La civiltà delle macchine 2.0, di Maurizio Ricci, la Repubblica, 21
Febbraio 2012
A guidare le nostre vite ormai
sono le intelligenze artificiali. Cose e persone finiscono in un mondo
virtuale. E anche l´economia diventa digitale È la prima vera rivoluzione dopo
quella industriale. Tanto che due terzi della crescita della produttività Usa è
dovuta alle intelligenze artificiali Oggi la finanza funziona via computer,
l´economia è virtuale e i lavoratori sono sostituiti dai robotVenti anni fa in aeroporto
a registrarci era una signorina. Ora basta un microchip. Quando una card viene
infilata in una macchinetta inizia una cyber-conversazione. L´occupazione è stata
tagliata per la meccanizzazione e la gente lavora nei servizi È un normale lunedì di febbraio e, alla borsa
del petrolio di New York, mancano una ventina di minuti al momento cruciale del
fixing della quotazione di chiusura del barile. Improvvisamente, Globex, la
piattaforma elettronica su cui passa il 99 per cento delle transazioni sui
futures americani del petrolio, si blocca. Gli schermi degli operatori sono
congelati: non si compra e non si vende più nulla. Lo sconcerto dura poco: gli
operatori si alzano dalle scrivanie e cominciano a scendere, dai piani
superiori, alla vecchia sala di contrattazioni del Nymex. E ricominciano a
lavorare. Come ai vecchi tempi. Per un po´, sembra di assistere alla scena
finale di "Una poltrona per due", il film di John Landis, con Eddie
Murphy e Dan Aykroyd. Foglietti che girano, mani che si alzano con una, due,
tre dita levate, qualche strizzata d´occhio.
Ma "Una poltrona per
due" è un film del 1983 e, da vent´anni, le borse non funzionano più così.
Gli operatori del Nymex si sono, forse, anche divertiti, ma se la stessa cosa
fosse accaduta alla borsa del petrolio di Londra, dove la sala contrattazioni,
semplicemente, non c´è, il mercato del greggio sarebbe rimasto paralizzato.
Perché, oggi, la finanza funziona via computer. Il terminale registra i prezzi
che circolano sul server e compra o vende, quando il prezzo corrisponde a
quello che, secondo le equazioni che ha incorporate, può dare un profitto. A
questo punto, propone l´affare al terminale corrispondente. Questo, se sta bene
alle sue equazioni, accetta. I due segnalano la transazione al server della
borsa, che provvede a registrarla. I server delle due aziende digeriscono il
mutamento di portafoglio, altri server calcolano il flusso di denaro in entrata
o in uscita e un altro server ancora, se ci fosse la Tobin tax, si
preoccuperebbe anche di computare e pagare la tassa. Tutto nel giro di
nanosecondi, troppo veloce per l´essere umano.
Ci stanno tagliando fuori? Dai
benevoli automi di Asimov ("Io, robot") all´inquietante Hal di
Kubrick ("Odissea nello spazio"), fino al perfido Virax del
recentissimo thriller di Robert Harris ("L´indice della paura") che
agisce proprio nel mondo degli hedge funds e della finanza, non è un incubo
nuovo. Ma il quesito su chi dominerà il mondo possiamo lasciarlo, per ora, alla
fantascienza. Il punto è capire se quello a cui stiamo assistendo - un po´
dandolo per scontato, un po´ senza valutarlo appieno - sia quella profonda
rivoluzione dell´economia, che un guru delle tecnologia, William Brian Arthur
paragona al boom delle ferrovie che, nella seconda metà dell´800, proiettò gli Stati
Uniti da modesta economia agricola al rango di massima potenza mondiale. Dalla
Rivoluzione Industriale in poi, non è più avvenuto nulla di simile. Perché la
finanza d´assalto del "flash trading" è solo un capitolo - e neanche
il più importante - della trasformazione in corso.
Vent´anni fa, se entravate in un
aeroporto, andavate al banco della compagnia aerea e presentavate il vostro
biglietto di carta ad una signorina. Questa vi registrava su un computer,
segnalava al server che eravate arrivato, controllava i vostri documenti e
prendeva in consegna il bagaglio. Oggi, quando arrivate in aeroporto, cercate
una macchinetta. Ci infilate una carta di credito e, nel giro di tre-quattro
secondi, vi restituisce carta d´imbarco, ricevuta e l´etichetta per il bagaglio.
Tutto questo, naturalmente, lo sapevamo già. Dov´è la svolta, il punto chiave?
Il punto chiave, dice Arthur è proprio in quei tre-quattro secondi. Nel momento
in cui infilate la carta di credito, scatta una fitta conversazione, che si
svolge interamente fra macchine. Una serie di computer, controlla e confronta
il vostro nome, lo stato del volo, la vostra storia di viaggi e possibili
problemi di sicurezza. Valuta la distribuzione del peso sull´aereo per
assegnarvi il posto, decide se avete diritto o meno alla sala Vip, pondera le
coincidenze con altri voli e cambia il percorso previsto, se, magari, un volo è
stato annullato. È una conversazione fra server che parlano con altri server,
che parlano con satelliti, che parlano con computer (magari a Los Angeles, dove
state andando, per annunciare che siete in regola con il visto americano),
attraverso una batteria di switches e router che convogliano avanti e indietro
l´informazione, via via aggiornata. Lo stesso avviene se spedite una merce. Una
volta, ci sarebbe stato qualcuno con una lista in mano e la matita dietro
l´orecchio, che avrebbe spuntato il collo sul suo elenco, controllato
etichette, riempito formulari e anche annunciato per telefono il carico alla
destinazione successiva. Oggi uno scanner legge un codice a barre e spedisce il
carico automaticamente, controllando depositi e destinazioni.
