È iscritta a parlare l’etica di Paola Binetti 28 febbraio 2012, http://www.liberal.it
L'altro giorno nella Sala Stampa della Camera non ha
fatto granché notizia la presentazione di un Codice etico sottoscritto da
settanta parlamentari in modo assolutamente bipartisan. Pochissimi i
riferimenti sulla stampa nazionale, qualche passaggio in televisione,
soprattutto in TG Parlamento. Eppure sulla necessità di rinnovare la politica
dal di dentro sono tutti d'accordo. Ce n'è un bisogno urgente: irrinunciabile e
indifferibile. Il nostro Paese sembra imputare all'incompetenza e alla
corruzione del mondo politico la drammatica situazione economico-finanziaria
che gli italiani stanno vivendo. Si chiedono loro competenze concrete, che
dimostrino la loro idoneità a legiferare e a governare. Si pretende un
cambiamento radicale di stile e di comportamento sul piano etico. Il nuovo
Codice proposto dai 70 parlamentari vuole ripartire dall'articolo 54, secondo
comma, della nostra Costituzione. L'articolo in questione, sconosciuto ai più,
stabilisce che i cittadini chiamati a svolgere funzioni pubbliche devono
adempierle "con disciplina ed onore". Un'espressione molto sintetica,
ma di grande forza espressiva perché impone non solo il rispetto della
"legalità formale", ma anche l'osservanza di principi etico- morali,
di cui il popolo italiano ha capito di non poter assolutamente fare a meno. Due
parole che sembrano uscite dal lessico comune delle persone: "disciplina
ed onore", e come accade quando le parole "muoiono", anche i
valori che esprimono sembrano dissolversi rapidamente. Non a caso molte riforme
cominciano con i cambiamenti linguistici: la neo-lingua di Orwell ha fatto
scuola per decenni. Se non pronunci quelle parole è come se i concetti, i
valori, che comunicano sparissero anche loro… Eppure è proprio da lì che
occorre ricominciare, senza scivolare in una facile retorica, ma senza neppure
farsi condizionare da una anti-retorica strumentale alla cancellazione dei
valori in gioco. Occorre dire con semplicità, con chiarezza e con fermezza che
i nostri Padri costituenti avevano, e hanno ancora oggi, assoluta ragione
quando pretendono un forte senso dell'onore e della disciplina da chi svolge
ruoli pubblici. Da questa norma costituzionale si deduce infatti che coloro che
ricoprono incarichi istituzionali debbono compiere le proprie funzioni in modo
imparziale, nel pieno rispetto della legge. Debbono perseguire l'interesse
pubblico, collaborando lealmente con i diversi poteri dello Stato. Debbono
improntare i propri comportamenti alla sobrietà, alla serietà ed alla
morigeratezza indispensabili in quanti sono chiamati a rappresentare il Paese e
le sue Istituzioni democratiche. Da qualche decennio invece si nota l'emergere
di stili di vita difficilmente compatibili con la dignità di chi governa e con
il decoro delle istituzioni e della vita pubblica. Si assiste a comportamenti
in stridente contrasto con il tradizionale patrimonio morale del popolo
italiano, che dai suoi legislatori e dai suoi governanti si attende un concreto
esercizio delle cosiddette virtù repubblicane. Il senso dell'onore è il
contenuto pregnante di queste virtù, mentre il senso della disciplina rappresenta
lo sforzo necessario, costante, per passare dai propositi ai fatti, dalle belle
parole alla realtà. Occorre ricominciare da valori facilmente riconoscibili
come l'onestà e la sobrietà, la giustizia e la competenza, la lealtà e il
rispetto per la verità, la mancanza di conflitti d'interessi e la solidarietà,
soprattutto quando è in atto una pesante crisi economica che penalizza le
famiglie più a rischio. Il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica è
stato segnato proprio dalla drammatica scoperta che quell'ethos condiviso, a
cui è in gran parte attribuibile il miracolo italiano degli anni del primo
dopoguerra, si era ormai dissolto nella coscienza di molti dei suoi governanti.
