IL
CASO/ Le "coccole" delle aziende che fanno bene al lavoro
di Luca Pesenti, mercoledì 19 ottobre 2011,
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Famiglia
snobbata dallo Stato, ma sempre più coccolata nelle aziende. Non è
una provocazione, ma un fatto che sembra imporsi con sempre maggior
evidenza, anno dopo anno. Mentre si rincorrono manovre finanziarie
che vanno a colpire a ripetizione le famiglie di ceto medio (il
prossimo banco di prova sarà sui preannunciati tagli alle già
misere detrazioni d’imposta), l’innovazione a misura di famiglia
sembra germogliare proprio là dove non te l’aspetti: l’impresa
capitalista. Rinnovando i fasti di quel “welfare aziendale” che,
a ben vedere, fu componente non accessoria dell’epoca gloriosa
delle grandi imprese italiane prima che la tenaglia sindacati-welfare
pubblico azzerasse tutto dagli anni Settanta in poi.
L’ultima
notizia viene - e non è di per sé una novità - dal Veneto e
precisamente dalla multinazionale degli occhiali Luxottica, esempio
della forza di sviluppo del made in Italy nella totalità delle sue
accezione. Anche in quella, non banale, dell’attenzione che
un’azienda può mettere a rendere la famiglia un vero e proprio
stakeholder dell’impresa. La notizia, per farla breve, è questa:
impresa e sindacati del territorio hanno firmato un nuovo contratto
integrativo, applicato a tutti i dipendenti del gruppo (oltre 8.000),
che segna un nuovo e robusto salto di qualità del welfare formato
impresa.
La
cosa che ha maggiormente colpito è l’introduzione di una sorta di
“job sharing familiare”: ogni lavoratore (e soprattutto
lavoratrici, dal momento che rappresentano quasi i due terzi
dell’intera forza lavoro dell’azienda) potrà condividere il
proprio posto di lavoro con il coniuge (se disoccupato o in cassa
integrazione) o con un figlio (a determinate condizioni) per
sostituirlo in caso di malattia o impedimento temporaneo. Un modo per
tenere in equilibrio il reddito famigliare anche in momenti di
difficoltà da parte del detentore del posto di lavoro. Ancora,
l’accordo prevede la nascita di una “banca delle ore”, in cui
riversare, ad esempio, le ore di straordinario per riutilizzarle in
un secondo momento in caso di necessità legate alla conciliazione
delle responsabilità famigliari.
Il
caso della Luxottica, insieme a quello della farmaceutica Bracco e
dell’alimentare Nestlè, rappresenta la punta di diamante di un
sommovimento che ormai sta diventando onda di piena, almeno tra le
aziende di medie e grandi dimensioni. Si è insomma compreso che il
benessere famigliare non è un accessorio per la vita dell’impresa,
ma elemento imprescindibile capace di incidere profondamente sul
clima interno e alla lunga sui livelli di produttività. Così come
sta diventando cultura condivisa anche da una parte del mondo
sindacale l’idea che il naturale superamento del conflitto storico
tra capitale e lavoro può solo portare benefici per i lavoratori,
soprattutto in tempi in cui il welfare pubblico è destinato a sempre
più profonde restrizioni.
Un
interessante campionario delle buone prassi di welfare aziendale
viene, ad esempio, dagli elenchi delle aziende premiate (sono già
passate tre edizioni) nell’ambito del Premio Famiglia Lavoro,
promosso da Regione Lombardia e dall’Alta Scuola Impresa e Società
dell’Università Cattolica. Una lista di decine di esempi
innovativi a vari livelli: l’impegno della Roche e della Kraft sul
fronte dell’accoglienza delle donne con figli e in particolare
delle neo-mamme; l’introduzione di un voucher baby sitter a carico
dell’azienda, attuato dalla milanese Codevintec (tecnologia per le
scienze della terra); il “maggiordomo tuttofare” utilizzabile dai
dipendenti della Edenred (ex Accor Service) per sbrigare le mille
incombenze della vita quotidiana; l’ampio menu di interventi
sociali previsti dall’azienda di trasporti milanese Atm. E si
potrebbe continuare a lungo, passando per una finalmente accresciuta
disponibilità alla concessione del part time, all’ampio utilizzo
di flessibilità oraria, agli interventi a sostegno del reddito nelle
fase di maternità non obbligatoria.
Non
sono più tentativi isolati e neppure esordi traballanti da
verificare nel tempo. È una vera rivoluzione culturale. Una
rivoluzione che avviene fuori dai confini del welfare tradizionale e
il più delle volte senza neppure bisogno di chiedere aiuto ai bandi
che da qualche anno lo Stato centrale e alcune amministrazioni
regionali virtuose hanno messo in cantiere. Finito il tempo del
sospetto sindacale verso queste esperienze, è venuto il tempo di
raccogliere frutti molto maturi. Continuando a guardare al
cambiamento che le relazioni industriali finalmente libere dalle
ingessature stanno determinando in questi anni.
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