IL CASO/ 1. Quel pezzo di fegato di una mamma alla figlia? In realtà è
molto di più... di Monica Mondo, mercoledì 19 ottobre 2011, http://www.ilsussidiario.net
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Una mamma dona una parte del suo
fegato alla figlia di diciotto mesi, affetta da una grave patologia, e le
ridona la vita. Una buona notizia, tra le tante cattive notizie, che
inevitabilmente passa un po’ in secondo piano. Riflettiamoci, invece. Si tratta
di un successo per la scienza medica, poiché interventi di questo tipo, da
vivente a vivente, non sono affatto comuni, ed è un successo della sanità
italiana, poiché il trapianto è stato effettuato dai medici del Bambin Gesù di
Roma, un centro ospedaliero d’eccellenza per l’infanzia. Hanno preso una parte
del fegato materno, un ottavo, suppergiù: un pezzo, non ci si capacita, per
innestarlo come si fa con le piante nel corpicino della sua bimba, stesa su un
lettino accanto.Crescerà dentro di lei, e crescerà bene, senza problemi comuni
di rigetto. La memoria del corpo riconosce il sangue, i tessuti che l’hanno
formata e custodita per nove mesi. Penso con tremore alla bravura dei medici,
alla loro competenza e al loro coraggio, alla capacità di coniugare scienza e
coscienza, audacia e prudenza. Non è scontato, se la professione medica non è
innanzitutto una vocazione all’altro, a preservare la vita in ogni caso, senza
accanimenti e soprattutto senza reticenze, dettate dalla paura di ritorsioni
legali, in caso di insuccesso, che frenano anche le mani più abili,
condannandole a terapie di routine.
Ma la breve lanciata dalle
agenzie attira l’attenzione soprattutto sulla figura di quella giovane madre
(24 anni), che non esita ad affrontare un’operazione delicata, a subire una
menomazione importante, per salvare la sua bambina. Questo aspetto invece non
mi sorprende affatto. Stupisce che susciti stupore. Quale mutazione genetica rende
eccezionale ciò che dovrebbe apparire naturale, ovvio, per chiunque viva con
pienezza la maternità? C’è una madre che potrebbe serenamente decidere di non
voler aiutare un figlio, anche strappandosi una parte di sé? Le doglie del
parto sono dolorose, e durano tutta la vita, per una madre. Quante volte
donerebbe la vita stessa, e il suo cuore, per un bene anche piccolo di coloro
che ha dato alla luce. Ci sono madri che si strappano il pane di bocca, che
lavorano con fatiche bestiali, che accettano le umiliazioni più grandi, per i
propri figli.
Che sanno perdonare sempre, e non
si tratta di una sofferenza minore di quelle fisiche. Sappiamo bene che le
ferite del corpo si sanano, quelle dell’anima bruciano tutta la vita. Eppure,
una madre le accetta di buon grado, d’istinto.
Sicuramente la giovane mamma romana avrà avuto paura. Dell’anestesia,
del male, delle conseguenze…ma avrà avuto paura soprattutto per la sua bimba,
perché il suo gesto di generosità potesse non servire, non bastare. Ora che la
piccola è sana, e può avere una vita lunga e serena, quella mamma non ha più
paura, né ripensamenti. Gli antichi
credevano che nel fegato albergasse lo spirito vitale: non è vero, ma sarà
bello dire a quella mamma che sua figlia è unita a lei ancora di più, adesso.
Si sa, una mamma quando mette al mondo un figlio percepisce subito lo strappo,
la nostalgia dell’abbandono. Può diventare una patologia. E’ solo una
percezione psicologica, dovuta alla debolezza del momento, ad una particolare
condizione ormonale. Per quella mamma non c’ stata e non ci sarà cedimento: le
auguriamo di sentirsi sempre unita nella carne, non solo nel bene, alla sua
creatura.
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