martedì 4 ottobre 2011


Le due strade del dolore di MASSIMO PANDOLFI, 4 ottobre 2011, http://www.ilrestodelcarlino.it

Il dolore e la sofferenza possono sfociare in disperazione, certo. Probabilmente Piero Amighetti era un uomo disperato, l’altra sera, quando ha preso il fucile e ha sparato prima a sua moglie paraplegica, ammazzandola, e ha poi rivolto l’arma contro se stesso, uccidendosi. Forse, come diceva Jim Morrison, Amighetti ha pensato che «era meglio una fine disperata che una disperazione senza fine».
Ma in questa stessa pagina (sotto) raccontiamo una storia che è altrettanto piena di dolore e di sofferenza, sì, ma che ha prodotto invece qualcosa di buono, di bello, di grande.
Fulvio De Nigris ha perso il suo amato figlio Luca l’8 gennaio 1998. Luca aveva appena 16 anni. E’ morto dopo 240 giorni di coma e di stato vegetativo; l’anno prima aveva subito un intervento definito ‘perfettamente riuscito’.
Solo Fulvio De Nigris sa cosa può aver passato in quei giorni, in quei mesi, in quegli anni. In tutti questi anni. Però da quell’atroce dolore ha costruito — insieme a Maria, la mamma di Luca — un’opera immensa: la Casa dei Risvegli Luca De Nigris di Bologna, che si occupa della cura e della riabilitazione delle persone in coma o in stato vegetativo, un fiore all’occhiello della sanità emiliana e italiana.
Obiezione più che legittima: lui (De Nigris) ce l’ha fatta, ma come la mettiamo con tutti coloro (pensate solo che in Italia ci sono più di due milioni di disabili e migliaia di persone in stato vegetativo o di minima coscienza) che invece non ce la fanno più? E che se non arrivano alle assurde e tragiche conseguenze del gesto di Parma, si chiudono però a riccio, vivono ma non vivono, soli e disperati?
Non possiamo incolparli, ovvio. Però una società civile e moderna qualcosa deve fare. E prima ancora dei fondi e degli aiuti economici (che comunque ci vogliono e che con questa crisi economica rischiano di subire drastiche riduzioni) serve una rivoluzione culturale.
Non esistono vite di serie A e di serie B: è questo il nodo cruciale. E un essere umano, in qualunque situazione si trovi (in carrozzina o nel mistero del coma) ha sempre la possibilità di dare un senso e un significato alla sua esistenza e a quella dei familiari. C’è una strada. Va cercata con tutte le forze e noi ‘sani’ (eccola la rivoluzione culturale) dobbiamo aiutare queste persone non per pietà, ma per compassione, cioè per ‘patire’ con loro e poi gioire insieme quando la troveremo (se la troveremo) questa benedetta strada.
Si può. Questo cammino qui si chiama libertà.
massimo.pandolfi@ilcarlino.net

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