Darwin Day 2012, il biochimico Bizzarri: «Neodarwinismo? Bandiera
progressista», 18 febbraio, 2012, http://www.uccronline.it/
Anche oggi continuiamo la nostra
celebrazione dell’anniversario del grande naturalista Charles Darwin
(1809-1882), padre della teoria evolutiva delle specie animali e vegetali per
selezione naturale. Purtroppo circoli di scettici e razionalisti, organizzando
come ogni anno convegni e relazioni su Darwin in occasione del suo
anniversario, vorrebbero appropriarsi delle conseguenze scientifiche del suo
pensiero per trarne conclusioni filosofico-teologiche, in particolare circa
l’inesistenza di un Creatore. Questa indebita strumentalizzazione ha scatenato
il rumoroso conflitto tra ateologi fondamentalisti e creazionisti protestanti,
i quali si oppongono ai tentativi laicisti facendo una indebita interpretazione
letterale della Bibbia. Volendo distaccarci da questi due approcci errati,
abbiamo chiesto un commento ad alcuni ricercatori e docenti universitari,
esperti in tematiche scientifiche e filosofiche. Abbiamo iniziato lunedì con il
matematico Luigi Borzacchini, seguito dal contributo dell’antropologo Fiorenzo
Facchini, da quello del premio Nobel per la fisica William D. Phillips,
dall’intervento dell’evoluzionista Massimo Piattelli Palmarini, dall’intervista
alla filosofa Laura Boella e dal contributo di ieri del fisico Gerald L.
Schroeder.
Il prof. Mariano Bizzarri è
docente di Biochimica e professore di Patologia Clinica presso il Dipartimento
di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma. E’ direttore del
Systems Biology Group Lab presso il medesimo Ateneo. E’ segretario generale
della ISSBB (Italian Society for Space Biomedicine and Biotechnology) e
Presidente del Consiglio Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana. Autore di
oltre 90 pubblicazioni scientifiche, ha dato alle stampe numerosi testi
specialistici e divulgativi. Ha cortesemente risposto così a due nostre
domande:
“Prof. Bizzarri, la teoria di
Darwin ha secondo lei la capacità di negare l’esistenza di un Creatore, così
come insegnato dalla teologia cristiana? Può eventualmente contribuire in
qualche modo alla riflessione filosofica e teologica?”
«La teoria di Darwin (e
soprattutto alcuni sviluppi del cosiddetto neo-darwinismo) ha mostrato i suoi
limiti, soprattutto perché il gioco combinato del caso (per mezzo del quale
verrebbero introdotte le “innovazioni” in Biologia) e della necessità (le
regole deterministiche che presiedono alla trasmissione ereditaria
dell’informazione genetica) si è rivelato inadeguato a spiegare sia l’emergenza
dell’ordine nelle strutture biologiche (dove la “forma” sembra essere
determinata prima ancora che dal corredo genetico, dalla interazione di forze
fisiche a corta e lunga distanza), sia la stessa eredità che viene assicurata
in parte da componenti citosoliche (cosiddetta eredità materna). Bisogna
pertanto distinguere il mito, costruito sulle acquisizioni del darwinismo, dai
dati scientificamente provati. L’ipotesi di Darwin è in fondo una ipotesi, per
l’appunto, una teoria, non una verità assoluta e completa in ogni sua parte.
Come tale non vedo come potrebbe ragionevolmente pretendere negare alcunché quando
ancora non riesce a rendere ragione di come emergano nuove forme in ambito
biologico. E’ una pericolosa illusione ritenere che la riflessione
“teologico-filosofica” possa avvantaggiarsi dalle scoperte scientifiche: non è
il progresso materiale a dettare l’agenda della speculazione metafisica».
“Cosa ne pensa di queste giornate
celebrative di Darwin, anche laddove non c’è particolare contrasto alla sua
teoria? Perché, secondo lei, non accade lo stesso per altri celebri uomini di
scienza?”
