lunedì 17 ottobre 2011


«La bomba pensioni sta per esplodere. Ma nessuno fa niente» di Marro Enrico, 16 ottobre 2011, Corriere della Sera

Il titolo è allarmante: Senza pensioni . Ma il libro di Walter Passerini e Ignazio Marino (Chiarelettere, pagine XVII-171, 13,90), giornalisti esperti di previdenza, è in realtà un viaggio dentro le mille ingiustizie e i tanti paradossi di un sistema che sconta la pesante eredità di leggi insensate e si confronta con gravi interrogativi. La conclusione è che nel puzzle della previdenza non sono possibili generalizzazioni. Nei decenni ciascuna categoria si è costruita un suo sistema, dove in genere i conti non tornavano perché si erogavano pensioni molto superiori ai contributi versati. Erano i fantastici anni Sessanta e Settanta «caratterizzati - ricordano gli autori - da un diffuso ottimismo sullo sviluppo economico del Paese». Poi tutto è cambiato. La crescita dell' economia si è fermata e così quella delle nascite mentre la durata media della vita è aumentata (questa, almeno, è una buona notizia). I governi ne hanno preso atto e sono corsi ai ripari: dal ' 92 con la riforma Amato, poi nel ' 95 con la fondamentale riforma Dini, che ha introdotto il meccanismo di calcolo contributivo, e poi con tutti gli interventi successivi, fino a quelli di quest' estate. Riforme per tagliare la spesa, che altrimenti sarebbe esplosa. Solo che non tutti sono stati trattati allo stesso modo. Qualcuno si è salvato (quelli con più di 18 anni di lavoro nel ' 95, che hanno conservato il generoso metodo di calcolo retributivo), qualcuno ci ha rimesso in parte e altri del tutto. Inutile dire che hanno vinto quei gruppi di lavoratori più protetti dalle lobby, dai sindacati e dagli ordini professionali mentre a perdere sono stati i giovani, che avranno una pensione commisurata ai versamenti dell' intera vita lavorativa (il che garantisce l' equilibrio finanziario del sistema previdenziale) mentre a tutti gli altri (quelli che già lavoravano prima del 1996) il contributivo si applica in parte o per nulla e questo significa che ancora per molti decenni continueremo a pagare pensioni molto superiori a quanto si è versato. Fino alla riforma Dini, spiegano Passerini e Marino, «bastava che un soggetto versasse per 30 anni 10 euro al mese di contributi e che negli ultimi 5 anni ne versasse mille al mese per prendere una pensione pari al 70% di mille euro (ovvero 700)». Il 93,4% delle pensioni sono ancora di questo tipo, liquidate cioè col metodo retributivo. «Siamo alla vigilia dello scoppio della bomba previdenziale e nessuno fa niente», dicono gli autori. «La questione delle pensioni - aggiungono - si potrà risolvere se l' Italia tornerà a crescere a ritmi almeno doppi rispetto agli attuali». Bisognerebbe poi che si sviluppasse la previdenza integrativa, alla quale finora ha aderito solo il 23% dei lavoratori. E questo anche perché gli stipendi sono troppo bassi per pagare, oltre l' Inps, pure i fondi pensione e perché ci sono 4 milioni di lavoratori atipici (collaboratori, partite Iva, interinali, a termine) che hanno carriere discontinue. Eppure il paradosso maggiore è che i conti dell' Inps sono tenuti in piedi dall' attivo della gestione dei parasubordinati (7,2 miliardi), i lavoratori precari appunto, e dai contributi pagati dagli immigrati (7,5 miliardi): entrate alle quali per ora non corrispondono se non in piccolissima parte uscite per pensioni e quindi entrate che vanno a pagare gli assegni delle gestioni in rosso (artigiani, commercianti, fondi speciali, coltivatori diretti). E quando toccherà a loro, ai giovani? I tassi di sostituzione netti (rapporto tra pensione e ultima retribuzione), secondo gli ultimi aggiornamenti della Ragioneria generale dello Stato, saranno più alti di quelli riportati nel libro, ma comunque inferiori al vecchio sistema. E soprattutto, se gli stipendi sono bassi, anche un tasso del 60% può essere insufficiente per vivere. Stesso discorso vale per le casse dei professionisti. Che ancora non hanno aperto gli occhi, come sottolineano Passerini e Marino: «Oggi non si può più accettare una mancanza di correlazione tra contributi versati in una vita lavorativa e pensioni erogate. E, sopratutto, va presa coscienza che con scarse contribuzioni non si può avere una pensione adeguata». RIPRODUZIONE RISERVATA


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