02/10/2011 - PROTAGONISTI DIMENTICATI - "I miei due trapianti di
mani per toccare di nuovo la neve", Carla Mari subito dopo l'intervento
alle mani col Professor Massimo Del Bene - La prima italiana ad aver subito
l'operazione: "Devo ancora imparare a sentirle mie" di Francesco
Moscatelli, http://www3.lastampa.it
INVIATO A GORLA MINORE (VA)
«FRUTTA, INSALATA, BISCOTTI». È
passato un anno dall’intervento chirurgico che le ha ridato le mani. Fare un
sorriso le costa ancora molta fatica. Ma basta guardarla mentre scrive l’elenco
della spesa sulla lavagnetta della cucina - «solo in stampatello maiuscolo, per
il momento» - per avere la dimostrazione pratica di che cosa significhi veramente
la parola determinazione. «Dovevate vedermi quando ho trascinato tutta la
famiglia a Bousson, in val di Susa, perché volevo toccare la neve».
Carla Mari, 53 anni, mamma ed ex
contabile di Gorla Minore (Varese), è la prima donna italiana (e la ventitreesima
persona al mondo) ad aver subito un doppio trapianto di mani. Quelle vecchie,
insieme ai piedi, le sono state amputate nel 2007 in seguito a un’infezione
degenerata in setticemia. «Ho vissuto per due anni con le protesi, recuperando
un minimo di autonomia ma facendo una terribile fatica, soprattutto d’estate -
racconta -. Il caldo è insopportabile se non puoi metterti una camicia a
maniche corte». Poi è arrivata la proposta del professor Massimo Del Bene,
primario di chirurgia plastica e della mano al San Gerardo di Monza. «Al
termine della prima visita le avevano dato una settimana di tempo per pensare
se iniziare o meno il percorso verso il trapianto - spiega il marito Giovanni
Grisetti, mentre la aiuta a zigzagare con la carrozzina fra le sedie e il
tavolino del salotto -. Quando siamo arrivati alla macchina aveva già deciso».
Carla si siede sul divano e
annuisce: «Ci avevo già pensato ma non avrei mai trovato il coraggio di farmi
avanti. L’offerta del professor Del Bene mi ha costretto a reagire al di là dei
miei limiti». Mentre parla la cosa che colpisce di più è il suo modo di
gesticolare. «Lo facevo anche prima di stare male. I medici mi dicono che è un
segnale positivo: significa che mi sento a mio agio con le nuove mani». La
preparazione dell’intervento è durata mesi: le analisi, il prelievo di cellule
staminali mesenchimali dal midollo osseo (una tecnica sperimentale per favorire
la terapia antirigetto), gli incontri con lo psicologo. E poi l’attesa, con la
valigia pronta per correre in ospedale in qualunque momento.
Alle 19.43 dell’11 ottobre scorso
è arrivata la telefonata: erano disponibili due arti compatibili a Cremona,
dove una donna di 58 anni era morta per un’emorragia cerebrale. Tre ore dopo
Carla era in sala operatoria. Due giorni dopo, invece, da un letto del reparto
di Rianimazione, sussurrava ai giornalisti e alle telecamere che non vedeva
l’ora di poter accarezzare i suoi cari. «Quando sono tornata a casa dopo un
mese ero stravolta, un po’ per l’operazione, un po’ perché passare un mese nel
reparto di Ematologia, chiusi in una camera sterile come in prigione, è davvero
triste - ricorda la donna -. E poi ero tornata a dipendere totalmente dagli
altri, come dopo l’amputazione. Per non parlare dei dolori e dei formicolii
notturni dovuti alla riattivazione dei nervi».
La sua famiglia l’ha sempre
sostenuta con forza nella sua battaglia per la riconquista della sua vita. «Per
me queste sono state da subito le sue mani - spiega il marito Giovanni, con una
semplicità e una naturalezza sorprendenti -. Dallo stringere una mano di
plastica e allo stringere una mano calda e viva cambia tutto». Anche i due
figli, Matteo di 28 anni e Benedetta di 19, non smettono mai di incoraggiare la
loro mamma: «Ho imparato a capire cosa riesco a fare giorno per giorno, senza
abbattermi - spiega Carla -. In questi mesi ci sono stati momenti difficili,
prima il diabete causato dai medicinali che mi ha costretto a una dieta ferrea,
poi un problema ai reni che ha rallentato la terapia. Oggi faccio un controllo settimanale
al San Gerardo e sembra che tutto stia andando per il verso giusto».
Il percorso di riabilitazione -
due sedute a settimana e «i compiti da fare a casa quotidianamente» - è stato
lento e graduale: prima i massaggi passivi per riattivare dita e falangi, poi
gli esercizi per riuscire a tenere in mano la spazzola per pettinarsi o la
forchetta. «Adesso riesco a telefonare, a passare lo strofinaccio se vedo una
macchia sul piano della cucina, a schiacciare i tasti del computer, a sollevare
oggetti via via sempre più piccoli e più leggeri. Ma rispetto alle protesi è
cambiato soprattutto il rapporto con gli altri: sono meno imbarazzata perché
creo meno imbarazzo negli altri».
La sua vita è cambiata. Per
Carla, però, non è ancora arrivato il momento di incontrare la famiglia della
donatrice. «Dentro di me sento nei loro confronti una riconoscenza che non si
può spiegare, però non mi sento pronta. Da mamma so cosa sono per un figlio le
mani che ti hanno accarezzato da bambino: non riuscirei a guardarli negli
occhi. E poi devo prima accettare fino in fondo che queste nuove mani sono proprio
mie». Alle difficoltà psicologiche si sommano quelle medico-chirurgiche. Nei
prossimi mesi, infatti, Carla dovrà affrontare alcuni piccoli
interventicorrettivi per migliorare la funzionalità dei mignoli. «La mia
speranza è quella di tornare a impastare la pasta della pizza e a preparare la
sfoglia per i ravioli. Ma anche di riacquistare abbastanza sensibilità per
godermi, l’estate prossima, il piacere di mettere le dita dentro l’acqua gelida
di un torrente». Si volta verso il marito e abbozza un sorriso: «Ho anche un
altro traguardo: riuscire a firmare la ricevuta della carta di credito».
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