Una causa illuminante sui diritti delle orche di Tommaso Scandroglio, 22-02-2012,
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E’ proprio il caso di dirlo: gli
animalisti americani hanno fatto un bel buco nell’acqua. Ci riferiamo ad una
recente vicenda giudiziaria che ha visto coinvolti da una parte alcune orche e
dall’altro i proprietari di tre grandi parchi acquatici di California e Florida
con marchio Seaword. Gli avvocati di Peta (People for Etichal Treatment of
Animals) hanno trascinato in giudizio questi ultimi perché le cinque orche
presenti nelle loro strutture sono ridotte in schiavitù dato che sono state
tolte dal loro ambiente naturale, sono costrette a nuotare in piccole vasche e
obbligate – come se fossero lavori forzati – ad esibirsi per il divertimento di
noi uomini.
Tutto ciò cozzerebbe con il 13°
emendamento della Costituzione americana che da tempo ha abolito la schiavitù e
i lavori forzati. Le orche non devono essere lese nella loro libertà personale,
ma devono far ritorno nell’Oceano. I giudici qualche giorno fa hanno respinto
la richiesta degli avvocati animalisti stabilendo che il 13° emendamento si
applica solo agli esseri umani, approvando così la linea della difesa che per
bocca del suo avvocato Theodore Shaw aveva affermato: «Nella storica frase “We
the people…” (“Noi, il popolo…”) nessuno alludeva alle orche».
La "bestiale"
iniziativa del Peta fa fiorire una serie di considerazioni tra cui le seguenti.
"Le orche hanno dei
diritti". Questa premessa porta a due conclusioni. In primis per non
discriminare nessuno dovremmo riconoscere dei diritti anche a pulci, zecche,
pidocchi, scarafaggi e zanzare. Ad essere rigorosi dovremmo smettere di curarci
se ci prendiamo un virus influenzale o peggio l’HIV o l’ebola. Anche i virus
infatti appartengono al regno animale quanto le summenzionate orche e quindi
hanno diritto a vivere liberi e felici dove pare a loro.
La seconda conclusione è la
seguente: se le orche hanno diritto alla libertà ciò comporta necessariamente
che occorre riconoscere loro anche diritti minori o di pari importanza: diritto
di compravendita, di voto, alla pensione, di coniugio, etc. Tutte modalità
attraverso cui la libertà di un individuo si esprime e che quindi non possono
essere negate.
Altra considerazione: se la
sentenza avesse avuto esito positivo le ricadute sarebbero state tragicomiche:
obbligo di tutti i possessori di bocce in vetro contenenti pesci rossi di
sversare il contenuto in mare o nel lago. Di conserva anche cardellini, fringuelli,
pappagalli e canarini avrebbero visto aprirsi le porte delle loro gabbiette a
motivo di questo animalesco indulto (per entrambe le specie ovviamente il
risultato sarebbe stato la morte improvvisa dato che sono animali domestici).
Da qui ovviamente il divieto perpetuo di trasmettere il cartone animato Gatto
Silvestro perché il canarino Titty dietro le sbarre avrebbe sicuramente
configurato apologia di reato. Infine il dubbio: forse che anche l’amato cane
Fido implicitamente ci chiede di lasciarlo in mezzo ad una strada per ritornare
allo stato brado, condizione originaria dei suoi lontani progenitori? Però se
lo facessimo saremmo di certo travolti dall’ira di una pletore di animalisti
convinti. Insomma ci troveremmo tra due fuochi: Fido libero o ridotto in
schiavitù ma non abbandonato? Aspettiamo lumi dal fronte animalista.
Terza riflessione: fino ad ora
abbiamo assistito ad atti di tutela giuridica di persone che a loro volta
tutelavano animali. Ne abbiamo trattato anche qui sulla Bussola con un articolo
che riportava una sentenza del Tribunale di Milano la quale concedeva ad una
signora di uno stabile, nonostante le proteste dei condomini, di sfamare alcuni
gatti randagi in spazi comuni. Ora la novità: si tutelano direttamente gli
interessi degli animali. Inutile domandarsi come le orche abbiano dato mandato
ai loro legali di adire le vie legali.
Infine una riflessione che gli
amici di Fido non fanno mai, ma proprio mai. Se gli animali hanno diritto alla
libertà e non devono essere rinchiusi in orrende gabbie, questa stessa libertà
per forza di cose comporterà delle responsabilità. Da che mondo è mondo se io
uomo uso male della mia libertà dovrò pagarne le conseguenze: libero di andare
in giro in auto, ma se investo una persona me ne assumerò le conseguenze anche
legali.
Ora è bene sapere che la dolce
Tilly, una di queste cinque orche, in passato ha sbranato ben due dei suoi
addestratori. Nulla di scandaloso: ci sarà pur un motivo se questi cetacei in
inglese sono conosciuti con l’appellativo di killer whales. A rigor di logica però la bella Tilly si
meriterebbe un’immensa sedia elettrica, dato che ci troviamo negli Stati Uniti.
Chi invocasse la scriminante che Tilly è innocente perché è l’istinto ad averla
costretta ad agire così, entrerebbe in palese contraddizione. Se è l’istinto a
presiedere alle azioni di Tilly e compagne allora dobbiamo concludere che i
suoi atti sono determinati da madre natura e quindi non sono liberi. Ma allora
se Tilly non è libera di agire come le pare, significa che è già schiava
dell’istinto. E dunque perchè berciare tanto contro il fatto che questi cetacei
sono rinchiusi in un parco acquatico e ridotti in schiavitù?
Oppure per coerenza la soluzione
potrebbe essere di segno opposto. Dato che da tempo anche il bipede homo
sapiens sapiens è considerato un animale alla stregua di tanti altri, esigiamo
che il trattamento di impunità riservato a Tilly sia esteso anche agli
assassini della nostra specie di tutto il mondo: fuori tutti dalle carceri.
Anche l’animale “serial killer” avrà agito sotto la spinta di un irrefrenabile
pulsione del suo istinto. Nell’impossibilità di mettere al fresco l’istinto si
lasci libero l’omicida perché lui, al pari delle orche, non ha colpa alcuna.
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