L'etica del male minore fa male a tutti di Tommaso Scandroglio, 30-09-2011,
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Cappuccetto Rosso non aveva
riconosciuto il lupo cattivo ed erroneamente credeva di aver di fronte a sé la
mite e buona nonnina di sempre. Come ben sappiamo, il lupo fu così bravo a
travestirsi che riuscì a divorare la povera bambina. In modo analogo vi sono
vicende di bioetica che abilmente vengono camuffate da nonnine innocue ma in
realtà nascondono feroci verità che fanno a pungi con i più elementari principi
di morale naturale. La conseguenza è che uno stuolo di lettori poco accorti
finisce facile preda di queste notizie all’apparenza dolci come confetti rosa.
Un caso esemplare è quello di
Alberta, 37 anni, malata di tumore che ha deciso di crioconservare i propri
ovociti dato che la chemioterapia avrebbe potuto renderla sterile. Alberta
grazie a Dio guarisce e così si sottopone a Fivet presso il reparto di
Infertilità e Fecondazione medicalmente assistita del Policlinico
Sant’Orsola-Malpighi di Bologna guidato dalla dottoressa Elena Porcu. Dai 16
ovociti congelati si ottengono tre embrioni. Uno solo riesce ad impiantarsi ed
oggi la donna è la terzo mese di gravidanza.
I commenti della stampa, anche
cattolica, sono entusiasti: “evento grandioso”, “grande conquista”, “un altro
successo delle tecniche di procreazione assistita”. Il caso viene presentato
qualche giorno fa addirittura al congresso della Società italiana di
ginecologia e ostetricia (Sigo) a Palermo perché la vicenda è unica nel suo
genere. Insomma una storia davvero a lieto fine parrebbe. E forse Cappuccetto
Rosso aveva questo stesso pensiero quando dopo i tanti spaventi del bosco, che
aveva scelto di attraversare nonostante il divieto della madre, finalmente era
giunta alla casa della nonna.
Ma la storia di Alberta in realtà
nasconde tra le sue pieghe il folto pelo del lupo cattivo. Come Cappuccetto
Rosso guardando meglio la nonnina si accorse che qualcosa non andava – la bocca
grande, i denti lunghi – così anche noi se ci sforziamo un poco capiamo che c’è
del marcio in questo fatto di cronaca.
Ovviamente siamo lietissimi che
Alberta sia in buona salute, però siamo molto meno lieti per la sorte dei suoi
altri due figli sacrificati sull’altare della fecondazione artificiale, due
creature che non hanno ricevuto da nessun quotidiano nemmeno una riga di
pietosa attenzione. Eppure sono essere umani tali e quali il figlio che le
auguriamo di stringere al petto a breve.
Una seconda considerazione. Il
plauso generale è dato, anche in casa cattolica, ormai dall’aver sposato in
pieno l’etica del male minore: “Vedete? Si possono anche non congelare gli
embrioni per avere bambini. Basta congelare gli ovociti”. Ma pur sempre di
Fivet si tratta. In altri termini i problemi più grossi che si portano appresso
le tecniche di fecondazione artificiale non sono scomparsi: l’eliminazione di
un numero rilevante di embrioni per aver il cosiddetto bambino in braccio, la
reificazione del nascituro (nascere in provetta non è procedura adatta alla
dignità di una persona), la separazione dell’atto unitivo da quello
procreativo. Tutte questioni che rimangono sul tavolo anche con gli ovociti
congelati. Esultare per questo risultato è un po’ come far piroette di gioia
alla notizia che le esecuzioni capitali negli Stati Uniti non vengono più
eseguite tramite sedia elettrica ma attraverso la meno dolorosa iniezione letale.
Comunque il condannato muore sempre.
La strategia di difendere il male
minore è ingenuamente perseguita per paura di cadere nel male peggiore e quindi
si dà la stura alle lodi più ardenti in favore della crioconservazione degli
ovociti per il timore che quella embrionale possa dilagare. Dimentichi invece
del fatto che l’una pratica incoraggia l’altra. E’ un po’ come instradare al
furto il proprio figlio temendo che possa diventare un omicida. Ma, al di là
del fatto che rubare non è il più onesto lavoro del mondo, quanti ladri sono
poi diventati anche spietati killer?
Il favore dato alla notizia è
anche motivato dal fatto che la tecnica di congelamento degli ovociti ha più
vantaggi rispetto alla crioconservazione degli embrioni. Ad esempio – come
spiega la Porcu – può essere praticata preventivamente, cioè prima di decidere
di aver un figlio o prima di trovare il papà giusto. Insomma ci si porta avanti
con il lavoro in attesa che si accenda la voglia di diventare mamma o in attesa
di un candidato su misura, il quale ovviamente a suo tempo sarà pregato di fare
la sua parte offrendo il proprio seme per fecondare gli ovociti. E’ una specie
di maternità a tappe.
Inoltre il congelamento di
ovociti e spermatozoi potrà dare l’occasione di diventare padri e madri ad
over-60enni, a militari al fronte che temono di non far più ritorno a casa. E
così il figlio sarà accudito da genitori-nonni oppure, come nel secondo caso,
verrà concepito dopo che il padre per ipotesi è deceduto da mesi. Insomma la
fecondazione da freezer ghiaccia il sangue nelle vene solo al pensiero di dove
ci potrà portare.
Ma la vicenda è indorata da
un’aura di trionfo soprattutto perché l’attrice principale della storia è da
una parte riuscita a scampare alla morte e dall’altra è stata capace, dopo
questo infausto evento, di accogliere in sé una nuova vita. Quale modo migliore
di dare scacco matto alla signora con la falce se non quello di mettere al mondo un bambino? E dunque si plaude alla
Fivet che ha permesso questa vittoria, sentendo come doveroso chiudere un
occhio su qualche suo difettuccio di ordine etico.
Il consenso popolare è quasi
scontato soprattutto quando sul piatto della bilancia c’è, come in questo caso,
la sofferenza di una persona malata di tumore che grazie alla fecondazione in
vitro è stata in un certo qual modo lenita. Una sorta di compensazione esistenziale.
Quello che il destino le ha tolto (possibilità di avere figli) la scienza umana
lo ha restituito a lei. E allora si estende indebitamente la giusta
soddisfazione nel vedere una persona guarita ad una tecnica che invece rimane
mortifera. Obiettare a tutto ciò sarebbe di cattivo gusto e cinico. Ma
Cappuccetto Rosso docet: da sotto la Fivet spuntano zanne acuminate.
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