Di fatto, cose, persone, processi
esistenti nell´economia fisica, quella che tocchiamo e abbiamo sott´occhio
vengono assunti in una economia virtuale, dove vengono elettronicamente
lavorati e processati, fino a che non vengono restituiti all´economia reale.
Questa economia digitale non produce nulla di tangibile: non rifà i letti in un
albergo, non versa il succo d´arancia nel mio bicchiere, non posa i mattoni di
un muro, non monta i fari su un´auto. Ma, osserva Arthur, rappresenta una fetta
cospicua dell´economia: aiuta gli architetti a disegnare edifici, controlla
vendite e inventari, esegue transazioni e operazioni bancarie, controlla
attrezzature, emette fatture, fornisce anche diagnosi cliniche. In un articolo
sulla rivista di una grande società di consulenza, la McKinsey, Arthur
definisce l´economia digitale, "la seconda economia". "Vasta,
silenziosa, connessa, invisibile, autonoma (nel senso che è progettata da
esseri umani, che però non la gestiscono direttamente), globale" questa
economia è in grado di adattarsi da sola al mutare delle circostanze, di
autoorganizzarsi, autostrutturarsi e anche autoaggiustarsi. Il cervello
dell´economia è ancora quello umano, ma il sistema nervoso è questa seconda
economia digitale. Inseguendo l´evoluzione di Internet, ne abbiamo annotato il
passaggio dal p-p (persona a persona), al b-b (azienda ad azienda) al p-b
(persona-azienda, l´e-commerce). Ma ci è sfuggito che la trasformazione più
profonda era l´m-m: macchina a macchina.
Quanto è grande, quanto pesa la
seconda economia? Secondo un altro guru della tecnologia, Yuri Milner,
attualmente ci sono nel mondo 2 miliardi di persone connesse a Internet, che
diventeranno 5 miliardi nel 2020. Ma le macchine connesse (pc, telefonini,
server) connessi sono già oggi 5 miliardi e diventeranno 20 miliardi nel giro
di dieci anni. Arthur tenta di calcolare quanto valga tutto questo. Dal 1995,
quando decolla il processo di informatizzazione, la produttività del lavoro è
cresciuta, negli Usa, del 2,5-3 per cento l´anno. Probabilmente fra i due terzi
e il 100 per cento di questa crescita è dovuta proprio all´informatizzazione.
Diciamo, dunque, che all´espansione del digitale va ricondotto un aumento del
2,4 per cento della produttività del complesso dell´economia. Un´economia che
cresce del 2,4 per cento l´anno, raddoppia in trent´anni: nel 2025, la seconda
economia sarà grande come l´economia reale del 1995, pre-digitale.
E´ un calcolo approssimativo e
anche assai discutibile. Ma fornisce un´idea dell´ordine di grandezza di cui
stiamo parlando: la seconda economia non è solo una marginale aggiunta
all´economia reale.
Le conseguenze sono profonde e
non tutte piacevoli. Una produttività che cresce del 2,4 per cento può voler
dire che, con lo stesso numero di lavoratori, si produce il 2,4 per cento in
più. Ma anche che si produce la stessa ricchezza, con il 2,4 per cento di
lavoratori in meno. In ogni caso, la variabile sono i posti di lavoro. Non è la
prima volta, negli ultimi due secoli, in cui il mondo si è trovato ad
affrontare processi simili. La meccanizzazione dell´agricoltura ha tagliato
l´occupazione agricola e la gente è andata a lavorare nell´industria. La
meccanizzazione dell´industria ha tagliato l´occupazione nell´industria e la
gente è andata a lavorare nei servizi. Ma adesso? Fattorini, magazzinieri,
contabili, telefoniste, dattilografe sono tutti lavori inghiottiti dalla
seconda economia. La società digitale del futuro sarà più prospera ma offrirà
meno posti di lavoro. Come Robert Harris fa dire al terribile Virak nello snodo
finale de "L´indice della paura": "L´azienda del futuro non avrà
lavoratori". O, fuori dalle visioni apocalittiche, molto pochi. A
Facebook, sottolinea Milner, ci sono 700 ingegneri per prendersi cura di oltre
750 milioni di utenti. In generale, una grande azienda del mondo di Internet
fattura 1 milione di dollari per addetto, quando un´azienda del mondo non
virtuale si ferma a 100-200 mila dollari. L´economia digitale sembra suggerire
un futuro di pochi ricchi e molti poveri, perché il metodo tradizionale di
distribuzione della ricchezza - posti di lavoro e stipendi - si è largamente
inceppato. Bisognerà inventarsi qualcos´altro.
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