DIRITTI E DOVERI DELLA COSCIENZA - I limiti della fecondazione
artificiale di Renzo Puccetti
ZI11100211 - 02/10/2011
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ROMA, domenica, 2 ottobre 2011
(ZENIT.org).- Signore, “liberami dalle colpe che non vedo”. Ripensare a questa
invocazione contenuta nel salmo 19 aiuta a non dimenticare quella che si può
definire la linea di avanzamento umanitaristica del male; non vi è dubbio che
questo fronte sia assai avanzato nella modernità, ma è altrettanto vero che
nella storia l’idea che fosse accettabile un piccolo male per ottenere un bene
maggiore si è dimostrata capace di sedurre tante volte l’uomo.
Certo, vi è anche l’altro fronte,
il relativismo negazionista dell’esistenza stessa di una verità morale, una
“amoralistica superstizione” che per Dietrich von Hildebrand aveva purtroppo
invaso i circoli cattolici, e non ho alcuna difficoltà a riconoscere nei suoi
adepti l’elite rivoluzionaria vera e propria che senza sosta mira a distruggere
qualsiasi riferimento normativo eterodosso rispetto al puro soggettivismo, ma è
la perversione del vero bene, il “buonismo”, a svolgere poi il ruolo di truppa
occupante dell’animo di tanti di noi, cattolici che abbiamo smarrito la nostra
cattolicità.
Per restringere il campo di
azione fu una presunta buona intenzione quella che animò i cattolici del no nel
referendum sul divorzio del 1974 e allo stesso modo pensarono ed agirono quanti
favorirono la contraccezione per raggiungere la paternità e maternità
consapevole, quanti videro nella legalizzazione dell’aborto una via per
tutelare la salute delle donne e nella fecondazione artificiale un modo per
donare alle coppie la gioia del figlio.
Da qui, secondo una logica di
coerenza interna, sono state poi avanzate istanze ulteriori e secondarie, il
divorzio breve per non trascinare situazioni di conflitto e permettere un più
rapido avvio di nuovi legami, l’intercezione anti-nidatoria come estensione
della contraccezione, l’aborto privato per via farmacologica per favorire la
privacy delle donne, la diagnosi pre-natale e pre-impianto per evitare che
nasca un figlio malato, la fecondazione eterologa per aggirare il problema
della sterilità assoluta di uno dei due partner e per conferire la funzione
genitoriale anche alle coppie omosessuali, il congelamento degli embrioni per
ottimizzare i risultati ed il congelamento degli ovociti per evitare il congelamento
degli embrioni e conservare una riserva riproduttiva altrimenti abolita da una
chemioterapia. In ciascuno di questi interventi non è difficile individuare una
buona intenzione, l’umanitarismo di cui parlava Lombardi Vallauri.
Questo modo di valutare le scelte
morali ha trovato e tutt’oggi trova un terreno particolarmente fertile tra noi
medici, professionalmente abituati e legittimati a ragionare in termini
consequenzialistici e proporzionalistici quando il campo di applicazione è
costituito dalle scelte cliniche, ma che si rivela disastroso quando non
sappiamo cambiare registro, quando non riconosciamo il salto necessario nel
ragionamento morale, quando rinunciamo a quello “sguardo contemplativo” a cui
ci esortava Giovanni Paolo II in Evangelium vitae, capace di farci vedere la
vita nella sua profondità.
Vi sono molte ragioni per
ritenere inadeguata la prospettiva delle conseguenze come criterio assoluto di
giudizio morale delle azioni; mi limiterò ad esporne un paio. Il primo di
questi ce lo ricorda il libro della sapienza: “incertae providentiae nostrae”,
le nostre previsioni sono incerte, spesso ci accorgiamo di essere stati miopi.
Se consideriamo i risultati di
quelle azioni chi, dotato di onestà intellettuale, non sarebbe costretto ad
ammettere che tanto del bene cercato con esse è stato sopravanzato da problemi
ben maggiori? Il divorzio, pensato per la pace dei figli, non ha forse portato
a tanti bambini e giovani smarriti dietro una cacofonica pluralità di figure di
riferimento spesso provvisorie e conflittuali? Non è anche grazie alla
sub-cultura dei cosiddetti “diritti riproduttivi” che l’occidente è largamente
flagellato dall’inverno demografico e dalle difficoltà sociali ed economiche
che ad esso fanno seguito?
