Sfamare il mondo, con il biologico non si può di Luigi Mariani, 19-10-2011,
http://www.labussolaquotidiana.it/
Il 16 ottobre si è celebrata la
Giornata mondiale dell’alimentazione, annualmente indetta per volontà della FAO
con lo scopo di aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica sul problema
della fame nel mondo e richiamare l’attenzione sulla sicurezza alimentare per
tutti. Per tale motivo continuano a svolgersi anche in questi giorni eventi
legati a questa giornata.
E' quindi il caso di sviluppare
sul ruolo attuale e futuro dell’agricoltura come elemento essenziale per la
sicurezza alimentare globale.
Il principale dovere del sistema
agricolo mondiale è – oggi come in passato - quello di rifornire i mercati con
prodotti alimentari (di origine vegetale ed animale) e con beni di consumo (es:
carta, cotone e lana per i nostri abiti) che siano di buona qualità e a prezzi
contenuti.
Da questo punto di vista si deve
considerare (e qui mi richiamo alla bella intervista che rilasciò mesi orsono
alla Bussola Quotidiana l’illustre
economista agrario Dario Casati) che il mercato dei prodotti agricoli è oggi un
mercato globale in cui ogni azione condotta dai Paesi grandi produttori è
passibile di ripercussioni sull’intero
sistema. Da ciò deriva la necessità di
sottrarre la produzione agraria a logiche speculative di breve periodo, facendo
ad esempio tesoro del fatto che ogni 6 mesi (rispettivamente alla fine
dell’estate boreale e di quella australe) si ha un raccolto dei principali
cereali (frumento, riso e mais). E’ proprio la previsione e la valutazione
finale dei risultati di tali raccolti che dovrebbe consentire di “raffreddare”
periodicamente i mercati scongiurando
gli effetti perturbativi indotti dagli
eventi meteorologici avversi che con una certa frequenza colpiscono le principali
aree produttive mondiali.
Sussiste inoltre la necessità di
un accresciuto senso di responsabilità da parte dei Paesi grandi produttori di
derrate alimentari, in particolare con riferimento ai temi delle agricolture
alternative, delle energie rinnovabili e della zootecnia.
I Paesi ricchi manifestano
infatti un’attenzione sempre crescente all’agricoltura biologica (o “organic
farming”, come in modo più corretto la chiamano gli anglosassoni). Convertire
al biologico rinunciando ai mezzi che la
tecnologia pone oggi a nostra disposizione (concimi minerali,
fitofarmaci, diserbanti, ecc.) significherebbe oggi ridurre del 50% circa la
produzione delle principali colture, con consistenti danni non solo
quantitativi ma anche qualitativi (es: senza un’adeguata e ben dosata
concimazione azotata il tenore proteico della granella di frumento diminuisce e
con essa la qualità della pasta). Questi dati dovrebbero indurre a riflettere
quanti oggi, in Europa o negli Usa, vedono il futuro della produzione di cibo
in tecnologie di tipo pauperistico (il biologico) o addirittura in tecnologie a
base magica perché basate sulla valutazione degli influssi astrali (il
biodinamico).
Insomma, l’obiettivo della sicurezza alimentare globale rende più che
mai necessario evitare di rifugiarsi in tecnologie che potrebbero tutt’al più
nutrire le aree più privilegiate (Stati Uniti, Europa). E’ curioso invece
osservare come una strana nostalgia di “ancien regimes” in cui i “buoni cibi di
una volta” o gli “antichi saperi” sono l’analogo del reazionario “non hanno
pane, che mangino brioches” stia oggi pervadendo gruppi o gruppuscoli che si
ammantano di progressismo e di miti di “salvataggio del pianeta”.
Non è oggi pensabile che
un’agricoltura in grado di rispondere alle esigenze dell’umanità sia condotta
sfruttando gli “antichi saperi” e dunque occorre aver fiducia nella tecnologia
come l’arma più potente a nostra disposizione per garantire un futuro di
prosperità al genere umano. Ciò comporta la necessità assoluta di non cedere
alla nostalgia di un passato alla “Mulino bianco” che non è mai esistito mentre
al suo posto vi era miseria garantita per i più, quella miseria che ha spinto
negli scorsi decenni una grossa fetta di italiani a migrare dalla campagna alla
città.
