Rinunciando alla ricerca del fondamento, la filosofia diventa un
optional morale, Claudio Magris, 23 febbraio 2012, http://www.corriere.it/
Uno spettro si aggira per
l'Europa. Non è, come scriveva Marx nel 1848, il comunismo, che ormai solo
qualche imbroglione tenta di estrarre dal ripostiglio del passato e agita come
uno spauracchio per i bambini. Oggi i fantasmi che saltano fuori dalle tenebre,
come nel tunnel dell'orrore dei luna park, per spaventare i visitatori e
gratificarli col brivido dello spavento, sono i nemici del relativismo, tutti
coloro che hanno la sfrontatezza di usare ancora la parola «verità».
Relativismo, parola malleabile e adattabile a piacere come un chewing gum,
appare il sinonimo di libertà, tolleranza, civiltà; un distintivo che ogni
benpensante deve portare all'occhiello, a scanso di equivoci.
Nel coro retorico e mediatico, il
relativismo - al pari dei concetti a esso contigui o opposti, quali tolleranza
e verità - viene spesso radicalmente svisato nel suo significato più alto e
profondo. Il relativismo, correttamente inteso, non è la negazione della verità
e men che meno del significato e della necessità della sua ricerca. Esso è un
indispensabile sale, non una pietanza; è un correttivo irrinunciabile nella
ricerca della verità, che impedisce di credersene possessori definitivi,
pervenuti a una piena e indiscutibile conoscenza della verità e autorizzati a
imporla agli altri. Questo relativismo - rivolto a tutti i dogmatismi, a tutte
le parole d'ordine e a tutte le opinioni dominanti del momento, soprattutto
alle proprie convinzioni - è la base della tolleranza e della libertà.
Ma c'è un altro relativismo che
oggi detta legge come un dogma pacchiano, rinunciando a priori a cercare -
certo a tentoni, perché nell'esistenza umana non è possibile altrimenti - una
qualsiasi verità; rinunciando ad affermare qualsiasi valore, ponendo tutte le
scelte morali sullo stesso piano, come in un menu in cui ognuno sceglie secondo
i suoi gusti e le reazioni delle sue papille gustative. Chi si rifiuta di
considerare l'etica come un supermarket è bollato, con intolleranza, quale
retrogrado e reazionario. Tale relativismo è l'opposto di quel dubbio critico
rivendicato, nella «Lettura» del 5 febbraio da Giulio Giorello quale elemento
costitutivo della libertà e della ricerca.
È giusto e doveroso invece
contestare il relativismo quale optional universale applicato alle scelte
morali. Non occorre pensare a Benedetto XVI, bersaglio obbligato nel baraccone
di tiro a segno del Circo mediatico. Sono alcuni filosofi del tutto estranei
alla Chiesa e ad ogni Chiesa ad aver smascherato questo falso, pappagallesco e
intollerante relativismo, vero lupo camuffato da agnello; ad esempio (ma non è
certo il solo) Tito Perlini, figura di rilievo della sinistra minoritaria e
critica italiana, una delle teste pensanti della nostra cultura che hanno
capito più a fondo le trasformazioni epocali degli ultimi decenni. Ogni pensiero,
religioso o no, che pretenda di essersi impossessato della verità come ci si
impossessa di un oggetto o della formula di un esperimento è una retorica
menzognera che facilmente degenera in dogmatismo persecutorio, come
l'Inquisizione e tutti i fondamentalismi d'ogni genere. Ma ogni filosofia che
rinuncia a essere ricerca della verità e del significato della vita si riduce a
un mero protocollo di un bilancio societario, magari - in nome del rifiuto
della verità - truffaldinamente falsificato.
Non possiamo vivere senza
distinguere tra ciò che - almeno per noi - è relativo e ciò che - almeno per
noi - è un assoluto. Pratiche religiose, morali sessuali, consuetudini del più
vario genere, tradizioni anche profondamente sentite e radicate sono relative e
relativi sono i doveri e i divieti che esse proclamano. Uccidere un bambino o
schiavizzarlo in un lavoro bestiale, mandare gli ebrei ad Auschwitz non sono
scelte relative, giustificabili o no a seconda del contesto sociale e
culturale, ma sono - o almeno dobbiamo considerarli - un male assoluto.
Probabilmente per la natura, per la forza di gravità e il moto degli astri, i
Lager e i Gulag non contano più dell'estinzione dei dinosauri, ma per noi sì.