La seconda Repubblica sarebbe dovuta ripartire da un rinnovato impegno sul
piano dell'etica pubblica, un impegno che cancellasse lo squallore della
corruzione dilagante, vero cancro già ampiamente metastatizzato della nostra
società, e così efficacemente denunciato da Mani pulite. Questa speranza si
trasmise rapidamente agli italiani, che sentivano un urgente bisogno di
ricominciare a credere e a sperare nella possibilità di contare su di una buona
politica. Oggi, 20 anni dopo, gli italiani scoprono che quella malattia non
era stata estirpata, che si è riprodotta e la nostra società stenta a credere
che si possa guarire da un cancro così malignamente diffuso: dubita del malato,
delle medicine e dei potenziali medici. Nell'opinione pubblica, ormai già da
alcuni anni, si stanno diffondendo sentimenti di profondo disagio e di insofferenza
per la condotta di quegli uomini politici, che venendo meno alle responsabilità
connesse agli incarichi istituzionali hanno avuto comportamenti inadeguati al
loro ruolo. Hanno cercato di assicurare a sé stessi o ai propri
"amici" vantaggi legati alle funzioni che svolgono, abusando dei
propri poteri e delle risorse di cui dispongono in ragione dell'ufficio che
ricoprono. La risonanza che trova sulla stampa l'informazione relativa alla
condotta pubblica e privata di questi uomini politici insinua nella opinione
pubblica che non si tratta di casi isolati, ma di uno stile e di un modo di
procedere di tutta la politica. Non è certamente così, ma la condotta di chi
ricopre incarichi pubblici non dovrebbe mai perdere di vista una sua specifica
esemplarità. Le cadute di tono di alcuni politici, spesso oggettivamente molto
gravi, amplificate dai media anche per i pesanti risvolti penali che mostrano,
creano un effetto alone che coinvolge l'intera classe politica. A cominciare da
coloro che condividono con lui la stessa appartenenza politica o per qualsiasi
ragione hanno con lui un qualche motivo di prossimità. L'argomentazione che con
mag- itagiore frequenza risuona è: «Non potevano non sapere, perché non
potevano non vedere, non sentire…». E oggi è diventato impossibile, anche per
gli "innocenti"giustificare la propria mancanza di reazione,
trincerandosi dietro un generico rispetto della privacy o una presunta
discrezione. Tra le colpe dei politici più in voga in questo momento c'è anche
quella di omissione: la mancata denuncia di un comportamento scorretto, la
tendenza ad ignorare legittimi sospetti, stanno assumendo la forma di una
complicità pigra, ma non inerte. Parte integrante del senso dell'onore di cui
parla il già citato articolo 54 è anche il coraggio della denuncia, la forza
dell'indignazione davanti al male, la concretezza dell'intervento proposto come
alternativa efficace davanti ad una conclamata forma di corruzione o di
conflitto di interessi. Lo stesso Benedetto XVI nel recente Messaggio per la Quaresima,
rivolgendosi a tutti, senza distinzioni di ruolo, ha ricordato il valore di una
antica tradizione della Chiesa: la correzione fraterna, oggi caduta in parziale
disuso. «E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare
caduto in oblio: la correzione fraterna», e citando il Libro dei Proverbi ha
ricordato: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e
diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» e
subito dopo si è soffermato ad analizzare cosa significhi correzione fraterna:
la denuncia di chi indulge al male… «Non bisogna tacere di fronte al male.
Penso qui all'atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per
semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in
guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la
verità e non seguono la via del bene. Il rimprovero cristiano, però, non è mai
animato da spirito di condanna o recriminazione; è mosso sempre dall'amore e
dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello». Il
codice etico, sottoscritto da parlamentari credenti e non credenti, vuole
ripartire anche da qui. Dal coraggio della denuncia, quando necessario, ma
senza appiattirsi in una posizione di sterile recriminazione, l'obiettivo resta
quello di riposizionare continuamente la vita politica nella ricerca della
giustizia sociale, nella affermazione convinta che il bene comune è il suo
obiettivo essenziale. Non c'è dubbio che lo smarrimento di tanti valori etici
abbia accresciuto il distacco tra cittadini e Istituzioni, rendendo queste
ultime meno credibili ed affidabili. E come naturale conseguenza abbia generato
sfiducia negli operatori economici, che dubitano della capacità del Paese e dei
suoi governanti di reagire efficacemente alla crisi in atto. Il Governo Monti
ha segnato una linea di discontinuità proprio in tal senso. Attraverso la
chiave della competenza specifica, indiscussa, dei suoi ministri ha cercato di
armonizzare l'etica del saper fare, con l'etica della comunicazione: il saper
dire, rifuggendo dalle facili promesse che cercano un consenso a buon mercato,
per attestarsi sul piano di un rigore personale, estraneo a potenziali
conflitti di interesse. Evidentemente il Governo Monti si è dato un suo codice
etico, a cui cerca di attenersi nei fatti, senza scivolare nella tecnica
dell'annuncio fine a se stesso. L'Italia non si è mai trovata tanto chiaramente
dinanzi alla verità di una situazione, che le impone di correggere abitudini e
stili di vita. Cosa facile da dire, ma difficile da applicare. E il gruppo dei
parlamentari che ha presentato la proposta di un proprio Codice etico intende
ripartire dalla propria classe di appartenenza: la politica, per poi estendere
questa sollecitazione a tutto il Paese, con il preciso desiderio di provare
insieme a cambiare comportamenti personali e stile istituzionale. Coloro che
hanno sottoscritto la mozione, con cui chiedono l'approvazione di un Codice
etico, considerano necessaria l'introduzione di un complesso di regole
deontologiche e di meccanismi di controllo e sanzione per garantire, attraverso
la correttezza e la moralità dei comportamenti di quanti ricoprono cariche
elettive o di nomina politica, l'etica pubblica e l'integrità della classe
dirigente politica italiana. È un compito che non può essere lasciato solo
all'iniziativa spontanea, pur sempre necessaria. Senza una forte motivazione
interiore nessun apparato sanzionatorio risulta efficace. Ma l'autodisciplina
delle forze politiche da sola non è sufficiente per prevenire e sanzionare
l'illegalità ed il malcostume. È necessario un quadro chiaro e coerente di
valori e di regole comuni, per assicurare a tutti i livelli di governo -
nazionale e locale - standard uniformi di correttezza e moralità nella condotta
di chi è chiamato a ricoprire cariche elettive o di nomina politica. Negli
Stati Uniti già da tempo sono stati attivati presso il Congresso degli organi
deontologici autorevoli e severi, come il Committee on Standards of Official
Conduct della Camera dei rappresentati ed il Select Committee on Ethics del
Senato federale. Più recentemente, nel 2008 è stato istituito l'OCE, Office of
Congressional on Ethics, organismo indipendente, composto in egual misura da
democratici e repubblicani. Il suo compito è quello di indagare su casi di
violazione del codice etico da parte di uomini politici, componenti del loro
staff, pubblici funzionari, ecc. Sono organismi che svolgono un importante
ruolo consultivo a disposizione di parlamentari e funzionari, perché le
sanzioni inferte ai comportamenti scorretti sono così pesanti, che è molto
diffusa la consuetudine di consultare prima gli esperti che vi lavorano.
