Avvenire.it, 19 ottobre 2011, Rigorosa euro sentenza - Un ottimo
esempio di Francesco D'Agostino
Di notevolissima onestà
intellettuale la sentenza della Corte europea di giustizia di martedì 18
ottobre. Il quesito rivolto alla Corte era di natura palesemente
tecnico-giuridica: come interpretare l’articolo 6, n. 2, lettera c della
Direttiva del Parlamento europeo (risalente al 1998) che esclude dalla
brevettabilità «le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali e
commerciali»? Cosa propriamente si deve intendere per «embrione umano»?
Rientrano nella categoria dei «fini industriali e commerciali» anche le
utilizzazioni degli embrioni finalizzate alla ricerca scientifica? È possibile
brevettare produzioni che presuppongano comunque, in una fase anteriore di
manipolazione cellulare, la distruzione di embrioni? Questioni, queste, di
palese e immenso rilievo bioetico. Ma la Corte non si è voluta qualificare se
non per quello che è: un organo che non è chiamato a dirimere controversie di
natura medica o etica (in poche parole, la Corte ha sottolineato di non voler
essere assimilata a un Comitato di bioetica), ma che deve limitarsi a dare
un’interpretazione strettamente giuridica delle Direttive europee in vigore.
E questo è quello che la Corte ha
fatto, ricordando che il diritto dei brevetti in generale (cui va riferito il
divieto di brevetto previsto dal già citato articolo 6) si fonda sul principio
generale del doveroso rispetto della dignità della persona e dell’integrità del
corpo umano. La Corte ha, in buona sostanza, smentito, nei fatti, tutti coloro
che ripetono da anni, con monotonia, che qualsiasi riferimento normativo alla
dignità umana avrebbe una valenza vuotamente retorica. Al contrario, proprio
richiamandosi a questo principio, la Corte ha stabilito che per tutelare a
tutto tondo la dignità umana, la nozione di embrione umano va interpretata nel
senso più ampio possibile.
È embrione non solo l’ovocita
fecondato (e fin dal momento della fecondazione), ma qualunque ovocita che a
seguito di qualsivoglia manipolazione abbia la potenzialità di svilupparsi e di
dar vita a un individuo umano. Conseguenza coerente di quest’affermazione è la
conferma dell’esclusione dalla brevettabilità di qualunque
"invenzione" su materiale cellulare che presupponga la distruzione di
embrioni umani e questo non solo nel caso che il brevetto risponda a meri
interessi commerciali dell’"inventore", ma anche quando esso venga
richiesto da scienziati nel contesto di ricerche scientifiche. La Corte
ribadisce così un principio fondamentale della biogiuridica e cioè che il
rispetto della persona umana, fin dalle prime fasi sul suo sviluppo, ha un
primato sui meri interessi della scienza e della ricerca, per quanto
apprezzabilissimi.
Nessun bioeticista deve essere
così ingenuo da ritenere che una sentenza possa avvalorare definitivamente la
vita umana (come in questo caso) o toglierle definitivamente valore (come è pur
successo – ahimé – in altri casi). Un sentenza come questa costituisce però un
ottimo esempio di ciò che Papa Benedetto, nel recente discorso al Reichstag di
Berlino, ha qualificato come «ecologia umana»: una difesa dell’uomo fondata non
su assunzioni ideologiche e politiche, ma su una seria e onesta riflessione su
dati antropologici incontrovertibili.
I giudici europei hanno preso
atto che con l’ espressione «embrione umano» la Direttiva europea sui brevetti
voleva alludere alla prima e radicale fase dell’identità dell’uomo e con un
colpo solo hanno spazzato via i tanti sofismi che si sono accumulati in questi
anni sull’embrione, per negargli dignità e tutela (ricordate: si è parlato di
«ovocita fecondato», di «pre-embrione», di «ootide», ecc.ecc.). La vita umana
inizia con la fecondazione, questo è un dato di cui il diritto deve prendere
atto. Di conseguenza è dal momento della fecondazione che si attiva il dovere
di tutelare la vita umana e la sua dignità.
La Corte si dimostra così
consapevole di questa verità basilare, che dopo aver ribadito che le finalità
di ricerca scientifica non giustificano di per sé nessun brevetto, ammette con
piena coerenza il diritto di brevettare invenzioni terapeutiche e diagnostiche
purché siano utili all’embrione stesso (notevole la consonanza col dettato
dell’articolo 13.2 della legge italiana sulla procreazione assistita). E, per
restare nei suoi limiti di Corte di giustizia (e non di bioetica), rimanda alle
legislazioni nazionali una valutazione che essa ritiene allo stato attuale
giuridicamente indecidibile, come quella se possa ritenersi embrione o no una
cellula staminale prelevata da un embrione allo stadio di blastocisti (a
condizione, evidentemente, che tale prelievo non uccida l’embrione da cui la
cellula staminale è prelevata). Una simile sentenza non ha certo un carattere
rivoluzionario, anzi conferma verità acquisite da tempo dai migliori
bioeticisti. Essa però ci aiuta a riconciliarci con il diritto: e di questa
riconciliazione mai come oggi sentiamo così fortemente il bisogno.
© riproduzione riservata
Nessun commento:
Posta un commento