapidate in Iran, Nigeria, Arabia
Saudita, è in nome della sharia che Asia Bibi in Pakistan rischia la pena di
morte, è in nome della sharia che la comunità bahai è discriminata in Egitto, è
in nome della shari'a che cristiani ed ebrei vengono considerati dei dhimmi,
ovvero delle popolazioni da proteggere dietro versamento di una tassa, è in
nome della sharia che le donne in Arabia Saudita non sono ancora persone, è in
nome della sharia che anche nel moderato Marocco non si vieta la poligamia, è
sempre in nome della shari'a che una musulmana non può sposare un non musulmano
a meno che quest’ultimo non si converta, è ancora in nome della shari'a che il
musulmano che si converte a un’altra religione è condannato a morte.
Credo che gioire delle
esternazioni del libico Abdel Jalil concernenti la shari'a, così come della
vittoria del movimento El Nahdha in Tunisia che è tutto fuorché un movimento
islamista moderato sia un atto per lo meno molto ingenuo e superficiale.
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