Davanti all'offerta di un mutuo a condizioni agevolate, il parlamentare in
questione chiede prima se può accettarlo o meno. Davanti ad una proposta di
sponsorizzazione da parte di una grande Azienda, conviene chiedere prima se è
lecito accettarla o se potrebbe configurarsi una sorta di conflitto di
interessi. Le lobby svolgono un ruolo molto aggressivo negli USA e c'è una
normativa molto precisa che ne disciplina i comportamenti. Altrettanto precisa,
pressoché speculare, è anche la normativa che regola i comportamenti dei
politici e del loro staff. La linea di demarcazione tra comportamenti
eticamente corretti e comportamenti che non lo sono è segnata soprattutto da
potenziali forme di conflitto d'interesse, dietro le quali è molto facile
scivolare verso una corruzione invasiva e inarrestabile. L'esigenza di
innalzare il livello di moralità della politica è stata ritenuta prioritaria
anche in Francia, dove nell'aprile dello scorso anno è stato approvato il Code
de déontologie della Assemblée nationale e poche settimane dopo è stato
nominato il primo Déontologue de l'Assemblée nationale, un Organo volto a
garantire l'indipendenza, l'imparzialità e la probità dei deputati francesi. La
proposta di un codice etico in questo caso riguarda soprattutto i politici,
perché evidentemente l'etica politica deve ricominciare da lì almeno per tre
ragioni: perché è lì che ha subito le offese più gravi; perché la politica, nel
bene e nel male, resta un punto di riferimento per tutto il Paese; perché una
buona politica è anche una politica forte, capace di imprimere un deciso
cambiamento di rotta al sistema-Paese. Ma tutto ciò impone ai cittadini un
dovere di partecipazione alla vita democratica, che si ispiri rigorosamente a
criteri di etica pubblica. Resistere a pressioni ai limiti dell'illegalità è
condizione necessaria, ma non sufficiente. Occorre rovesciare almeno due dei
paradigmi più perniciosi per il Paese. Quello che vede i furbi sempre in pole
position, laddove furbo è un termine antitetico a quello di eticamente corretto
e quello di un assistenzialismo diffuso, per cui il principio di sussidiarietà
si dissolve, rinunziando ad esprimere la propria dignità creativa e il suo
naturale senso di responsabilità, delegando ancora una volta tutto allo Stato,
Un liberismo senza regole, totalmente egocentrico, e uno statalismo dirigista
sono come Scilla e Cariddi; definiscono una strozzatura del sistema sociale in
cui è fin troppo facile andare a sbattere e naufragare. Senza una forte
consapevolezza etica i cittadini non possono contribuire alla formazione degli
orientamenti politici e delle opzioni legislative necessarie per promuovere il
bene comune. Ad un anno dalla fine della legislatura, un gruppo di politici
"in carica" propone di rielaborare la difficile esperienza di questi
ultimi anni rilanciando la centralità del Parlamento come forza di rinnovamento
morale. Si vuole ribaltare una visione sciatta e rassegnata del Parlamento, che
lo immagina specchio ed espressione di tutte le debolezze e di tutte le
fragilità che connotano il Paese. Il Parlamento non può essere solo una spugna
che assorbe interessi individuali, che finiscono col configgere tra di loro, o
dinamiche lobbistiche che pure entrano in stato di tensione permanente tra di
loro. Il Parlamento può ritrovare il senso della sua mission specifica senza
attendere passivamente il nuovo anno e la nuova legislatura, rincorrendo la
speranza di un mitico cambiamento che farà nuove tutte le cose. Per questo può
e deve ricominciare da oggi: hic et nunc. Non sarà facile, ma sono in molti
quelli che ci stanno provando…
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