Quando l'amore diventa "liquido" di Tommaso Scandroglio, 24-02-2012,
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Le parole rivelano mondi in
evoluzione o regressione. Prendiamo il termine “fidanzamento”. Ormai questo
lemma, ammettiamolo con onestà, sa di vintage. Oggi il fidanzato è stato
sostituito dal “ragazzo”. Anzi anche questa parola, soprattutto tra i teen, è desueta.
Va per la maggiore il “tipo”. L’impoverimento semantico è evidente. Quando dici
“fidanzato” rimandi ad un rapporto basato sulla fides, sulla fiducia: un’alleanza di affetti,
progetti e prospettive. Ora invece da un valore siamo scivolati alla semplice
indicazione di un’età giovanile. Il “ragazzo” è termine poi neutro dato che può
indicare anche il ragazzo di bottega.
La spersonalizzazione del
rapporto affettivo si aggrava ulteriormente con l’introduzione nel vocabolario
dei nativi digitali dell’appellativo “il tipo”. Se prima “ragazzo” perlomeno
indicava una persona, seppur indistinta, ora “tipo” è sostantivo che in prima
battuta è stato coniato per le cose, gli oggetti: un tipo di auto, di
vestito. Usare “tipo” indica la volontà
di rendere neutro e sbiadito nelle sue caratteristiche personali l’altra metà.
La reificazione dei sentimenti infine si fa ancor più drammatica con la
comparsa dell’ultimissima fraseologia in voga non solo tra gli under 18 ma
anche tra gli over 30: “mi vedo con una”. Dalla fiducia alla persona, dalla
cosa all’indicazione pura e semplice di un’attività a due. Un percorso marcato
da un sempre maggiore desiderio di deresponsabilizzarsi nel legame con
l’altro/a, di compromettersi sempre meno.
Ma vi è un altro virus che pare abbia
infettato molti dei giovani cuori seguaci di Cupido: l’allergia alle forme. Non
ci riferiamo solo al matrimonio, ma anche a quei gesti significativi che da
sempre e in tutte le culture hanno contrappuntato il cammino esistenziale delle
coppie di innamorati: la richiesta esplicita di sposarsi, l’anello di
fidanzamento, alcune promesse che già i fidanzati si scambiano. Tutti gesti che
pare inizino a farsi più radi nelle relazioni affettive.
Il processo di estinzione di ciò
che dà forma all’amore deve forse rinvenirsi nel timore. Timore che segue due
direttrici. Una di ordine temporale: l’anello, la richiesta di sposarsi etc.
esprimono un prima e un dopo, un passaggio ad un momento spesso definitivo. La
seconda direttrice ha natura spaziale. Questi gesti definiscono un nuovo spazio
esistenziale, un limes, quindi limitano, perimetrano la vita: con questo anello
non viviamo più nel luogo dell’amicizia, ma ora ci troviamo in un posto diverso, più ampio e che comporta maggiori
responsabilità. Il ragazzo e il giovane hanno paura di ciò è definitivo, di ciò
che limita. I giovani non vogliono cristallizzarsi, sentirsi imprigionati per
sempre in una relazione, ma vogliono vivere l’infinito, cioè le infinite
possibilità dell’amore, dimentichi che questo infinito sempre si incarna in Tu
preciso e non in un “tu-tti” indistinto. Voler essere tutto si risolve
nell’essere nulla.
E’ il mito della liquidità. Mai
prendere una forma definita, mai che questa liquidità si fissi nel contenitore
del matrimonio perché scegliere è dire un unico sì ma contemporaneamente
comporta dire un’infinità di no irrevocabili: a nuove relazioni, emozioni e
mondi. Il sì formale esclude un universo di realtà possibili.
Un altro fraintendimento in
merito alla forma è credere che questa mortifichi la sostanza perché la
imprigiona, la imbriglia: come non ricordare il famigerato aforisma “il
matrimonio è la tomba dell’amore”?
Invece ogni formalità in amore è come l’alveo di un fiume che non
comprime le sue acque, ma le contiene, le indirizza perché abbiano più forza e
perchè grazie ai suoi argini queste non distruggano i campi intorno, dissipando
energie preziose.
Infine la forma rende
distinguibile l’amore perché lo identifica. Provate come ha fatto Manet nel suo
dipinto Olympia a disegnare un gatto nero su sfondo nero: non lo vedrete. Non
voler sigillare il proprio affetto disegnandolo con tratti precisi è non voler
uscire allo scoperto, non voler essere individuati per poi essere incasellati.
Voler nascondersi. Guarda caso proprio la prima cosa che Adamo ed Eva fecero
quando tradirono l’amore di Dio, lo Sposo perfetto.
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