Dov’è andata a finire la tutela della
salute delle donne promessa dall’aborto legale se la più grande revisione mai
realizzata e pubblicata sull’autorevole British Journal of Psychiatry da
Priscilla Coleman dimostra che la salute mentale delle donne peggiora dopo
l’aborto e se sul non meno autorevole American Journal of Obstetrics and
Gynecology già nel 2004 è stata dimostrata una mortalità tripla per le donne
che abortiscono rispetto a quelle che danno alla luce il figlio? Sono forse
fantasie l’incremento di patologie che affligge i figli concepiti in provetta e
le difficoltà per le donne prima illuse e poi deluse dalla pubblicistica
dell’accanimento riproduttivo segnalati ieri da Bellieni sull’Osservatore
Romano?
Non sono forse numeri, numeri
incontestabili, quelli che si leggono sull’annuale relazione del ministero
della salute secondo cui dai 99.258 embrioni formati con tecniche a fresco sono
nati 8.077 bambini, attestando un tasso di abortività della tecnica pari al
90,6% e del 93% se si considerano gli ovociti fecondati, certamente superiore a
qualsiasi stima di abortività spontanea? Non è forse vero che mediante le
tecniche di congelamento embrionale e di vitrificazione ovocitaria la resa, in
termini di bambini nati, è ancora inferiore? Mentre si gioisce per i bambini
che nascono, si è forse legittimati a tacere e persino silenziare il ricordo di
una tale strage, considerandolo un elemento di disturbo del quieto vivere
raggiunto attraverso la mediazione?
È il mitissimo San Francesco di
Sales che ammonisce anche noi cattolici di oggi contro un tale accecamento: “E’
carità gridare al lupo quando si nasconde tra le pecore, non importa dove”.
C’è un secondo aspetto che ci
interpella quando si deve decidere l’adeguatezza della prospettiva della buona
intenzione come criterio giudicante la bontà delle azioni. Quello che faccio
con l’intenzione di fare del bene, è reso automaticamente dal mio intento un
bene? La mia coscienza sinceramente volta al bene purifica le mie azioni a
prescindere dal contenuto di quello che vado a realizzare?
Contro una tale distorsione già
ammoniva S. Agostino nell’opera contro la menzogna, ma la fattispecie verso cui
è forse più sensibile l’uomo moderno è quella indicata dallo studioso Massimo
Introvigne come “reductio ad Hitlerum”.
Non era forse una buona
intenzione verso il popolo tedesco, stremato dalla crisi economica e dalle
sanzioni belliche, quella che animava il criminale regime nazista nella sua
politica di proliferazione degli armamenti e di conquista dello “spazio
vitale”? Non erano forse animati dal desiderio di ottimizzare il salvataggio
dei piloti caduti in mare i medici che a Dachau conducevano esperimenti di
congelamento usando uomini come cavie? Non è forse vero che alcune di queste
conoscenze servirono come base per ulteriori studi pubblicati su prestigiose
riviste medico-scientifiche nell’immediato dopo-guerra? Se la coscienza è il
tribunale supremo, ciò doveva valere anche per quei nazisti, com’è stato allora
consentito ad altri uomini di ribaltare con la condanna per crimini contro
l’umanità il giudizio di quel tribunale supremo interiore? In nome di che cosa
si è proceduto?
Sono riflessioni che in modo
magistrale il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il
cardinale Ratzinger, svolse dalle colonne del settimanale Il Sabato nel 1991,
provvidenzialmente riproposte in un recente libro edito da Cantagalli dedicato
alla coscienza. Dov’è il male?
La risposta del cardinale
Ratzinger risuona delle parole di un grande conoscitore della coscienza, il
beato cardinale Newman, secondo cui la coscienza ha dei diritti, perché prima
ha dei doveri. Il primo di questi è quello di formarsi alla luce della verità,
una verità che in quel intervento il cardinale Ratzinger identificava come il
termine medio, la cerniera che unisce autorità e soggettività ed in cui la
norma, lungi da essere elemento di intollerabile oppressione dell’autonomia
dell’individuo, interviene piuttosto come criterio che si oppone allo
smarrimento di una coscienza auto-referenziale.
Così come la soppressione di un
essere umano innocente realizzata con l’aborto non potrà mai essere una cosa
buona ed una legge che trasforma il delitto in diritto non sarà mai una buona
legge, altrettanto una pratica che trasforma l’essere umano da dono da
accogliere in manufatto da assemblare mediante la fecondazione artificiale non
sarà mai qualcosa da promuovere; anche quando le circostanze particolari
possono intervenire nel modulare la responsabilità morale, queste non
consentiranno di spacciare per un bene ciò che è di per sé un male.
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