La crescente mescolanza di
culture, costumi, religioni e civiltà, con i loro valori diversi, devono
indurci a fare il massimo sforzo possibile per mettere in discussione noi
stessi e i nostri valori, pronti ad abbandonarli se altri si rivelano più
credibili; pronti a considerare relativo ciò che eravamo abituati a considerare
e a sentire come immutabile, proprio perché, come è stato detto, ci saranno
sempre purtroppo eschimesi pronti a rimproverare i neri del Congo di andare in
giro poco vestiti. Ma - afferma Todorov, altro pensatore illuminista che non ha
nulla da spartire con le Chiese - dobbiamo stabilire alcuni, pochissimi, valori
non più discutibili, ad esempio l'uguaglianza di diritti e la pari dignità di
ogni persona indipendentemente dalla sua identità politica, etnica, religiosa,
sessuale. Questo valore, ad esempio, per noi non è «relativo», lo viviamo come
una verità esistenziale e morale. Poco importa se alcuni lo ritengono dato da
un Dio su un monte o elaborato dalla coscienza umana come i due postulati
fondamentali dell'etica di Kant, non meno universali dei dieci comandamenti.
Senza questa consapevolezza, il
relativismo si degrada a indifferenza e ad arbitrio che, col pretesto di
rispettare ogni opinione, può autorizzare la più atroce barbarie: io penso che
non sia lecito sterminare gli ebrei, linciare i neri, mettere in manicomio i
dissidenti politici o decapitare gli omosessuali, tu pensi invece di sì, ognuno
ha diritto alla propria opinione e siamo tutti persone rispettabili. E invece
va detto che chi pensa sia lecito trafficare con gli organi strappati a bambini
o eliminare i disabili non è una persona rispettabile; è un porco o, nella
migliore delle ipotesi, un imbecille condizionato da coatti pregiudizi sociali
o razziali.
Ogni vero liberale crede,
criticamente e senza presunzione, in un criterio di verità. In un incisivo
articolo sul «Sole 24 Ore» del 15 gennaio Massimo Teodori, polemizzando
giustamente contro tante prepotenze clericali, si richiama in generale al
relativismo. Ma quando cita, con un profondo consenso che condivido pienamente,
il divieto - vigente in Gran Bretagna - della clonazione umana considerata
«eticamente inaccettabile», egli proclama un valore che non considera relativo
come tanti altri.
Naturalmente è difficile
individuare i valori da giudicare non più negoziabili, ma è in questo cammino e
in questa ricerca che si gioca la più alta avventura della coscienza umana. Il
relativista, per il quale tutto è interscambiabile, è invece - scrive Perlini -
intollerante verso ogni ricerca di verità, in cui vede un pericolo per la
propria piatta sicurezza, che egli si convince sia l'esercizio della ragione,
così come scambia l'indifferenza etica per democrazia. Un liberale a 24 carati
quale Dario Antiseri ha sottolineato come l'autentica fede, proprio perché
afferma di credere nella verità e non di sapere cosa sia la verità, si offre al
dialogo senza la pretesa di possedere la chiave dell'assoluto. La fede,
peraltro, a differenza di tante ideologie aiuta a non innalzare ad assoluto
qualsiasi realtà umana, storica, sociale, politica, religiosa, ecclesiastica;
può essere una difesa contro ogni idolatria e dunque contro ogni totalitarismo,
che si presenta sempre come un falso assoluto che esige cieca obbedienza. I
fondamentalismi di ogni genere - soprattutto, ma non soltanto quelli religiosi
- hanno perseguitato anche sanguinosamente questa libertà e questa verità. Il
buon relativismo impedisce che la ricerca della verità si snaturi in tirannide
spirituale e materiale. L'autentico illuminismo, fondamento della nostra
civiltà inviso ai fondamentalisti clericali e anticlericali, è quello espresso
da un genio della laicità quale Lessing, quando scriveva di non pretendere di
possedere la verità, che spetta solo a Dio, e rivendicava per l'uomo la ricerca
della verità - che non la raggiunge mai definitivamente ma è pur sempre ricerca
di verità.
Certo, anche l'affermazione di
una verità può essere strumento della volontà di potenza, come Nietzsche ha
visto genialmente, e ciò accade quando si presume di «avere» la verità come
presumono i fondamentalismi di ogni genere, trionfalmente bigotti o
trionfalmente atei, aggressivamente e pateticamente impari alla vita. Non si
può essere fanatici della verità, che può essere talora crudele e devastante;
talvolta può essere umanamente doveroso tacerla o smussarla a chi può esserne
dolorosamente ferito, ma ciò ha a che vedere con l'amore o almeno col rispetto
degli altri e non con la sicumera relativista per la quale non esistono il vero
e il falso. È giusto rimproverare ad esempio alla Chiesa cattolica tanti no da
essa pronunciati, come dice il libro di Sergio e Beda Romano, ma in certi casi,
insegna Camus, è con un no, con una posizione «contro» qualcosa che cominciano
la libertà e la dignità. Troppe brave persone sono convinte, come ho sentito
dire una volta a una signora al caffè, che Einstein sostenesse che tutto è
relativo...
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