Il dott. Guazzetti: «chi è in stato vegetativo comunica in un modo
nuovo» di Salvatore Di Majo, 22 febbraio, 2012, http://www.uccronline.it
Dobbiamo alle gemelle Kessler, le
famose ballerine della tv nostrana degli anni Sessanta, la rinnovata attenzione
della stampa su un tema controverso come quello dell’eutanasia. Le gemelle in
realtà parlano di “patto d’amore“, cioè di “staccare le macchine” qualora una
delle due si trovasse a cadere in stato vegetativo. Nulla di nuovo, si è
tentati di dire. Già nel recente passato simili pretese sono state avanzate da
persone che ritenevano la loro malattia e/o stato di vita indegno di essere
vissuto e conseguentemente hanno rivendicato il diritto di poter porre fine
alla loro esistenza disponendone in modo assoluto, tanto da richiedere l’altrui
cooperazione.
Nel caso delle gemelle Kessler la
novità è costituita da questa sorta di vicendevole soccorso da esercitarsi
materialmente e moralmente in nome dell’amore fraterno e familiare, sulla base
di un “patto” manifestato a priori prima di un evento invalidante. Si tratta,
come è evidente, di questioni particolarmente spinose sotto il duplice profilo
etico e pratico, non volendo qui parlare dei profili normativi. Da un lato il
Catechismo della Chiesa Cattolica ritiene “moralmente inaccettabile”,
legittimando l’interruzione dell’accanimento terapeutico (nn. 2277-2278). Una
risposta tratta dalla esperienza quotidiana con persone in stato vegetativo è
quella che meglio può aiutarci a capire e la affidiamo al primario del centro
Don Orione di Bergamo, Giovanbattista Guazzetti.
Sono parole che aprono tutto un
mondo sconosciuto ai più: «molto spesso, quando si fa riferimento allo stato
vegetativo, non si ha idea di cosa si stia parlando. Si pensa a persone
trasformate in soprammobili, quando in realtà si tratta di imparare a capire il
loro linguaggio, di avere un nuovo vocabolario per parlare con loro». Si
instaurano cioè nuove relazioni in cui «insieme ai parenti impariamo a
riconoscere il loro nuovo modo di comunicare, che passa da un movimento
impercettibile di una mano o di una palpebra. Una smorfia, che qualcuno
liquiderebbe sbrigativamente come un tic, può essere invece una risposta a una
domanda che si è fatta, a uno sguardo di affetto, un modo per manifestare uno
stato d’animo, perché sì, mettiamocelo in testa, una persona in stato
vegetativo prova sentimenti e emozioni esattamente come noi sani». Nascono,
dunque, relazioni del tutto nuove mentre quelle che si avevano in precedenza
con la persona caduta in stato vegetativo non esistono più. Si riparte daccapo
con un nuovo tipo di relazione, da costruire poco per volta.
Nessuno si augura di ritrovarsi
con un familiare in una simile condizione, questo è evidente, ma bisogna
reimparare ad amarlo, in un mutato contesto di relazioni interpersonali che
sono pur sempre instaurate tra persone. Che altro aggiungere a quanto detto
finora? Le parole del Dottor Guazzetti non abbisognano di altri commenti, che
sarebbero a questo punto superflui. Si impone invece l’evidenza di un mondo
come quello delle persone in stato vegetativo che sono a tutti gli effetti
uomini e donne la cui condizione non è degradata o indegna di essere vissuta.
Questo stato di vita non impedisce la relazione intersoggettiva: necessita
unicamente di un differente codice di comunicazione e quindi un modo di ascolto
diverso ma non per questo privo di senso. Per converso, se guardassimo più da
vicino al tipo di relazione che si instaura con l’opzione per l’eutanasia, non
potremmo non evidenziare la disparità nel rapporto che si instaurerebbe,
poiché: o il soggetto che vuole porre fine alla propria esistenza si impone
alla coscienza dell’operatore che deve materialmente agire, oppure l’operatore
è il signore della vita di chi vuole smettere di esistere. E’ plausibile
parlare ancora di “patto d’amore” in una simile evenienza?
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