Un discorso specifico meritano
poi le colture destinate alla produzione di
energia. La finalizzazione dell’attività agricola alla produzione di
energia dovrebbe essere subordinata ai seguenti vincoli:
1. Non essere concorrenziale
rispetto alla produzione di cibo. Ad esempio una quota sempre più consistente
del mais della Pianura padana viene oggi destinata alla produzione di biogas;
in tali condizioni i produttori zootecnici (dalla cui attività derivano i
principali prodotti agro-alimentari italiani da esportazione ad eccezione del
vino e cioè Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Prosciutto di Parma e San
Daniele) sono sempre più costretti a rivolgersi ai mercati mondiali facendo
così salire i prezzi. Un discorso analogo vale per la granella dei cereali che
nel mondo ricco viene oggi sempre più spesso usata in luogo del legname per
alimentare le stufe.
2. Non influire negativamente
sulla fertilità dei suoli (es: la diffusione della “moda” di bruciare paglia di
cereali per produrre “energia verde” porterà a raggiungere un grande risultato
in termini di produzione di energie rinnovabili ma porterà altresì al
decadimento della fertilità dei suoli, che si giova enormemente della sostanza
organica che dalle paglie deriva).
La sicurezza alimentare globale
passa inoltre attraverso una valutazione razionale del ruolo attuale e futuro
del settore zootecnico. Il consumo mondiale di carne è in aumento e nel
frattempo va facendosi strada una rivoluzione zootecnica che mira a razionalizzare
il settore tramite massicce innovazioni sia a livello di genetica (es: specie e
razze con più elevata efficienza nella conversione degli alimenti in carne e
latte) che di tecniche di allevamento. Con riferimento a tale importante
settore occorre considerare che la conversione degli alimenti effettuata
tramite la zootecnia è in genere poco efficiente, occorrendo in media 7 kg di
granella di cereali per ottenere un kg di carne bovina mente efficienze
maggiori si registrano nel caso dei suini e del pollame. Occorre tuttavia anche considerare che la zootecnia è in grado
di sfruttare non solo le aree marginali non utilizzabili per l’agricoltura
intensiva (es: pascoli montani, steppe) ma anche i sottoprodotti del settore
agricolo-alimentare che altrimenti non troverebbero alcun impiego. A ciò si
aggiunga che la carne ed i prodotti lattiero caseari sono fonte di proteine di
alta qualità per l’alimentazione umana.
In tal senso si rivelano
fondamentali le azioni di educazione alimentare che mettano in luce i pregi
della carne evidenziando altresì i problemi derivanti dal suo eccesso nelle
diete.
Inoltre è bene svolgere una
riflessione di tipo culturale: se si eccettua l’acqua, il 50% circa del nostro
nutrimento è costituito dal carbonio che le piante assumono dall’atmosfera
attraverso il processo di fotosintesi. La fotosintesi è la reazione biologica
per eccellenza in quanto da essa dipende la vita sul nostro pianeta; inoltre
anidride carbonica e acqua sono alla base di tutte le catene alimentari e
dell’intero processo produttivo agricolo. Da ciò discende che demonizzare
l’anidride carbonica relegandola al ruolo di inquinante è una aberrazione sul
piano antropologico perché così demonizziamo il mattone della vita sul nostro
pianeta. Pertanto l’aumento di anidride carbonica in atmosfera dovrebbe essere
considerato non come una sciagura cosmica ma come una risorsa da utilizzare per
incrementare la produzione agricola.
Da ultimo vorremmo segnalare una
possibilità per i lettori di condurre una riflessione in chiave etnografica sul
ruolo passato, attuale e futuro dell’agricoltura, visitando il Museo Lombardo
di Storia dell’Agricoltura di Sant’Angelo Lodigiano. Il museo è attualmente
chiuso per interventi manutentivi straordinari al fabbricato che lo ospita, lo
splendido castello visconteo si Sant’Angelo Lodigiano. Tuttavia sono in
programma una serie di aperture straordinarie con visita guidata, la prima
delle quali ha avuto luogo proprio domenica 16 ottobre in occasione della
Giornata mondiale dell’Alimentazione.
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