7/2/2012, Quei giudici europei che difendono i diritti dell'uomo di VLADIMIRO
ZAGREBELSKY, http://www.lastampa.it
Rispetto alla Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 e ai successivi Patti dei diritti
civili e politici e dei diritti economici, sociali e culturali, la Convenzione
europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, si caratterizza
per il fatto che viene istituito un giudice di quei diritti e di quelle
libertà.
E’ questa la grande novità, che
per la prima volta si trova in uno strumento di diritto internazionale. I
diritti dell’uomo avevano già trovato riconoscimento in Europa, ma solo a
livello statale interno, con conseguente ruolo giocato dai giudici nazionali.
Così era nella francese Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del
1789, che essenzialmente rinviava alla legge la definizione dei diritti e le condizioni
del loro esercizio. Ma mai si era ammesso che gli Stati rispondessero davanti
ad un giudice esterno delle violazioni dei diritti fondamentali dei singoli. La
natura di «controllo giurisdizionale esterno» è tuttora la caratteristica
principale del sistema europeo di protezione dei diritti dell’uomo, che copre
la vasta area dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa. Il sistema si fonda
sull’istituzione di una Corte indipendente, capace di accertare le violazioni
da parte degli Stati ed imporre loro di ripararle. Nel procedimento che si apre
davanti alla Corte la persona ricorrente e lo Stato convenuto in giudizio sono
parti processuali a pari titolo, con eguali diritti e doveri. La persona fa
valere i diritti di cui è titolare e che non derivano dallo Stato, ma sono da
questi «riconosciuti» (art.1 Conv.).
Il fatto che la Corte europea
assicuri un controllo «esterno» implica un certo numero di conseguenze
profondamente innovative. Quel controllo innanzitutto rompe i confini degli
Stati e la connessa pretesa della legge statale di fondare ed esaurire un
proprio ordinamento giuridico particolare ed esclusivo. La singola persona
diviene soggetto di diritto internazionale, che fa valere diritti propri nella
controversia contro uno Stato. La Corte europea applica un diritto europeo,
maneggiando e creando un diritto che non origina dall’opera di parlamenti e non
trova in ciò la propria legittimazione. Si tratta di un diritto di origine
largamente giurisprudenziale, la cui creazione (ri)dà spazio al ruolo del giudice
giurista (in luogo di quello del giudice semplice esegeta della legge chiamato
ad applicare). La giurisprudenza della Corte europea, legata com’è ai casi
specifici che le vengono sottoposti (giurisprudenza casistica) mette sullo
sfondo la regola generale e astratta (come pretende di essere la legge)
rispetto all’esigenza di disciplina richiesta ed espressa dal caso concreto. La
soluzione del caso non deriva tanto dall’applicazione di una regola generale ed
astratta che lo precede, quanto, al contrario (per la persuasività della ratio
decidendi e per la forza del precedente), contribuisce a creare la regola per
fatti analoghi.
La definizione dei singoli
diritti resta generale e vaga nella Convenzione. Non si tratta di un difetto
redazionale. Si tratta invece di una scelta, che rimette al giudice la
responsabilità di adattare la portata dei diritti e delle libertà fondamentali
alle esigenze dei tempi e allo sviluppo delle correnti culturali e sociali
espresse dalla società europea contemporanea. La Corte pratica
un’interpretazione ed una applicazione della Convenzione, che essa stessa
definisce dinamica e evolutiva secondo lo scopo della Convenzione che è quello
di rendere concreta ed effettiva la protezione dei diritti e delle libertà
dell’individuo.
Quando la Corte Costituzionale
italiana, con due sentenze del 2007, ha affermato l’obbligo per il giudice,
prima di eventualmente sollevare la questione di costituzionalità, di fare ogni
sforzo possibile per interpretare le leggi nazionali in modo tale da renderle
compatibili con la Convenzione europea «così come interpretata dalla Corte
europea», ha necessariamente fatto rinvio sia al contenuto della giurisprudenza
europea, sia al suo metodo casistico, teso alla protezione effettiva del
diritto del singolo individuo. Esercizio certo non facile, ma necessario, non
solo da parte del giudice (e della stessa Corte Costituzionale), ma anche da
parte del legislatore chiamato a produrre leggi compatibili con la Convenzione
nel loro contenuto e nella loro struttura.
I giudici che compongono la Corte
sono indipendenti e partecipano ai lavori della Corte a titolo individuale, non
di «rappresentanti» del Paese a titolo del quale sono stati eletti. Essi sono
chiamati ad esprimersi liberamente. La loro origine ed esperienza nazionale
contribuisce alla ricchezza, pluralismo e completezza del dibattito interno
alla Corte, in vista di decisioni che riflettano o siano compatibili con la
cultura europea e con i sistemi giuridici presenti in Europa. Ma non si può
dire che i giudici portino nel dibattito interno alla Corte un «orientamento
culturale prevalente» nel loro Paese di origine. In società pluralistiche come
sono quella italiana e generalmente quelle europee, ciascuno si ritrova su
posizioni (ed in compagnie) diverse, tema per tema, questione per questione.
Cosicché piuttosto che ad una maggioranza o a una minoranza, questione per
questione si appartiene contemporaneamente a diverse minoranze o maggioranze
diversamente composte. Ciascun giudice della Corte esprime dunque la sua
posizione, caso per caso, materia per materia, senza pretesa di parlare per
un’intera società. E’ però l’apporto che i molti giudici danno alla
discussione, che consente alla Corte, almeno nella sue intenzioni, di
raggiungere conclusioni che riflettono le tendenze di fondo delle società
europee.
Questo testo è un estratto della
Lecture che Vladimiro Zagrebelsky farà oggi, alle 17,30, nell’Aula Magna
dell’Università di Torino (Via Verdi 8). L’appuntamento è organizzato dal CSF
(http://www.csfederalismo.it/), istituito nel 2000, con sede al Collegio Carlo
Alberto che ha come fondatori la Compagnia di San Paolo e le Università di
Torino, Pavia e Milano.
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