Avvenire.it, 5 febbraio 2012, Vita/1 -
Controllo o dono? Gli adulti sappiano dimostrarlo ai più giovani - Due modi,
anzi uno
Ci sono due modi di "vivere
la vita" e uso l’espressione di proposito. Perché due modi ci sono per
sentirsi viverla e per sentirla vivere: controllarla o servirla, dominarla o
accoglierla, imprigionarla o amarla. E vale per tutti: dallo scienziato
all’insegnante, dalla madre all’amico. Nella recente commemorazione della Shoah
ho riletto alcune parole di Appelfeld che amo molto: «Nel ghetto e nei campi di
concentramento avevo visto la bassezza, ma anche la generosità degli uomini. La
bassezza era tanta e la generosità poca, ma la mia memoria ha custodito proprio
i momenti chiari e umani nei quali la vittima superava il suo meschino egoismo
e si sacrificava per il prossimo. Questi pochi momenti non si limitavano a
portare luce nell’oscurità: infondevano in me la fiducia che l’uomo non sia un
insetto... Ho fatto un conto: ogni uomo che si è salvato durante la guerra si è
salvato grazie ad una persona che, in un momento di grande pericolo, gli è
venuta in aiuto. Nei campi di concentramento non abbiamo visto Dio ma abbiamo
visto i giusti. L’antica leggenda ebraica, che dice che il mondo continua a
esistere per merito di pochi giusti, era vera allora come oggi».
Se ciò è stato vero nell’orrore
nazista, vale in momenti della storia meno assurdi, anche se critici e carenti
di speranza. La vita è un compito di fronte al quale siamo posti come esseri
liberi, di fronte alla vita che emerge, in ogni sua forma, possiamo scegliere:
o imprigionarla per usarne o ammirarla e farla fiorire, servendola. Di fronte
ad un fiore blu in montagna, incastrato tra le rocce e il ghiaccio posso
scegliere: coglierlo per me o incontrarlo, stupirne come un dono da lasciare
intatto. Di fronte alla vita di uno studente posso scegliere il controllo
perché faccia ciò che voglio, o cercare di capire che unicità è venuto a
portare sulla terra e mettermi a fianco, proteggerla, difenderla, sfidarla. Da
oggetto da modellare a soggetto ricco di potenzialità. Così faceva mia nonna
con le piantine ancora deboli: piantava accanto un bastoncino che le aiutava a
crescere dritte, verso la luce del sole. Più una pianta si slancia verso l’alto
più rende profonde le radici. Quando le ha affondate nella terra che la nutre
abbastanza in fondo da resistere alle intemperie, il bastone sparisce,
altrimenti ne limiterebbe la crescita.
Non è una forma di controllo, ma
una forma di servizio. All’apparenza ruvido, ingiusto, forse, ma alla fine
capace di restituire la pianta a sé stessa, al suo migliore slancio: «Perdonami
se ti cerco così / goffamente, dentro / di te / È che da te voglio estrarre /
il tuo migliore tu. / Quello che non / vedesti e che io vedo, / immerso nel tuo
fondo, preziosissimo. / E afferrarlo / e tenerlo in alto come/ trattiene /
l’albero l’ultima luce / che gli viene dal sole» (Pedro Salinas). Davanti a un
malato il dottore può scegliere di estirpare o accogliere. Davanti all’embrione
lo scienziato può scegliere se congelare o riservare il calore di un grembo.
Davanti ad un feto la mamma può scegliere tra la sua vita e la propria vita,
tra il controllo della vita del bambino o il dono della propria al bambino.
Davanti alla propria vita un
giovane può scegliere: controllare o donare, imprigionarla o servirla. Ma potrà
farlo solo se gli adulti che ha vicino gliel’avranno messa sotto gli occhi come
qualcosa di amabile e da servire, in sé e negli altri. Emily Dickinson diceva
che «non sappiamo la nostra altezza sino a che non siamo chiamati ad alzarci in
piedi». Da oggetti a soggetti. Ma avremo noi il coraggio di guardare la vita?
Quella vita che tra le ombre emerge, si slancia verso l’alto, a cercare la
luce. Avremo noi occhi capaci di vederla? E una volta vista, che cosa
sceglieremo: imprigionarla per soddisfare i nostri desideri (che poi non sono
altro che desiderio di divorare ciò che c’è aldilà del desiderio stesso), o
chinarci a servirla, dovesse costarci la schiena? E la vita la perdiamo di più
controllandola o donandola? Lo sanno i giusti. Chiedilo a loro. O al chicco di
grano.
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