«Nel tempo Darwin ha finito per
diventare una bandiera del pensiero “progressista”, spesso a prescindere dal
contenuto scientifico dei suoi contributi che, peraltro, sono largamente
sconosciuti sia dalla maggioranza della popolazione sia a molti ricercatori. Di
Darwin si conosce una sorta di vulgata rimasticata e semplificata che non di
rado viene confusa con i contributi di ciò che conosciamo come
“post-darwinismo”, anche questo estremamente variegato e tutt’altro che
omogeneo al suo interno. I contributi offerti da S.J. Gould (autore della
teoria degli equilibri puntiformi) per esempio, hanno poco a che vedere con il
riduzionismo estremo e meccanicista di Dawkins. L’ipotesi darwinista
nell’accezione correntemente propagandata offre una spiegazione semplicistica
(e quindi facilmente comprensibile) a tutti coloro che, in fondo, vogliono
porsi meno problemi possibili per spiegare questioni complesse come l’origine
della vita e dell’evoluzione.
Da un altro punto di vista il
neo-darwinismo ha prodotto una pseudo-evidenza scientifica che ha legittimato e
nobilitato le filosofie materialiste e le politiche anti-metafisiche (ed
anti-religiose) del novecento. Non desta meraviglia, pertanto, che il
“darwinismo” sia diventato la bandiera tanto del marxismo (dopo la parentesi
grigia di Lysenko in Unione Sovietica e la rimozione del ricordo di Stalin),
quanto del pensiero biotecnologico affermatosi negli USA e quindi in Europa a
partire dai primi anni ’70. L’obiettivo, in entrambi i casi, è quello di
spiegare la vita in termini di semplici interazioni meccaniche e molecolari,
confinando a tale livello la complessità della Biologia. A prescindere dalle
implicazioni filosofiche, tale approccio ha legittimato lo sviluppo di
un’industria che sulla manipolazione dei mattoni fondamentali del vivente (si
pensi solo agli OGM) ha costruito le proprie fortune. Pensiero progressista e
industria del biotech hanno così sorprendentemente stabilito una insana
alleanza. Come non ritrovarsi quindi d’accordo nel celebrare colui nel nome del
quale tutto questo è stato reso possibile? E’ triste constatare come invece
altri scienziati, che hanno magari offerto meno facili certezze e più ampia
materia di riflessione e temi su cui interrogarsi (penso a Poincaré,
Heisemberg, Prigogine, solo per citarne qualcuno) siano non solo ignorati dai
media, ma spesso sottovalutati o misconosciuti presso gli stessi ricercatori».
“Professore, secondo il suo punto
di vista, quale tipo di rapporto intercorre tra la scienza e la fede? Di
opposizione? Di collaborazione? Oppure sono due sfere completamente separate?”
«Le discipline scientifiche
producono risposte dotate di senso quando fanno riferimento ad ambiti e livelli
che sono loro propri. La fisica newtoniana non saprebbe spiegare il
comportamento della materia a livello atomico, per esempio. La cinetica chimica
non sa spiegare il funzionamento di reti complesse che procedono secondo una
dinamica non-lineare e così via dicendo, potremmo stilare un lungo elenco. Non
esiste una teoria scientifica del tutto, né una che abbia pretese metafisiche.
Dalla scienza non credo pertanto sia lecito attendersi nulla che riguardi
l’ambito della riflessione teologica, un ambito che, appunto, sfugge
completamente all’investigazione scientifica. La Scienza è muta dinanzi alle
sempre attuali questioni che, ancora oggi, angosciano e tormentano l’Uomo:
quale è il senso della sofferenza, perché siamo nati, dove andiamo e da dove
veniamo, perché dobbiamo morire o, ancora, cos’è la vita. Per cui, diamo a Dio
ciò che è di Dio, e agli scienziati ciò che compete il loro (ristretto) ambito
di osservazione».
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