domenica 12 febbraio 2012


Le principesse sulle uova - Il «social freezing», un'opportunità in più per liberarsi dal giogo dell'età, una forma di prevenzione o un vezzo per dedicarsi prima a carriera e vita sociale? – di Elvira Serra twitter @elvira_serra, 11 febbraio 2012, http://www.corriere.it

Per Paolo Emanuele Levi Setti è «la seconda rivoluzione sessuale»: «Congelare gli ovociti libera la donna dal giogo dell'età e pareggia davvero i conti con gli uomini». Ma non gli piace il termine, « social freezing »: «Ha in sé una connotazione negativa, fa pensare a un vezzo, al capriccio di persone ricche e straviziate che si concedono come benefit la possibilità di avere o rimandare nel tempo una gravidanza». Ecco perché il responsabile del dipartimento di Ginecologia dell'Humanitas, professore aggiunto alla Yale University, fa un po' d'ironia: «Qui non si tratta né di social drinking né di happy hour . A mio avviso è una opportunità in più». Così azzarda: «Vorrei che diventasse una forma di prevenzione primaria della infertilità futura. Perché per la maggior parte delle donne che decidono di avere un figlio dopo i quarant'anni e non ci riescono, se prima non hanno congelato i propri ovociti l'unica alternativa è la donazione dei gameti femminili. Deve farci riflettere il fatto che arrivi dall'Italia il 40-50 per cento delle coppie europee che si rivolgono a centri specializzati nella ovodonazione».
In effetti i numeri non incoraggiano. A 23 anni ogni ovulazione si trasforma in una gravidanza nel 28% dei casi, a 39 anni nel 14%, a 40 nel 12%, a 42 nel dieci per cento e a 43 soltanto nell'8 per cento dei casi. Gillian Lockwood sulla rivista scientifica Reproductive BioMedicine Online ha spiegato che sei donne su cento rischiano di restare senza figli quando cominciano a cercare una gravidanza in modo naturale sotto i 30 anni, ipotesi che sale al 14% a trentacinque e arriva al 35% a quarant'anni. Una prospettiva che ha convinto il Comitato etico del governo di Israele ad auspicare il congelamento delle uova per tutelare la fertilità futura delle donne.

Negli Stati Uniti il passaparola è partito dalla anchorwoman di punta della Abc , Diane Sawyer, che ha raccomandato alle sue colleghe di concedersi una chance vitrificando i propri ovociti a uso e consumo futuro. Una spinta alla autonomia riproduttiva. Decidere di scongelarne o abbandonarne uno ha un impatto emotivo diverso dal fare la stessa cosa con un embrione. Alla base della scelta non è sempre una questione di carriera, talvolta manca l'uomo giusto. L'obiettivo è dunque tenersi pronte. Questo almeno è il ragionamento che sta spingendo, secondo alcuni con un po' troppo ottimismo, molte americane a rivolgersi a endocrinologi esperti per mettere da parte i propri gameti (oltreoceano costa 15 mila dollari, qui in Italia 3-4 mila euro).

Non possiamo liquidarlo soltanto come un fenomeno di costume: le principesse sul pisello diventano principesse sulle uova, la seconda puntata del colossal sul controllo delle nascite che nel primo tempo ha avuto per protagoniste la pillola e la legalizzazione dell'aborto. C'è un bisogno, questa è l'evoluzione. In Italia è agli albori. «Da noi è in una fase embrionale. Nel nostro centro a Bologna abbiamo congelato gli ovociti di una trentina di donne con questo specifico obiettivo, soprattutto straniere. Ma per dare un parametro di riferimento, trattiamo circa tremila pazienti l'anno», spiega Andrea Borini, presidente della Società italiana di preservazione della fertilità.

Non c'è ancora esperienza di gravidanze da scongelamento per social freezing, ma si considerano affidabili i risultati certificati con la fecondazione assistita. Nel 2009 i centri che hanno crioconservato le uova, con congelamento lento o vitrificazione, sono stati 121. Quelli autorizzati, cioè iscritti nel registro nazionale della Procreazione medicalmente assistita (Pma), sono 201. «Segnalo questa possibilità a tutte le mie pazienti», racconta Alessandra Graziottin, ginecologa e oncologa. Lei mette in evidenza l'anomalia, così pure il professor Levi Setti, per cui non è ancora prassi informare le donne che stanno per sottoporsi a un ciclo di chemioterapia dell'opportunità di mettere da parte un «tesoretto» di gameti femminili. Prosegue: «La verità è che andrebbe raccomandato anche alle fumatrici; a chi ha avuto cisti ovariche; ha in famiglia precedenti di menopausa precoce; già in partenza fa i conti con un'ovulazione più debole».

L'età, però, deve essere quella giusta. L'ideale è sotto i 35 anni. Racconta Eleonora Porcu, responsabile del servizio di infertilità e Pma del Policlinico Sant'Orsola di Bologna: «Dissuado chi viene da me a 43-45 anni. Gli ovociti dopo i 35 anni hanno chance limitate. E non si tratta comunque di una passeggiata: non è come mettere da parte una ciocca di capelli. Bisogna sottoporsi a un trattamento ormonale, che può avere effetti collaterali; c'è un intervento chirurgico, che per quanto poco invasivo necessita comunque di anestesia». Per lei la deriva statunitense del social freezing è una sconfitta: «L'ennesimo adeguamento a ritmi biologici maschili. Non mi sorprende che la spinta arrivi da New York, metropoli dove c'è una feroce rincorsa degli obiettivi e la scelta di posticipare la maternità serve solo a conquistare un piccolo posto al sole in una realtà maschilista e maschile. Altra cosa è congelare gli ovociti nelle donne col cancro, che con questa tecnica hanno già cominciato ad avere bambini nel mio centro Pma. Ma per le sane, confinare in laboratorio la dimensione procreativa, come evento artificialmente riprodotto rispetto alla naturalità, è una evoluzione del costume che non so se valga la pena di incentivare senza inquietudine».

Resta un pensiero, legato all'unicità del momento in cui nasce una cellula uovo (o uno spermatozoo): la musica di quel giorno, il premier al governo, lo stato d'animo, la qualità delle nostre relazioni, il film visto la sera prima. Possiamo davvero «congelare» tutto questo e «sbrinarlo» a distanza di anni per l'inseminazione con uno sperma che ha un'età biologica differente?

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