Avvenire.it, SCIENZA IN LUTTO - Renato Dulbecco tra virus e genoma, 20
febbraio 2012
Avrebbe compiuto 98 anni domani
lo scienziato Renato Dulbecco, morto l’altra notte nella sua casa di La Jolla,
in California (Stati Uniti). La medicina perde così uno dei suoi protagonisti
del Novecento, tra i primi a capire il ruolo dei virus nello sviluppo delle
forme tumorali, scoperta per la quale ottenne il Premio Nobel nel 1975. E
capace di intuire che una mappa completa del genoma umano sarebbe stata quanto
mai importante per le scienze mediche, non solo in campo oncologico. Dopo la
sua insolita partecipazione al Festival di Sanremo 1999 (che sfruttò per
sostenere gli studi di giovani ricercatori) è diventato negli ultimi anni anche
un testimonial della scienza presso il grande pubblico, sostenitore però delle
tesi più “liberal” in ambito bioetico.
Nonostante le sue ricerche di
maggior successo si siano sviluppate negli Stati Uniti, Dulbecco mantenne un
forte legame con il nostro Paese, presiedendo il ramo italiano del Progetto
Genoma presso il Cnr e poi la Commissione medico scientifica di Telethon. Nato
in Calabria il 22 febbraio 1914, Dulbecco era entrato giovanissimo
all’Università di Torino, dove si laureò a soli 20 anni. Ebbe modo di conoscere
Salvador Luria (futuro premio Nobel, terzo italiano dopo Camillo Golgi e
Daniele Bovet), che dopo la guerra lo chiamò nel suo laboratorio statunitense
dove si occupava di virus, e Rita Levi Montalcini (a sua volta premio Nobel nel
1986). Sono anni di fervide scoperte in campo scientifico: dalla diffusione
degli antibiotici alla scoperta della doppia elica del Dna, fino ai vaccini
contro la poliomielite (Salk e Sabin). Dulbecco si trasferì poi nel laboratorio
del genetista Max Delbrück, anch’egli più tardi insignito del Nobel, dove
cominciò a lavorare sull’azione dei virus nelle cellule animali. La scoperta
più importante venne nel 1960, quando Dulbecco osservò il ruolo dei virus nella
trasformazione delle cellule in tumorali: per questi studi, poi confermati in
successivi esperimenti, ottenne il premio Nobel per la medicina nel 1975.
L’altra grande impresa, che
Dulbecco suggerì in una lettera su “Science” e contribuì ad avviare, è il
Progetto Genoma umano, vale a dire identificare tutti i geni del nostro
patrimonio genetico e capirne il ruolo per avere una maggiore comprensione
della fisiologia, ma anche dell’insorgere delle patologie, in particolare i
tumori. Dulbecco, che si era trasferito nel 1972 nel Regno Unito all’Imperial
Cancer Research Fund, rientra in Italia proprio per coordinare nel nostro Paese
la monumentale impresa. Quando però, nel 1995, il ramo italiano del progetto
rimase senza fondi, lo scienziato rientrò deluso negli Stati Uniti. Il Progetto
Genoma fu poi terminato con una competizione-collaborazione tra il consorzio
pubblico, guidato da Francis Collins, e la Celera Genomics di Craig Venter. Nel
giugno 2000 la conferenza stampa congiunta di Bill Clinton e Tony Blair
annunciava al mondo la scoperta del codice della vita. Il ricordo
dell’importanza di Dulbecco nel progresso della medicina contemporanea è stato
ricordato da tantissime voci, dall’Accademia dei Lincei (di cui era socio) al
Cnr.
Il direttore scientifico
dell’Ospedale Bambino Gesù, il genetista Bruno Dallapiccola, ha detto che è «ha
dato moltissimo alla scienza e al nostro Paese, pur stando all’estero». E il presidente
dell’Istituto superiore di sanità, Enrico Garaci, parla di «un testimone
importante di un momento che per la crescita della conoscenza ha significato
una rivoluzione di cui stiamo godendo ancora i frutti». Il suo collaboratore al
Cnr, Paolo Vezzoni, ne ricorda l’amarezza per l’abbandono del Progetto Genoma
da parte dell’Italia, ma anche il ruolo cruciale per la nostra salute: «Non è
prematuro chiedersi tra quanto tempo il sequenziamento dell’intero genoma verrà
inserito nel prontuario del Sistema sanitario nazionale alla pari dell’emocromo
e dei dosaggi ormonali».
Dulbecco tornò in Italia nel 1999
per condurre, assieme a Fabio Fazio e Laetitia Casta, il Festival di Sanremo.
La sua cordialità e gentilezza, con il tipico accento italo-americano, gli
valsero molte simpatie: ed egli utilizzò il compenso di 50 milioni di lire per
avviare l’Istituto Telethon Dulbecco, che finanzia gli studi dei giovani
scienziati per continuare le loro ricerche in Italia. L’anno successivo il
ministro della Sanità, Umberto Veronesi, lo chiamò a presiedere una commissione
di studio, formata da 25 personalità, che desse un parere sull’utilizzo delle
cellule staminali a scopo terapeutico, incluse quelle embrionali. Era l’anno in
cui il rapporto Donaldson nel Regno Unito aveva espresso un parere favorevole
all’uso delle cellule staminali prelevate dagli embrioni, anche in vista della
“clonazione terapeutica”. La Commissione Dulbecco – a maggioranza – si
pronunciò a favore di un utilizzo del cosiddetto trasferimento di nucleo per
produrre staminali autologhe (Tnsa), che non avrebbe dovuto dar luogo a un
embrione. Questa sorta di “clonazione all’italiana” rimase però indimostrata.
Più recentemente – come spesso
accade nel mondo della comunicazione rivolta al grande pubblico – venne
interpellato su questioni scientifico-bioetiche distanti dallo specifico dei
suoi studi (lo stato vegetativo, l’eutanasia, la procreazione assistita) alle
quali ha dato soluzioni “liberal”. Si pronunciò infatti a favore
dell’eutanasia, dell’interruzione dell’assistenza a Eluana Englaro e contro la
legge 40 italiana. Posizioni che oggi vengono ricordate dai radicali italiani,
che lo definiscono «una delle persone che più si sono spese per la libertà di
ricerca scientifica in Italia».
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