Avvenire.it, 19 ottobre 2011 - LA SENTENZA IN LUSSEMBURGO - Il
cardinale Sgreccia: «È vita dal concepimento» di Pier Luigi Fornari
Di fatto è il riconoscimento che
l’embrione umano fin dalla fecondazione è un soggetto con piena dignità
antropologica e giuridica. Questo il senso, secondo il presidente emerito della
Pontificia accademia per la Vita, il cardinale Elio Sgreccia, della sentenza
emessa ieri dalla Corte europea di giustizia che vieta brevetti di terapie
basate sulla distruzione di embrioni. «Coincide con quanto sancito dal primo
articolo della legge 40 sulla dignità dell’embrione– rileva il porporato –
anzi, è ancora più chiaro».
Quali possono essere gli sviluppi
di questa sentenza della Corte di giustizia della Unione europea?
Ci auguriamo che contribuisca
alla protezione dell’embrione e alla sua valorizzazione. Spero che si possano
portare queste acquisizioni sul valore antropologico dell’embrione anche sul
piano dell’interruzione di gravidanza, su quello delle varie pillole abortive.
Se l’embrione umano ha una tale dignità di fronte ai brevetti, altrettanta deve
averne nei confronti di qualsiasi altro attentato che possa essere perpetrato
contro la vita nascente da parte dell’uomo e della tecnica.
Il pronunciamento della Corte si
occupa di un problema specifico, quello dei brevetti...
È però molto importante perché
comporta una più generale interpretazione giuridica e antropologica. Si basa su
una direttiva del Parlamento europeo approvata nel ’98, sulla protezione
giuridica delle invenzioni biotecnologiche che lasciava però dei dubbi, in
particolare due. Proibiva la brevettazione dell’embrione ma non specificava che
cosa si intendeva con questo termine: a quale fase della vita del concepito si
facesse riferimento. Ed in secondo luogo accettava la brevettazione di elementi
separati dall’embrione e non si capiva cosa si volesse dire con tale dizione.
Come si inserisce in questo
quadro il caso sotto giudizio?
Il brevetto ottenuto da Oliver Brüstle
per le cellule staminali embrionali umane usate per la terapia del Parkison,
con la giustificazione che si trattava di parti separate dall’embrione, viene
invalidato dalla Corte perché il loro prelievo ha provocato la morte
dell’embrione. Sono parti separate, sì, ma per ottenerle si è ucciso il
concepito. E la cosa viene ritenuta inaccettabile da parte dei giudici della
Ue.
La Corte federale di Cassazione
tedesca ha chiesto a Lussemburgo anche una definizione di embrione...
La sentenza conferisce all’embrione
l’interpretazione più ampia, ricomprendendo in essa tutto lo sviluppo del
concepito dalla fecondazione in poi. Anzi, aggiunge che questa qualificazione
va riconosciuta anche all’ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato
il nucleo di una cellula umana matura, e quello in cui sia stato indotto a
dividersi e a svilupparsi attraverso partenogenesi. È una chiarificazione
antropologica fondamentale: si tratta sempre di embrioni umani, e come tali non
sono brevettabili.
Ma si è detto che nel caso in
questione si trattava di una brevettazione solo ai fini scientifici...
Per la Corte, anche se
giustificata da motivi terapeutici, la brevettazione ha sempre di mira la
commerciabilità delll’embrione umano e quindi come tale è vietata. L’uso dell’embrione
per diagnosi e terapia sperimentale è autorizzato solo quando è a beneficio
dell’embrione stesso: non si interviene per farlo morire, ma per farlo vivere
meglio, per guarirlo da malformazioni. I procedimenti terapeutici sono a
salvaguardia dell’embrione su cui si procede. Solo in questa situazione è
consentita la sperimentazione sull’embrione.
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